Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22462 del 24/09/2018

Cassazione civile sez. I, 24/09/2018, (ud. 05/04/2018, dep. 24/09/2018), n.22462

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14528/2017 R.G. proposto da:

B.C., C.C., F.V., F.M.,

G.L., M.I. e T.L., rappresentati e

difesi dagli Avv. Paola Picci, Lorenzo Bracco e Orlando Sivieri, con

domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via

Cosseria, n. 5;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI SIGNA e SOC. COOP. EDIFICATRICE NOMOPAO A R.L.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte di cassazione n. 9024/16 depositata

il 5 maggio 2016;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 aprile 2018

dal Consigliere Guido Mercolino.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Comune di Signa convenne in giudizio la Soc. Coop. Edificatrice Nomopao a r.l., assegnataria di un lotto nell’ambito di un piano per l’edilizia economica e popolare, per sentirla condannare, ai sensi della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 35al pagamento della differenza tra il corrispettivo provvisoriamente determinato per l’assegnazione e quello, superiore, versato ai proprietari per la cessione volontaria dell’area, convenuta in via transattiva a seguito della proposizione dell’azione risarcitoria.

Si costituì la Cooperativa, e resistette alla domanda, chiamando in causa i propri soci, i quali chiesero a loro volta il rigetto della domanda.

1.1. Il Tribunale di Firenze accolse la domanda principale e quella di rivalsa, determinando l’importo dovuto in misura pari alla differenza tra l’indennità di espropriazione teoricamente dovuta ai sensi del D.L. 11 luglio 1992, n. 359, art. 5-bis ed il corrispettivo provvisoriamente versato.

2. L’impugnazione proposta dal Comune fu accolta dalla Corte d’appello di Firenze, che con sentenza del 28 settembre 2009 rigettò il gravame incidentale proposto dai soci, rideterminando l’importo dovuto in misura pari alla differenza tra il prezzo della cessione (superiore all’indennità dovuta ai sensi del D.L. n. 359 del 1992, art. 5-bis ma inferiore a quella dovuta ai sensi della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39 vigente all’epoca dell’assegnazione del lotto e nuovamente applicabile, per effetto della dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 5-bis) ed il corrispettivo provvisoriamente versato.

3. I ricorsi per cassazione proposti dalla Cooperativa e dai soci furono rigettati con sentenza del 5 maggio 2016.

Premesso che il principio, posto dalla L. n. 865 del 1971, art. 35 del pareggio tra il costo sopportato dal Comune per l’acquisizione delle aree destinate alla realizzazione dei programmi per l’edilizia economica e popolare e il corrispettivo dovuto dai concessionari per la cessione, trova applicazione in qualsiasi ipotesi di definizione legittima dell’iter espropriativo, ivi comprese la cessione volontaria e bonaria ed il contratto di transazione, mentre viene meno in caso di acquisto per accessione invertita, in quanto l’esborso sopportato dal Comune trova il suo titolo in una responsabilità aquiliana, questa Corte, per quanto ancora interessa, osservò che nella specie il passaggio della proprietà aveva avuto luogo con atti di cessione conclusi anche in via transattiva in pendenza dei giudizi di risarcimento del danno promossi dai proprietari, e ritenne pertanto sussistente il diritto alla restituzione delle maggiori somme versate dal Comune. Precisato inoltre che l’istituto dell’occupazione appropriativa, avente origine pretoria, era stato sconfessato dalla giurisprudenza di legittimità, in quanto contrastante con i principi enunciati dalla Corte EDU, escluse che la predetta fattispecie potesse assumere rilievo come modo di acquisto della proprietà a titolo originario, concludendo pertanto che il costo di acquisizione dell’area era stato correttamente ragguagliato al prezzo di cessione convenuto con i proprietari, e reputando irrilevante sia la circostanza che l’acquisizione aveva avuto luogo dopo la scadenza del periodo di occupazione legittima, sia la circostanza che gli assegnatari non ne erano stati informati.

4. Avverso la predetta sentenza hanno proposto istanza di revocazione B.C., C.C., F.V., Fu.Ma., G.L., M.I. e T.L., per un solo motivo, illustrato anche con memoria. Gl’intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Sostengono i ricorrenti che, nel ricollegare agli atti di cessione conclusi anche in via transattiva il passaggio di proprietà delle aree assegnate, la Corte è incorsa in errore di fatto, non essendosi avveduta che i contratti stipulati con i proprietari non avevano ad oggetto la cessione delle aree occupate, delle quali il Comune era già divenuto proprietario a titolo originario, per effetto dell’accessione invertita. Tale acquisto risultava espressamente menzionato nei rogiti notarili, quale fatto storico pacificamente riconosciuto dalle parti ed integrante il presupposto degli atti, nei quali mancava significativamente qualsiasi manifestazione della volontà di cedere i terreni. Un’esatta percezione del contenuto materiale degli atti avrebbe dovuto indurre la Corte a ritenere che il Comune non avesse rispettato la procedura espropriativa, con la conseguente esclusione del diritto alla restituzione dell’importo versato in eccedenza rispetto al corrispettivo provvisoriamente determinato per l’assegnazione.

1.1. Il ricorso è inammissibile.

Ai fini della revocazione della sentenza per errore di fatto, l’art. 395 c.p.c., n. 4, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391-bis c.p.c., richiede infatti, oltre alla supposizione dell’esistenza di un fatto la cui verità risulti incontrovertibilmente esclusa dagli atti o dai documenti di causa, o dell’inesistenza di un fatto la cui verità sia positivamente stabilita, anche che il fatto del quale si denuncia l’erronea supposizione o esclusione non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare.

Tale requisito nella specie non può ritenersi sussistente, dal momento che la riconducibilità dell’acquisto delle aree assegnate agli atti di cessione stipulati tra il Comune e i proprietari espropriati, della quale i ricorrenti lamentano l’errata supposizione da parte di questa Corte, ha costituito oggetto di una questione specificamente sollevata dalle parti nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata, e da quest’ultima risolta in senso positivo. Nel censurare l’applicazione del principio, stabilito dalla L. n. 365 del 1971, art. 35 del perfetto pareggio tra i costi sopportati dal Comune per l’acquisizione delle aree necessarie per la realizzazione dei piani per l’edilizia economica e popolare ed il corrispettivo dovuto per l’assegnazione delle stesse, le Cooperative e gli assegnatari ne avevano infatti contestato la riferibilità alla fattispecie in esame, caratterizzata, a loro avviso, dall’intervenuto acquisto della proprietà a titolo originario da parte del Comune, per effetto della c.d. accessione invertita, e dalla conseguente esclusione dell’efficacia traslativa degli atti di cessione. La sentenza impugnata si è invece orientata in senso opposto, facendo leva per un verso sull’accertata natura transattiva degli atti di cessione, confermata anche dalla conclusione degli stessi in pendenza dei giudizi di risarcimento dei danni promossi dai proprietari, e per altro verso sull’affermato superamento dell’istituto dell’occupazione acquisitiva come modo di acquisto a titolo originario della proprietà da parte della Pubblica Amministrazione: in quanto giustificata da argomentazioni logico-giuridiche riferite a fatti accertati nel giudizio di merito, tale conclusione non può considerarsi frutto di una svista di carattere materiale, agevolmente riscontrabile mediante il confronto con gli atti e i documenti di causa, costituendo piuttosto il punto di approdo di un complesso ragionamento fondato su una corretta rappresentazione delle risultanze processuali.

L’errore di fatto che può dar luogo alla revocazione della sentenza deve invece consistere in un errore meramente percettivo, emergente in modo inequivocabile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della vicenda processuale sulla supposta esistenza o inesistenza di un fatto positivamente escluso o acquisito nella realtà del processo, che, ove fosse stato esattamente percepito, avrebbe determinato un diverso apprezzamento (cfr. Cass., Sez. 1, 3/11/2017, n. 26189; Cass., Sez. 6, 31/08/ 2017, n. 20635; 12/12/2012, n. 22868). Esso, presupponendo non solo che la sentenza sia fondata su una rappresentazione della realtà divergente ictu oculi da quella desumibile dagli atti e dai documenti processuali, ma anche che detta rappresentazione costituisca il risultato di un’attività meramente percettiva, non è pertanto ravvisabile quando, come nella specie, la stessa sia invece frutto di valutazione o di giudizio (cfr. Cass., Sez. 1, 15/12/2011, n. 27094; Cass., Sez. lav., 29/10/2010, n. 22171; 12/04/2001, n. 5515).

Nessun rilievo può assumere, in contrario, la circostanza, fatta valere dai ricorrenti, che negli atti di cessione il Comune ed i proprietari espropriati avessero espressamente e concordemente riconosciuto l’intervenuto acquisto a titolo originario della proprietà da parte dell’Amministrazione per effetto dell’accessione invertita, trattandosi di un elemento che, in quanto rilevante esclusivamente ai fini dell’interpretazione di tali contratti, riservata al giudice di merito e non censurata in sede di legittimità, non avrebbe potuto essere preso in considerazione dalla sentenza impugnata, con la conseguenza che l’omessa valutazione dello stesso non può dar luogo a revocazione ai sensi del combinato disposto dell’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4. L’errore di fatto che può legittimare la revocazione delle sentenze della Corte di cassazione deve infatti riguardare gli atti interni, cioè quelli che questa Corte è chiamata ad esaminare direttamente nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio, e deve avere quindi carattere autonomo, nel senso di incidere direttamente ed esclusivamente sulla sentenza impugnata (cfr. Cass., Sez. 2, 16/09/2016, n. 18251; Cass., Sez. 6, 5/03/2015, n. 4456; Cass., Sez. lav., 14/04/2010, n. 8907).

2. La mancata costituzione degl’intimati esclude la necessità di provvedere al regolamento delle spese processuali.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2018

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