Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22464 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/10/2020, (ud. 26/06/2019, dep. 16/10/2020), n.22464

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filipp – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1613/2015 R.G. proposto da:

GROUP INVEST SAS DI G.E.I. GRUPPO ESTENSE IMMOBILIARE SRL (C.F.

(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore,

M.D. (C.F. (OMISSIS)), S.M. (C.F. (OMISSIS)), FIMPARMA

SRL (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro

tempore, AMADOPA SAS DI M.A. & C. (C.F. (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e

difeso dall’Avv. VINCENZO PAOLINO, elettivamente domiciliati presso

lo studio dell’Avv. CARMEN TELESCA in Roma, Via Sirte, 28;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Basilicata n. 509/1/14 depositata il 17 ottobre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio de126 giugno 2019

dal Consigliere Filippo D’Aquino e, a seguito di riconvocazione

mediante applicativo (OMISSIS) a termini D.L. 17 marzo 2020, n. 18,

art. 83, comma 7, lett. f) e comma 12-quinquies, conv. con L. 24

aprile 2020, n. 27, nella camera di consiglio del 1 giugno 2020.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La CTR della Basilicata, con sentenza del 17 ottobre 2014, ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate contro la sentenza della CTP di Potenza che, accogliendo il ricorso proposto da Group Invest di M. D. & C. S.a.s. (società che successivamente ha assunto la ragione sociale di Group Invest di G.E.I. Gruppo Estense Immobiliare s.a.s e si poi è trasformata in s.r.l.), unitamente ai propri soci, aveva annullato l’avviso di accertamento relativo al periodo di imposta dell’anno 2005, con cui era stato ripreso a tassazione il costo indebitamente dedotto di una fattura ricevuta dalla contribuente per una prestazione inesistente.

La CTP ha preliminarmente respinto l’eccezione di nullità dell’atto di appello per difetto di rappresentanza processuale dell’Agenzia, rilevando che l’atto era stato sottoscritto dal Capo Area Legale su delega del Direttore Provinciale; nel merito ha ritenuto provato l’assunto dell’Agenzia, in quanto il prezzo della prestazione fatturata risultava sproporzionato rispetto alla struttura dell’emittente, ditta individuale priva di dipendenti e di organizzazione, che aveva denunciato un fatturato annuo complessivo inferiore all’importo della fattura, non contabilizzata;

che, inoltre, la costituzione della provvista per il pagamento appariva anomala, perchè creata attraverso un versamento in contanti dei soci in favore della società, la quale aveva emesso un assegno bancario di pari importo.

La sentenza è stata impugnata da Group Invest s.a.s. di G.E.I. s.r.l. e dai soci con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria, cui l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

La causa, chiamata all’udienza camerale del 26 giugno 2019, è stata decisa il 1 giugno 2020, a seguito di riconvocazione del collegio da remoto, mediante la piattaforma (OMISSIS).

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 11, art. 18, commi 3 e 4, e artt. 53 e 61, per avere la CTR ritenuto ammissibile l’appello, nonostante non fosse stata allegata la delega asseritamente rilasciata dal Direttore Provinciale al sottoscrittore dell’atto.

Il motivo è infondato.

La legittimazione processuale degli uffici locali dell’Agenzia delle Entrate- la cui organizzazione è disciplinata dal Regolamento di amministrazione n. 4 del 2000 – spetta, a termini del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10 e 11, al Direttore o a persona da lui delegata (Cass., Sez. V, 3 ottobre 2014, n. 20911), senza necessità di speciale procura; ne discende che, nel caso in cui non sia contestata la provenienza dell’atto d’appello dall’ufficio competente, questo deve ritenersi ammissibile, ancorchè recante in calce la firma illeggibile di un funzionario che sottoscrive in luogo del direttore titolare, finchè non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza di primo grado, dovendosi altrimenti presumere che l’atto provenga dall’ufficio e ne esprima la volontà (Cass. nn. 20628/2015, 6691/2014,220/2014, 874/2009).

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, lamentando che la CTR non abbia dichiarato inammissibile l’appello per carenza di specificità dei motivi.

Con il terzo motivo denunciano violazione dell’art. 100 c.p.c., sostenendo che l’appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile perchè l’Agenzia non aveva impugnato tutte le rationes decidendi sulle quali si fondava la sentenza di primo grado.

Entrambi i motivi sono inammissibili, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto i ricorrenti non hanno riprodotto il testo della sentenza di primo grado e dell’atto d’appello, non li hanno allegati specificamente al ricorso nè ne hanno indicato l’esatta collocazione processuale all’interno del fascicolo d’ufficio o di quelli di parte: risulta pertanto precluso a questa Corte, che non ha accesso diretto agli atti di causa, di verificare se la CTR sia effettivamente incorsa negli errori procedurali denunciati.

La prima censura, inoltre, anzichè dedurre propriamente una questione interpretativa, si risolve nell’affermazione dell’erroneità del ragionamento probatorio della CTR, insindacabile nella presente sede di legittimità.

Parimenti inammissibile è l’ultimo motivo di ricorso, con il quale si lamenta la nullità della sentenza impugnata per non aver il giudice di appello contrastato in maniera adeguata il quadro probatorio posto dal giudice di prime cure a fondamento della propria decisione, non aver tenuto in conto la decisività degli elementi addotti a prova dell’esistenza della prestazione fatturata (pagamento tracciato, dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà), aver ritenuto inattendibile la perizia stragiudiziale prodotta, che attestava che i lavori fatturati erano stati eseguiti e che il loro prezzo era congruo, ed aver infine trascurato di considerare che il procedimento penale intentato a carico del legale rappresentante di Group Invest per il medesimo fatto era stato archiviato.

Il vizio di motivazione della sentenza deve essere dedotto, secondo quanto previsto dall’attuale testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, attraverso la specifica indicazione del fatto controverso e decisivo di cui il giudice ha omesso l’esame, indicando se, ed in quale esatta sede processuale, esso sia stato allegato. Nella specie, invece, i ricorrenti si dolgono della valutazione delle prove operata dal giudice d’appello, il quale ha esaminato tutti gli elementi istruttori da essi menzionati, traendone però conclusioni opposte a quelle da essi auspicate.

Non risulta, infine, se e quando nel corso del giudizio di merito sia stata allegato il decreto di archiviazione del procedimento penale intentato a carico del legale rappresentante della società contribuente.

Va, da ultimo, dichiarata inammissibile l’allegazione difensiva con la quale i ricorrenti invocano, in memoria, l’applicazione del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 2, conv. nella L. 26 aprile 2012, n. 44, sia perchè nel giudizio di legittimità, lo “ius superveniens”, che introduca una nuova disciplina del rapporto controverso, può trovare applicazione a condizione che la sopravvenienza sia posteriore alla proposizione del ricorso per cassazione (Cass. n. 19617/018), mentre nella specie la norma è entrata in vigore nel corso del giudizio di appello, sia perchè gli stessi ricorrenti assumono che la questione era stata già dedotta in secondo grado: ne consegue che avrebbe dovuto essere proposto specifico motivo di impugnazione volto a denunciare il vizio di omessa pronuncia della sentenza sul punto.

Il ricorso va, in conclusione, rigettato e le spese sono regolate dalla soccombenza; sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in via fra loro solidale, al pagamento delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle Entrate, che liquida in complessivi Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti, a carico dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto.

Così deciso in Roma, nelle adunanze camerali, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

 

 

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