Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22464 del 27/10/2011

Cassazione civile sez. I, 27/10/2011, (ud. 19/10/2011, dep. 27/10/2011), n.22464

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 17526/2009 proposto da:

F.M. con domicilio eletto in Roma, Via Barberini n.

86, presso l’Avv. SCATENA Ilaria che lo rappresenta e difende

unitamente all’Avv. Claudio Defilippi come da procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura Generale dello

Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Torino n.

1185/07 depositato il 31 luglio 2008.

nonchè sul ricorso n. 17533/09 proposto da:

P.A., con domicilio eletto in Roma, Via Barberini n. 86,

presso l’Avv. Ilaria Scatena che lo rappresenta e difende unitamente

all’Avv. Claudio Defilippi come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura Generale dello

Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12;

_- controricorrente –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Torino n.

1186/07 depositato il 30 luglio 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 19 ottobre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli;

sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento

dei ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

F.M. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che ha rigettato il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata della procedura fallimentare svoltosi avanti al Tribunale de La Spezia nell’ambito della quale aveva proposto domanda di insinuazione al passivo in data 22 marzo 1996 ed era stato completamente soddisfatto in data 5 giugno 2007.

P.A. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che ha rigettato il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata della medesima procedura fallimentare.

Resiste in entrambi i giudizi l’Amministrazione con controricorso.

I ricorrenti hanno depositato memorie.

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente i ricorsi debbono essere tra loro riuniti benchè siano stati proposti avverso decisioni diverse. Premesso che sono principi già affermati quelli secondo cui “La riunione dei procedimenti, in applicazione della norma generale di cui all’art. 274 c.p.c., è ammessa anche nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione, atteso che, tra i compiti di quest’ultima, oltre a quello istituzionale di garantire l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo nazionale, rientra anche l’altro di assicurare l’economia ed il minor costo dei giudizi, risultati cui mira la menzionata norma del codice di rito civile” (Cassazione civile, sez. Ili, 20/12/2005, n. 28227) e “La riunione delle impugnazioni, obbligatoria ai sensi dell’art. 335 c.p.c., ove investano la stessa sentenza, può essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro diverse sentenze pronunciate fra le medesime parti, in relazione a ragioni di unitarietà sostanziale e processuale della controversia; ed invero dalle disposizioni del codice di rito prescriventi l’obbligatorietà della riunione, in fase di impugnazione, di procedimenti formalmente distinti, in presenza di cause esplicitamente ritenute dal legislatore idonee a giustificare la trattazione congiunta (art. 335 c.p.c. e art. 151 disp. att. c.p.c.), è desumibile un principio generale secondo cui il giudice può ordinare la riunione in un solo processo di impugnazioni diverse, oltre i casi espressamente previsti, ove ravvisi in concreto elementi di connessione tali da rendere opportuno, per ragioni di economia processuale, il loro esame congiunto” (Cassazione civile, sez. 2^, 17/06/2008, n. 16405), non vi è dubbio che le ragioni che giustificano la trattazione congiunta nella fattispecie sussistano in quanto le pretese delle parti traggono origine dalla durata, ritenuta eccessiva, dello stesso giudizio al quale hanno partecipato con identiche posizioni e vicende e non sono stati evidenziati elementi che differenzino le diverse posizioni in questa fase.

L’unico motivo, uguale in entrambi i ricorsi, con il quale si deduce violazione di legge per avere la Corte d’appello escluso la sussistenza di un patema d’animo conseguente alla durata della procedura fallimentare per essere stato il credito in gran parte soddisfatto in poco più di sei anni dall’inizio della procedura mentre solo il residuo era stato corrisposto tardivamente è fondato in quanto l’indennizzo spetta per fa sola durata irragionevole del processo subita dalla parte, potendo giustificare la eventuale modestia della posta in gioco (che tale sarebbe stata quella residuata ai pagamenti tempestivi) unicamente una riduzione dell’indennizzo rispetto ai parametri ordinari, fermo restando, quanto alla specifica ipotesi della procedura fallimentare, che questa “… si deve considerare conclusa solo nel momento in cui si verifica il soddisfacimento integrale del credito ammesso, ovvero, nella ipotesi di soddisfacimento parziale o di totale inadempimento, nel momento in cui, intervenuto decreto di chiusura del fallimento per essere stata compiuta la ripartizione finale dell’attivo, o per non potere la stessa essere utilmente continuata per insufficienza di attivo, detto decreto sia divenuto definitivo …” (Sez. 1, Sentenza n. 7664 del 13/04/2005).

I ricorsi debbono dunque essere accolti. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito e pertanto, in applicazione della giurisprudenza della Corte (Sez. 1^, 14 ottobre 2009, n. 21840) a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere ridotto ad una misura inferiore (Euro 750,00 per anno) a quella del parametro minimo indicato nella giurisprudenza della Corte europea (che è pari a Euro 1.000,00 in ragione d’anno) per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere applicato il richiamato parametro, il Ministero della Giustizia deve essere condannato al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti di Euro 3.250,00 a titolo di equo indennizzo per il periodo di anni quattro di irragionevole ritardo quale determinato detraendo dal tempo trascorso tra la data di presentazione della domanda di ammissione del credito e quella della definitiva soddisfazione (circa undici anni) il periodo di sette anni da ritenersi ragionevole, trattandosi nella fattispecie di procedura particolarmente complessa come evidenziato dal giudice del merito.

Le spese di entrambi i gradi seguono la soccombenza.

PQM

la Corte, riuniti i ricorsi, li accoglie; cassa i decreti impugnati e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 3.250,00 oltre interessi nella misura legale dalla data della domanda, nonchè alla rifusione delle spese del giudizio di merito che liquida in complessivi Euro 1.237,00 di cui Euro 698,00 per diritti e Euro 490,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 1.000,00 di Euro 900,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2011

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