Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22464 del 24/09/2018

Cassazione civile sez. I, 24/09/2018, (ud. 23/05/2018, dep. 24/09/2018), n.22464

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giuulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26129/2014 proposto da:

Banca Agricola Popolare di Ragusa Soc. Coop. per Azioni, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Portuense n. 104, presso De Angelis Antonia, rappresentata

e difesa dagli avvocati Mirone Aurelio, Salanitro Ugo Antonino,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.G., Be.Ga., Br.Gi., elettivamente

domiciliati in Roma, Via del Corso n.101, presso lo studio

dell’avvocato Mormino Enrico, rappresentati e difesi dall’avvocato

Surdi Roberto, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 825/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 03/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/05/2018 dal cons. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

B.G. ed i coniugi Br.Gi. e Be.Ga. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Ragusa la Banca Agricola Popolare di Ragusa SCARL (di seguito la banca) in merito alla sottoscrizione di un contratto per la negoziazione, la ricezione e la trasmissione di ordini di acquisto titoli collegata all’apertura di un conto titoli, avvenuta nel (OMISSIS) su sollecitazione del direttore della banca. Deducevano quindi di avere acquistato titoli di Stato della Repubblica argentina il 10/02/2000 con scadenza il 29/08/2000 e di avere acquistato il 30/08/2000, alla scadenza, altri bond con scadenza 30/06/2002; i coniugi riferivano di avere acquistato ancora altri bond in data 30/01/2001, con scadenza 30/01/2003.

Gli attori assumevano di avere effettuato gli investimenti perchè convinti che si trattasse di operazioni sicure e chiedevano: a) di dichiarare la nullità del contratto di acquisto ex art. 1418 c.c., perchè in contrasto con norme imperative, segnatamente gli artt. 21 TUF e 26 e 27 regolamento CONSOB n. 11522/1998; b) di annullare i contratti per il conflitto di interessi in cui versava la banca; c) di annullare i contratti ex artt. 1427,1428 e 1429 c.c., lamentando la violazione dei principi di buona fede e della correttezza nell’esecuzione del contratto, e di accertare la responsabilità contrattuale della banca; d) conseguentemente di condannare la banca al risarcimento del danno patrimoniale e morale arrecato; e) di dichiarare la nullità o l’annullabilità dei contratti di compravendita dei titoli, con condanna della banca al risarcimento dei danni.

In primo grado tutte le domande venivano respinte.

La Corte di appello di Catania accoglieva l’appello degli investitori.

Riteneva la Corte, ravvisando la violazione dei doveri comportamentali come fonte di responsabilità contrattuale (fol.8), che la banca non avesse provato di avere assolto agli obblighi informativi posti a suo carico in relazione agli ordini di acquisto, non apparendo sufficiente la produzione della documentazione relativa all’ordine sottoscritta dai clienti (peraltro non dalla Be.) e contenente un generico riferimento ad “informazioni relative ad operazioni non adeguate”, che si configurava come mera clausola di stile ed era priva di valenza confessoria. Rimarcava che le deposizioni testimoniali avevano confermato tali conclusioni facendo emergere il mancato assolvimento dell’obbligo di informazione sia attivo, che passivo (teste C., direttore dell’Agenzia della banca); affermava inoltre che, sulla scorta della CTU, era stata accertata la assoluta inadeguatezza delle operazioni finanziarie in relazione al profilo degli investitori, posto che dal 1999 i titoli argentini avevano un rating che li classificava come speculativi ed altamente speculativi e gli acquirenti non potevano essere ritenuti investitori qualificati:

riconosceva pertanto la violazione dell’art. 28, comma 2 reg. Consob n. 11522 del 1998, art. 29 reg. Consob e art. 21 TUFper assenza totale di informazioni, sia dal lato passivo (obbligo di informarsi) sia dal lato attivo (obbligo di informare) (fol. 9 e ss.).

Passando alla quantificazione del danno risarcibile, preso atto della integrale perdita di valore dell’investimento ed escluso un concorso di colpa degli investitori, lo determinava nel valore nominale dei titoli.

Avverso la decisione la banca promuove ricorso per cassazione con tre motivi, corroborati da memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c.. Gli investitori resistono con controricorso e memoria.

Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione del giudicato e l’ultrapetizione in relazione all’art. 29 del Reg. Consob; in subordine si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio – con riferimento agli obblighi informativi ex art. 29 cit.- in relazione al mancato esame dei documenti nei quali gli investitori dichiaravano per iscritto di avere preso conoscenza della segnalazione di inadeguatezza delle operazioni, chiedendo alla banca di provvedere ugualmente.

1.2. Il motivo è infondato, sotto entrambi i profili.

1.3. Quanto al primo, è evidente che il motivo di appello circa l’omesso assolvimento degli obblighi informativi (di cui riferisce la Corte di appello nello svolgimento del fatto, fol. 4) riguarda anche la violazione di acquisizione del consenso scritto specifico ad eseguire l’operazione non adeguata, che costituisce una delle modalità di assolvimento dei molteplici obblighi informativi che gravano sull’intermediario, di guisa che nessun giudicato si era formato sul punto, nè ricorre un’ultrapetizione.

1.4. Quanto al secondo, la sentenza smentisce l’assunto della ricorrente: invero la corte di appello ha preso in esame la dichiarazione (peraltro sottoscritta solo da due investitori, e non dalla Be.), laddove ha puntualizzato che si tratta di una dichiarazione “generica ed indeterminata, in un modulo a stampa”, integrante una mera clausola di stile, ed è giunta ad escludere che il suo contenuto fosse idoneo ad assolvere il prescritto obbligo informativo tenendo conto non solo del tenore letterale della clausola, ma anche degli esiti della prova testimoniale resa dal direttore della Agenzia della banca, il quale aveva riferito di avere comunicato ai clienti che lo Stato argentino aveva sempre onorato i suoi debiti e di non essere stato a conoscenza del rating dei titoli proposti e del debito argentino (in sostanza confermando la tesi attrice secondo cui, in contrasto con quanto risultante dalla dichiarazione, nessuna specifica informazione era stata fornita in merito all’inadeguatezza dell’investimento).

2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 21 TUF, artt. 28 e 29 reg. Consob, artt. 2735 e 2702 c.c. in merito all’efficacia della scrittura privata, prospettando che la formula utilizzata per documentare gli obblighi informativi non era di stile ed aveva valore confessorio.

2.2. Giova premettere che questa Corte ha chiarito che “In tema di intermediazione finanziaria, la sottoscrizione, da parte del cliente, della clausola in calce al modulo d’ordine, contenente la segnalazione d’inadeguatezza dell’operazione sulla quale egli è stato avvisato, è idonea a far presumere assolto l’obbligo previsto in capo all’intermediario dall’art. 29, comma 3 reg. Consob n. 11522 del 1998; tuttavia, a fronte della contestazione del cliente, il quale alleghi l’omissione di specifiche informazioni, grava sulla banca l’onere di provare, con qualsiasi mezzo, di averle specificamente rese.” (Cass. n 11578 del 06/06/2016). Orbene, nel caso di specie, a fronte delle specifiche contestazioni, non solo la banca non ha provato di avere reso puntuali informazioni, ma la deposizione testimoniale del direttore dell’agenzia della banca ha confermato la fondatezza delle doglianze degli investitori, sotto il profilo della assenza informativa. Tale ultima circostanza appare ancor più significativa, posto che la corte d’ appello ha accertato, sulla scorta dell’espletata CTU, che al momento dell’acquisto in esame i titoli appartenevano ad “elevata categoria speculativa, classificati dalle agenzie di rating BB e B2 ed alcuni addirittura privi di rating” (fol. 11 della sent.) e ciò indipendentemente dall’attualità di un rischio default al momento.

2.3. Ciò posto il motivo è inammissibile perchè, sostanzialmente, sollecita la rivalutazione dell’interpretazione del contratto e delle emergenze istruttorie, riservata al giudice del merito ed inconciliabile con la doglianza per violazione di legge.

2.4. E’ inoltre privo di specificità perchè non chiarisce quali siano state le informazioni raccolte dagli investitori o offerte agli stessi in merito alle concrete operazioni di cui trattasi – idonee a far assumere valore confessorio alla dichiarazione, predisposta dalla stessa banca, circa l’inadeguatezza delle operazioni – e come siano state provate al di là della mera predisposizione della clausola, e ciò nonostante dalla deposizione testimoniale del direttore della banca sia emerso il contrario, in inconciliabile contrasto con il principio secondo il quale “In materia di intermediazione finanziaria, gli obblighi d’informazione che gravano sull’intermediario, dal cui inadempimento consegue in via presuntiva l’accertamento del nesso di causalità del danno subito dall’investitore, impongono la comunicazione di tutte le notizie conoscibili in base alla necessaria diligenza professionale e l’indicazione, in modo puntuale, di tutte le specifiche ragioni idonee a rendere un’operazione inadeguata rispetto al profilo di rischio dell’investitore, ivi comprese quelle attinenti al rischio di “default” dell’emittente con conseguente mancato rimborso del capitale investito, in quanto tali informazioni costituiscono reali fattori per decidere, in modo effettivamente consapevole, se investire o meno.” (Cass. n. 12544 del 18/05/2017).

3.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione delle norme sulla sussistenza del nesso causale ex art. 1218 c.c. tra la pretesa mancata informazione ed il danno causato dal default; in subordine, l’omesso esame di un fatto decisivo consistito nella contestazione della sussistenza del nesso causale.

La banca ricorda che la prova del danno spetta alla parte che lo invoca e sostiene che la sentenza non ha nemmeno affermato l’esistenza del nesso causale, nè lo ha desunto in via presuntiva perchè non ne parla. Sostiene che gli investitori, anche se informati avrebbero ugualmente investito, visto il positivo esisto delle operazioni precedenti.

3.2. Il motivo è infondato.

3.3 In disparte dalla mancanza di specificità del motivo in merito alla tempestiva introduzione della questione nelle fasi merito, giova ricordare che, in tema di risarcimento del danno per la perdita del capitale investito dovuta all’acquisto di un prodotto finanziario, grava sull’intermediario l’onere di provare, D.Lgs. n. 58 del 1998, ex art. 23, di aver adempiuto positivamente agli obblighi informativi relativi non solo alle caratteristiche specifiche dell’investimento ma anche al grado effettivo di rischiosità, mentre grava sull’investitore l’onere di provare il nesso causale consistente nell’allegazione specifica del deficit informativo nonchè a fornire la prova del pregiudizio patrimoniale dovuto all’investimento eseguito, prova che può essere fornita anche in via presuntiva (Cass. 4727 del 28/02/2018).

Nel caso di specie l’intermediario non ha provato di avere assolto gli obblighi informativi di cui sopra, mentre gli investitori hanno provato il deficit informativo così come l’integrale perdita del capitale investito, di guisa che appare evidente che il nesso di causalità è stato ricostruito in via presuntiva, tanto più che la Corte di appello ha escluso che gli investitori potessero essere considerati investitori qualificati (fol. 11/12), e ciò senza che sia necessaria una pronuncia esplicita perchè la statuizione si evince dal complesso della motivazione.

4.1. In conclusione il ricorso va rigettato.

4.2. La ricorrente, in ragione della soccombenza, va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità nella misura liquidata in dispositivo.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità a favore della parte costituita che liquida in Euro 10.000,00=, oltre esborsi per Euro. 200,00=, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2018

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