Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22465 del 27/09/2017


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Cassazione civile, sez. III, 27/09/2017, (ud. 11/05/2017, dep.27/09/2017),  n. 22465

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina L. – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21991-2014 proposto da:

P.G., P.E., P.S.,

P.M.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 1, presso lo studio dell’avvocato GIANLUIGI MALANDRINO, che

li rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

IVASS ISTITUTO VIGILANZA ASSICURAZIONI, in persona dei legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliato ex lege in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO SVILUPPO ECONOMICO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2936/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/05/2017 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

Fatto

I FATTI DI CAUSA

A.A. conveniva in giudizio il Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’agricoltura, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per averle illegittimamente rifiutato l’iscrizione all’albo dei broker.

Il Tribunale di Roma in accoglimento della domanda annullava la delibera del Ministero, disponendo che si procedesse alla iscrizione all’albo della A., qualora fossero state concorrentemente presenti le altre condizioni previste dalla legge. La sentenza confermativa del diritto della A. alla iscrizione, nei termini sopra indicati, emessa dalla corte d’appello, passava in giudicato.

Qualche tempo dopo la A. citava in giudizio il Ministero dell’Industria, ora delle Attività Produttive, e l’ISVAP, per sentirli condannare al risarcimento dei danni, assumendo di non esser riuscita, nonostante le su menzionate pronunce favorevoli, ad ottenere dal subentrato ISVAP l’iscrizione all’albo nazionale agenti e mediatori assicurativi.

Il Tribunale di Roma, nel 2009, condannava i convenuti al risarcimento dei danni nella misura di oltre 500.000,00 Euro.

L’appello dell’ISVAP e Ministero veniva accolto e la domanda risarcitoria rigettata, con compensazione delle spese di entrambi i gradi.

La sentenza d’appello chiariva preliminarmente che le due precedenti sentenze, del tribunale e della corte d’appello di Roma, pronunciate rispettivamente nel 1996 e nel 1999, non avevano affatto affermato, come sostenuto dalla A., l’incondizionato diritto della stessa alla automatica iscrizione nell’albo dei broker; esse avevano al contrario previsto che il mancato superamento da parte sua della prova di idoneità non giustificasse di per sè il rigetto della domanda di iscrizione, ma che l’amministrazione avrebbe dovuto dar corso all’iscrizione, previa verifica della esistenza di tutte le condizioni di legge.

Affermava poi che nessuna condotta colpevole fosse imputabile all’ISVAP, avendo questi, non appena investito della questione, chiesto all’interessata di documentare che non vi fossero cause di incompatibilità all’iscrizione all’albo dei broker o se presenti di rimuoverle (mediante la cancellazione dall’albo degli agenti), mentre la A. non si attivava. Pertanto, la sentenza impugnata escludeva che la dante causa dei ricorrenti avesse diritto al risarcimento dei danni in quanto era stata lei stessa a dar causa alla mancata iscrizione non avendone creato la condizione legittimante, ovvero non essendosi preoccupata di cancellarsi dall’albo degli agenti.

P.S., G., M.G. e E., eredi di A.A., propongono ricorso per cassazione articolato in tre motivi ed illustrato da memoria nei confronti di IVASS-Istituto di vigilanza sulle assicurazioni (subentrato all’ISVAP) e del Ministero dello Sviluppo Economico, per la cassazione della sentenza n. 2936 del 2014, depositata dalla corte d’Appello di Roma il 7 maggio 2014.

Resiste con controricorso l’IVASS.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

La Procura Generale ha formulato conclusioni scritte nel senso del rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, i ricorrenti ripropongono la questione della tardività dell’appello, già proposta in appello e giudicata infondata dalla sentenza impugnata.

Deducono la violazione dell’art. 327 c.p.c. da parte degli appellanti, odierni controricorrenti ed in particolare, evidenziano in fatto che, essendo stata la sentenza appellata depositata il 25.5.2009, il termine per appellare scadeva il 10.7.2010 mentre l’atto di citazione in appello è stato notificato il 12.7.2010. Sostengono che non si potesse nel caso di specie applicare l’art. 155 c.p.c., comma 5, come modificato dal D.L. n. 273 del 2005, art. 39 quater (che prevede che, qualora i termini scadano di sabato, essi siano prorogati al primo giorno successivo non festivo), in quanto lo stesso è applicabile solo ai procedimenti instaurati successivamente alla data del 1.3.2006. Sostengono altresì che non si possa far applicazione della previsione di cui alla L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 3, che ha previsto che tali disposizioni si applichino anche ai procedimenti pendenti al 1.3.2006. Nella ricostruzione dei ricorrenti, infatti, al 4.7.2009, data di entrata in vigore di quest’ultima normativa, il procedimento non era pendente in quanto il giudizio di primo grado era già stato definito ed era pendente solo il termine per proporre appello.

Il motivo è infondato.

La corte d’appello ha fatto corretta applicazione del principio di diritto, che essa stessa richiama, secondo il quale la L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 3, – secondo cui l’art. 155 cod. proc. civ., commi 5 e 6 (aggiunti dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. f) si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data del 1 marzo 2006 – deve essere interpretato conformemente al precetto di cui all’art. 11 preleggi, comma 1 nel senso che esso dispone solo per l’avvenire, attesa l’assenza di qualsiasi espressione che possa sottintendere una volontà d’interpretazione autentica della norma di cui alla L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 4, con automatico effetto retroattivo. Ne consegue che l’art. 155 c.p.c., comma 5, si applica solo ai termini relativi ai procedimenti pendenti alla data del 1 marzo 2006, in scadenza dopo la data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 e non anche ai termini che tale data risultino scaduti. (Principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1) (Cass. n. 7841 del 2011).

Il predetto principio, atteso che il termine per proporre appello era pendente alla data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, è applicabile al ricorso in esame.

Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 373 del 1998, dell’art. 282 c.p.c., dell’art. 1218 c.c., dell’art. 97 Cost..

Sostengono che la sentenza di primo grado del 1998, con la quale si condannava il Ministero a procedere all’iscrizione della A. nell’albo dei broker (in presenza delle altre condizioni di legge) era immediatamente esecutiva laddove disponeva che si procedesse all’iscrizione, e che quindi sia stato era senz’altro illegittimo il comportamento del Ministero che, nelle more del giudizio di appello, non ha proceduto all’iscrizione e neppure ha proceduto a verificare se sussistessero ulteriori fattori impeditivi all’iscrizione.

Sostengono ancora i ricorrenti che per otto mesi dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, immediatamente esecutiva, le competenze rimasero in capo al Ministero, e che in ogni caso l’ente sulle quale le stesse si erano trasferite per legge, benchè non parte in causa fino a quel momento, non poteva dirsi legittimamente ignaro di una delle competenze attribuite, ed in particolare del suo obbligo di procedere all’iscrizione all’albo della A..

Con il terzo motivo, i ricorrenti deducono la violazione della legge n. 792 del 1984, e comunque la violazione dell’art. 97 Cost. e dell’art. 2043 c.c..

Con il motivo citato censurano il punto centrale e fondante della motivazione di appello: la corte d’appello ha escluso da un canto la responsabilità dell’Ivass per il primo periodo, dalla pronuncia della sentenza di condanna per l’amministrazione fino alla richiesta di iscrizione della A., affermando che nessuno aveva chiesto all’istituto lo svolgimento di quella attività, e lo esclude anche per il periodo successivo, avendo l’ente chiesto tempestivamente all’interessata che non vi fossero circostanze impeditine all’iscrizione all’albo dei broker, ed avendo accertato che non era possibile procedere all’iscrizione, in quanto la stessa risultava ancora iscritta all’albo degli agenti assicurativi (condizione di incompatibilità, ai sensi della L. n. 792 del 1984, art. 2, comma 1 ostativa alla iscrizione).

I motivi possono essere trattati congiuntamente, e sono infondati.

Il primo argomento del secondo motivo, già formulato in appello, è stato rigettato dalla sentenza qui impugnata, la quale rileva che, essendo nel frattempo le competenze del Ministero state trasferite all’ISVAP, è all’istituto di controllo sulle assicurazioni che la A. avrebbe dovuto chiedere l’iscrizione all’albo, mentre era indiscusso che fino al 2004 l’interessata non avesse preso alcuna iniziativa in tal senso e che quindi fino a quel momento nessun colpevole ritardo poteva essere addebitato all’istituto di sorveglianza sulle assicurazioni, ignaro della sentenza.

Le censure nel loro complesso anzichè appuntarsi sulle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, debordano in un giudizio in fatto, perchè pretendono di ripercorrere tutta l’attività svolta dalla A. per giungere alla affermazione che non sussistessero condizioni ostative alla sua iscrizione all’albo dei broker.

Esse, inoltre, non attaccano efficacemente la ratio decidendi della sentenza impugnata secondo la quale, se è vero che vi fu un comportamento omissivo da parte del Ministero, che avrebbe dovuto investire l’Ivass della vicenda, l’eventuale danno si pone in rapporto causale con il comportamento stesso della danneggiata, che non ritenendo necessaria l’attività istruttoria dell’ente preposto a fronte della sentenza non si attivò nè per stimolare l’amministrazione a procedere all’iscrizione, nè per creare le condizioni legittimanti per l’iscrizione, ovvero la sua previa cancellazione dall’albo degli agenti assicurativi.

Secondo quanto correttamente affermato anche dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni, l’essere la sentenza immediatamente esecutiva non comporta automaticamente un diritto alla iscrizione nell’albo (anche in considerazione della formula della sentenza, che richiamava per l’iscrizione la necessaria presenza dei requisiti previsti dalla legge): è comunque l’agente che avrebbe dovuto attivarsi in tal senso, chiedendo all’ente competente di provvedervi e eliminando, nel momento in cui proponeva la domanda, eventuali condizioni impeditive.

La sentenza afferma il diritto della A. all’iscrizione nell’albo, ex lege n. 792 del 1984, non incondizionatamente ma previa verifica delle condizioni ovvero della sussistenza in capo alla A. degli altri requisiti di legge. Per cui, da un lato la pronuncia condizionata si limitava a riaprire la valutazione amministrativa sull’accesso all’albo, dall’altro nessuna responsabilità civile da mancata iscrizione era configurabile in capo agli enti preposti, non essendosi attivata l’interessata a documentare l’esistenza delle altre condizioni di legge. A ciò si aggiunga che, come argomentato nel terzo motivo, non soltanto l’ A. pacificamente non aveva fatto venir meno nel frattempo la condizione allora impeditiva all’iscrizione nell’albo dei broker (iscrizione all’albo degli agenti assicurativi) ma non si era neppure offerta di cancellarsi in contestualità con la nuova iscrizione, atteso che la legge pro tempore vigente vietava l’iscrizione contestuale in due albi per lo svolgimento di due attività affini quanto incompatibili l’una con l’altra. Nel ricorso gli eredi della A. teorizzano che tale cancellazione non fosse esigibile, benchè in ossequio ad una previsione normativa.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

Atteso che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, ed in ragione della soccombenza dei ricorrente, la Corte, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico dei ricorrenti le spese di giudizio sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre 200,00 per spese, oltre contributo spese generali ed accessori.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 11 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2017

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