Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22461 del 24/09/2018

Cassazione civile sez. I, 24/09/2018, (ud. 05/04/2018, dep. 24/09/2018), n.22461

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5235/2016 R.G. proposto da:

A.S.I.A. – AZIENDA SERVIZI IGIENE AMBIENTALE – NAPOLI S.P.A., in

persona del legale rappresentante p.t. I.F.,

rappresentata e difesa dagli Avv. Federica Sandulli e Antonio

Nardone, con domicilio eletto in Roma, via XX Settembre, n. 3;

– ricorrente e controricorrente –

contro

FIBE S.P.A., in persona del presidente p.t. M.A.,

rappresentata e difesa dagli Avv. Massimo Ambroselli ed Ennio

Magrì, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in

Roma, via G. d’Arezzo, n. 18;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – COMMISSARIO STRAORDINARIO DI

GOVERNO PER L’EMERGENZA RIFIUTI IN CAMPANIA, in persona del legale

rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale

dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– intimata –

e

DE VIZIA TRANSFER S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 4551/15

depositata il 25 novembre 2015;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 aprile 2018

dal Consigliere Guido Mercolino;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott. DE AUGUSTINIS Umberto, che ha

chiesto il rigetto del ricorso principale e la dichiarazione

d’inammissibilità o il rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La De Vizia Transfer S.p.a., appaltatrice del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani in una parte del territorio della città di Napoli, convenne in giudizio la committente A.S.I.A. – Azienda Servizi Igiene Ambientale – Napoli S.p.a., per sentirla condannare al rimborso dei maggiori oneri economici sostenuti a causa della situazione di emergenza notoriamente determinatasi nel settore, ed in particolare della congestione degli impianti di smaltimento, che aveva imposto il prolungamento dell’orario di lavoro degli autisti, l’impiego di un maggior numero di automezzi ed una maggiore percorrenza degli stessi, dirottati verso altri impianti.

Si costituì la convenuta, e resistette alla domanda, assumendo che gli oneri lamentati dall’attrice erano imputabili al Commissario Straordinario di Governo per l’Emergenza Rifiuti in Campania, cui spettava l’indicazione degli impianti di smaltimento, ed alla FIBE S.p.a., concessionaria degl’impianti, e chiedendo di essere autorizzata a chiamare in causa quest’ultima.

Autorizzata la chiamata in causa, si costituì la FIBE, ed eccepì la propria estraneità ai rapporti intercorsi tra l’attrice e la convenuta, anche con riguardo alla responsabilità extracontrattuale; chiese di essere autorizzata a chiamare in causa il Commissario Straordinario, per esserne manlevata, e propose domanda riconvenzionale nei confronti dell’ASIA, chiedendone la condanna al pagamento delle fatture emesse per lo smaltimento dei rifiuti.

Costituitosi a sua volta in giudizio, il Commissario Straordinario resistette alla domanda, opponendo il proprio difetto di legittimazione passiva.

1.1. Con sentenza del 14 gennaio 2010, il Tribunale di Napoli rigettò le domande.

2. L’impugnazione proposta dalla De Vizia è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Napoli, che con sentenza del 25 novembre 2015 ha invece accolto parzialmente il gravame incidentale proposto dalla FIBE, condannando l’ASIA al pagamento della somma di Euro 13.988.658,99, oltre interessi legali.

A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto escluso la natura extracontrattuale della domanda, evidenziando i ripetuti riferimenti dell’atto di citazione al contratto intercorso tra la De Vizia e l’ASIA, ed osservando che, nonostante l’affermazione dell’obbligo istituzionale dell’Agenzia di provvedere allo smaltimento dei rifiuti, la dedotta violazione dell’art. 19 del contratto d’appalto e la richiesta del compenso per i maggiori oneri sostenuti nell’esecuzione dello stesso costituivano indici sufficientemente univoci di una prospettazione dell’azione in termini contrattuali.

Ha invece confermato la devoluzione della controversia alla giurisdizione ordinaria, avendo la stessa ad oggetto non già il servizio pubblico di smaltimento dei rifiuti, ma esclusivamente il rispetto degli accordi contrattuali intercorsi tra le parti, rispetto ai quali il servizio costituiva null’altro che il contesto in cui s’inseriva il contratto d’appalto.

Nel merito, ha ritenuto soltanto parzialmente soddisfatto l’onere probatorio posto a carico dell’attrice, rilevando che quest’ultima, pur avendo correttamente fornito la prova della fonte negoziale del proprio diritto e allegato l’inadempimento della controparte, non aveva dimostrato i danni subiti a causa delle difficoltà incontrate nell’esecuzione del contratto. Ha rilevato infatti che la prova testimoniale a tal fine articolata risultava priva di ogni riferimento spaziale o temporale ed indeterminata nelle quantità, e quindi inidonea a sorreggere una precisa quantificazione del danno, mentre i documenti prodotti consistevano in tabelle unilateralmente predisposte, e quindi inidonee a fornire la prova dei maggiori costi sopportati. Ha precisato al riguardo che la natura particolare dell’appalto in questione avrebbe richiesto un’analitica indicazione delle giornate in cui si erano verificati i disagi lamentati, del numero dei dipendenti coinvolti in turni straordinari non previsti e dei compattatori rimasti bloccati in attesa di procedere allo scarico dei rifiuti, etc., in modo da fornire la base per le deposizioni dei testi e per l’espletamento della c.t.u. sollecitata dall’attrice.

La Corte ha ritenuto pertanto assorbite le domande di regresso proposte dal’ASIA nei confronti della FIBE e da quest’ultima nei confronti del Commissario Straordinario, mentre ha accolto la domanda riconvenzionale proposta dalla FIBE in primo grado e riproposta con l’appello incidentale, rilevando che l’ASIA non aveva mai contestato la sussistenza del credito, ma si era limitata ad eccepire l’avvenuta proposizione della medesima domanda in un altro giudizio da essa promosso, senza però produrre la comparsa di costituzione depositata dalla controparte in quel giudizio. Ha aggiunto che a sostegno della domanda la FIBE aveva prodotto le fatture emesse per il pagamento delle proprie prestazioni, fondate sulle tariffe previste dall’ordinanza commissariale n. 175/2001, nonchè certificazioni rilasciate dal Commissario Straordinario. Preso atto che in sede di gravame la FIBE aveva ridotto l’importo richiesto, in dipendenza di pagamenti intervenuti nelle more del giudizio, ha condannato l’ASIA al pagamento dell’importo indicato, sul quale ha riconosciuto gl’interessi in misura legale, non essendo stata prodotta l’ordinanza commissariale, invocata a sostegno dell’applicabilità di un tasso diverso.

3. Avverso la predetta sentenza l’ASIA ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. La FIBE ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale, articolato in due motivi ed anch’esso illustrato con memoria, al quale l’ASIA ha a sua volta resistito con controricorso. La Presidenza del Consiglio dei ministri non ha depositato difese scritte. La De Vizia non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 36 e 132 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver omesso di rilevare l’inammissibilità della domanda riconvenzionale proposta dalla FIBE, in quanto priva di un rapporto di dipendenza dal titolo dedotto in giudizio dall’attrice o da quello introdotto in via di eccezione. Premesso di aver eccepito l’inammissibilità fin dalla prima udienza successiva alla costituzione della FIBE e di averla ribadita negli atti successivi, osserva che tale domanda non era connessa nè a quella principale, avente ad oggetto il pagamento dei maggiori oneri sostenuti dall’attrice per l’esecuzione del contratto d’appalto, nè a quelle proposte dall’ASIA e dalla FIBE, aventi ad oggetto l’accertamento dell’esclusiva responsabilità rispettivamente di quest’ultima e del Commissario Straordinario per i predetti oneri.

1.1. Al riguardo, è opportuno premettere che, nel regime introdotto dalla L. 26 novembre 1990, n. 353 e da quelle successive che hanno ripetutamente modificato il testo degli artt. 183 e 184 c.p.c., la questione della novità della domanda risulta sottratta alla disponibilità delle parti e pienamente ricondotta al rilievo officioso del giudice, indipendentemente dall’accettazione del contraddittorio ad opera della controparte, dal momento che l’intera trattazione è improntata a canoni di concentrazione e speditezza che, in quanto espressione di un interesse pubblico ricollegabile al principio costituzionale della ragionevole durata del processo, non tollerano l’ampliamento successivo del thema decidendi, anche se in ordine allo stesso venga a registrarsi il consenso della controparte (cfr. Cass., Sez. 2, 30/11/2011, n. 25598; Cass., Sez. 1, 13/12/2006, n. 26691; Cass., Sez. 3, 27/07/2006, n. 17152). Alla stregua dei medesimi canoni, e considerato che anche la domanda riconvenzionale determina un ampliamento dell’oggetto del giudizio, deve ritenersi superato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, più volte ribadito in passato, che, con riguardo alla stessa, escludeva la rilevabilità d’ufficio del difetto di connessione con la domanda principale, evidenziando la natura privata dell’interesse sotteso alla relativa declaratoria, e ritenendo quindi necessaria, a tal fine, una specifica eccezione della controparte, con la conseguente esclusione dell’inammissibilità nel caso in cui quest’ultima avesse accettato il contraddittorio in ordine alla domanda in questione (cfr. Cass., Sez. 2, 30/04/2015, n. 8814; 11/08/1990, n. 8227; Cass., Sez. 1, 12/04/1990, n. 3116).

Nella specie, può quindi considerarsi ininfluente la circostanza, fatta valere dalla controricorrente ed ammessa dalla stessa ricorrente nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., che, diversamente da quanto sembra emergere dal ricorso, l’eccezione d’inammissibilità della domanda riconvenzionale proposta nella prima udienza successiva alla costituzione in giudizio della FIBE sia stata sollevata non già dall’ASIA, ma dalla De Vizia, estranea al rapporto processuale intercorrente tra la convenuta e la chiamata in causa, e quindi non legittimata a prospettare la predetta questione. Irrilevante è altresì la circostanza che l’eccezione d’inammissibilità, proposta in termini assai generici negli atti successivi dell’ASIA, non abbia costituito oggetto di specificazione neppure nella comparsa di costituzione dalla stessa depositata in appello, dal momento che, non essendo stata la domanda esaminata nella sentenza di primo grado, non poteva ritenersi precluso il rilievo d’ufficio della relativa questione da parte della Corte d’appello, con la conseguenza che all’appellata non incombeva l’onere di riproporla ai sensi dell’art. 346 c.p.c. o mediante l’appello incidentale (cfr. Cass., Sez. 2, 20/05/2011, n. 11259; Cass., Sez. 3, 13/06/2006, n. 13656; 20/03/2001, n. 4009).

1.2. Il motivo è peraltro infondato.

La relazione di dipendenza della domanda riconvenzionale “dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione”, che consente la trattazione simultanea delle cause, a condizione che la riconvenzionale non ecceda la competenza per materia o valore del giudice adito, dev’essere infatti intesa non già come identità della causa petendi, dal momento che l’art. 36 c.p.c. si limita a richiedere un rapporto di mera dipendenza, ma come comunanza della situazione o del rapporto giuridico dal quale traggono fondamento le contrapposte pretese delle parti, ovvero come comunanza della situazione o del rapporto giuridico sul quale si fonda la riconvenzionale con quello posto a base di un’eccezione, sì da delinearsi una connessione oggettiva qualificata della domanda riconvenzionale con l’azione o l’eccezione proposta (cfr. Cass., Sez. 3, 20/12/2011, n. 27564; Cass., Sez. 1, 19/03/2007, n. 6520; Cass., Sez. lav., 26/05/2005, n. 11083). Tale principio, da tempo impostosi nella giurisprudenza di legittimità, trae oggi nuova linfa anche dall’allargamento dei margini di espansione della materia del contendere ricollegabile al più recente orientamento di questa Corte in tema di modificazione della domanda, secondo cui la relativa facoltà può essere ritualmente esercitata in corso di causa anche nel caso in cui il mutamento riguardi uno o entrambi gli elementi costitutivi della pretesa azionata (petitum e causa petendi), purchè la domanda così modificata risulti comunque inerente alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e siano altresì rispettate le preclusioni processuali previste dall’art. 183 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. Un., 15/06/2015, n. 12310; Cass., Sez. 3, 21/11/2017, n. 27566; Cass., Sez. 1, 22/12/2016, n. 26782): i margini di elasticità in tal modo accordati all’attore nella conformazione dell’oggetto e del titolo della domanda, alla sola condizione che siano salvaguardate le prerogative difensive della controparte, non possono infatti non essere riconosciuti anche al convenuto, con la medesima ampiezza, ai fini della proposizione della domanda riconvenzionale, purchè sia rispettato il rapporto di dipendenza tra la stessa e la vicenda da cui trae origine il processo.

Tale rapporto deve ritenersi configurabile anche nella fattispecie in esame, avuto riguardo al titolo posto a fondamento della domanda di manie-va proposta dall’ASIA nei confronti della FIBE, che, in quanto costituito dalla responsabilità di quest’ultima per la gestione degl’impianti, ad essa affidati in concessione, presso i quali doveva aver luogo lo smaltimento dei rifiuti, presentava uno stretto collegamento, almeno in via di fatto, con quello dedotto a sostegno della domanda riconvenzionale, a sua volta rappresentato dal contratto stipulato dalla terza chiamata in causa, nella medesima veste, per il conferimento dei rifiuti da parte della convenuta. Nessun rilievo può assumere, in contrario, la circostanza che la domanda di manleva fosse volta a riversare sulla FIBE le conseguenze economiche dell’eventuale accoglimento di quella proposta dalla De Vizia, avente il suo titolo in un rapporto diverso, e cioè nel contratto di appalto dalla stessa stipulato con l’ASIA per il trasporto dei rifiuti, non risultando tale diversità idonea ad escludere l’identità della vicenda sostanziale dalla quale scaturivano entrambe le domande, e non occorrendo comunque, ai fini previsti dall’art. 36 c.p.c., che il rapporto di dipendenza investa tutte le domande proposte nei confronti delle altre parti in causa.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 39 e 115 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver escluso il rapporto di litispendenza tra la domanda riconvenzionale proposta dalla FIBE e quella avanzata dalla stessa in un precedente giudizio tra le medesime parti. Premesso che tale giudizio risulta ancora pendente dinanzi al Tribunale di Napoli, osserva che l’avvenuta proposizione della predetta domanda, eccepita fin dalla prima udienza successiva alla costituzione del terzo chiamato e non presa in considerazione dal Giudice di primo grado, è stata ritenuta non provata dalla sentenza impugnata, pur in assenza di qualsiasi contestazione da parte della FIBE. Precisato che quest’ultima in primo grado aveva prodotto anche la comparsa di costituzione depositata nell’altro giudizio, aggiunge che, ai fini della litispendenza, non poteva assumere alcun rilievo la circostanza che i due giudizi, originariamente promossi dinanzi a giudici diversi, fossero entrambi proseguiti dinanzi al Tribunale di Napoli, a seguito della dichiarazione d’incompetenza del Tribunale di Nola, dinanzi al quale era stata proposta la prima domanda, dal momento che il principio del ne bis in idem, rispondente all’interesse pubblico ad evitare o eliminare l’incertezza delle situazioni giuridiche, avrebbe imposto di trattare esclusivamente la causa iniziata per prima e di procedere alla cancellazione di quella successiva.

2.1. Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

Premesso che la documentazione attestante la litispendenza può essere prodotta anche in sede di legittimità, non essendo soggetta alla preclusione prevista dall’art. 372 c.p.c., in quanto riguardante una questione proponibile in ogni grado di giudizio e rilevabile anche d’ufficio (cfr. Cass., Sez. 6, 22/12/2016, n. 26862; Cass., Sez. 3, 7/03/2001, n. 3340), occorre rilevare che, come risulta pacifico tra le parti, il presente giudizio, promosso dalla De Vizia nei confronti dell’ASIA e successivamente esteso al Commissario Straordinario di Governo ed alla FIBE con atti di chiamata in causa proposti dalla convenuta, è stato instaurato dinanzi al Tribunale di Napoli successivamente alla introduzione di un altro giudizio, promosso dall’ASIA nei confronti della FIBE ed anch’esso esteso al Commissario Straordinario. La documentazione prodotta attesta poi che quest’ultimo giudizio, avente originariamente ad oggetto le domande di risarcimento dei danni reciprocamente proposte dalle parti per l’inadempimento degli obblighi inerenti allo smaltimento dei rifiuti, è stato instaurato dapprima dinanzi al Tribunale di Nola, che con sentenza del 12 aprile 2007 ha dichiarato la propria incompetenza per territorio, ed in seguito riassunto dall’attrice dinanzi al Tribunale di Napoli; nel costituirsi dinanzi a quest’ultimo, la FIBE ha proposto la medesima domanda di pagamento delle somme dovute per lo smaltimento dei rifiuti, precedentemente proposta nel presente giudizio.

Ciò posto, si osserva che, indipendentemente dall’originaria instaurazione dinanzi a giudici diversi, i due giudizi, per effetto della dichiarazione d’incompetenza pronunciata dal Tribunale di Nola e della successiva riassunzione del primo dinanzi al Tribunale di Napoli, si sono trovati a pendere contemporaneamente ma separatamente dinanzi a quest’ultimo: poichè il rapporto tra giudici appartenenti al medesimo ufficio giudiziario non è configurabile in termini di competenza, la predetta circostanza doveva considerarsi di per sè sufficiente ad escludere l’ammissibilità della cancellazione di una delle due cause dal ruolo, dovendo la questione del rapporto d’identità, connessione o pregiudizialità tra le stesse essere risolta mediante la rimessione dei fascicoli al capo dell’ufficio, affinchè provvedesse ai sensi degli artt. 273 e 274 c.p.c., a meno che il diverso stato in cui si trovavano i due procedimenti non ne impedisse la riunione (cfr. Cass., Sez. 6, 17/05/2017, n. 12441; 30/10/2015, n. 22292; 26/07/2012, n. 13330); poichè, inoltre, la valutazione dell’opportunità della trattazione congiunta è rimessa alla discrezionalità del giudice dinanzi al quale i procedimenti sono pendenti, la mancata adozione dei predetti provvedimenti non era sindacabile in fase di gravame, e non è quindi utilmente censurabile neppure in questa sede (cfr. Cass., Sez. 2 4/03/2005, n. 4776; Cass., Sez. 3, 2/02/2004, n. 1873).

3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 101,115,116,163,164,167,342,343 e 345 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver omesso di rilevare la irritualità della domanda riconvenzionale e dello stesso gravame incidentale proposti dalla FIBE, nonostante la mancata allegazione dei fatti posti a fondamento della prima e la mancata indicazione del secondo nell’intestazione della comparsa di costituzione in appello. Premesso che nella comparsa di costituzione in primo grado la terza chiamata si era limitata a richiamare genericamente le fatture, osserva che la domanda non è stata precisata nè nelle memorie di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c., non depositate, nè nella comparsa conclusionale di primo grado, ma solo nella comparsa conclusionale e nella memoria di replica depositate in appello, in cui sono state elencate le fatture rimaste insolute. Precisato di non aver mai accettato il contraddittorio in ordine alla domanda riconvenzionale, afferma la tardività della predetta allegazione e l’insufficienza della prova del credito, costituendo le fatture una prova sufficiente soltanto nel procedimento monitorio, e non essendo stata prodotta l’ordinanza commissariale comprovante l’esattezza degl’importi richiesti.

3.1. Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

La natura processuale del vizio lamentato consente di procedere all’esame diretto degli atti, dal quale risulta che, nel proporre la domanda ricon-venzionale, la FIBE provvide a specificare puntualmente il relativo titolo, costituito dal servizio di smaltimento dei rifiuti reso in favore dell’ASIA, ed il relativo oggetto, rappresentato dalla relativa tariffa, ammontante complessivamente ad Euro 68.717.642,50, precisando che tale credito risaliva al 2003 e richiamando le fatture emesse e l’ordinanza commissariale di determinazione della tariffa. L’indicazione del rapporto da cui traeva origine il credito e del relativo importo, nonchè dell’epoca cui risalivano le prestazioni effettuate doveva ritenersi di per sè sufficiente a consentire alla controparte di rendersi conto dell’oggetto della domanda e di procedere alle necessarie verifiche, ai fini della predisposizione di eventuali difese, restando irrilevante la mancata allegazione delle fatture (successivamente prodotte) e del provvedimento commissariale, di cui l’ASIA era sicuramente a conoscenza, in quanto attinente all’attività da essa svolta. Può quindi escludersi, nella specie, la sussistenza della dedotta nullità della domanda ai sensi dell’art. 164 c.p.c., comma 4, la quale, producendosi soltanto quando l’esposizione dei fatti che ne costituiscono le ragioni sia stata omessa o risulti assolutamente incerta, postula una valutazione complessiva delle indicazioni contenute dell’atto introduttivo del giudizio e della documentazione allo stesso allegata, da compiersi tenendo conto da un lato della ratio ispiratrice dell’art. 163 c.p.c., comma 3, n. 4, consistente nell’esigenza di porre immediatamente il convenuto in condizione di apprestare adeguate e puntuali difese, ancor prima che di dare al giudice immediata contezza del thema decidendum, e dall’altro della natura e dell’oggetto della causa, nonchè della relazione in cui con lo stesso si trovi eventualmente il convenuto, se tale, cioè, da consentire comunque un’agevole individuazione di quanto l’attore richiede e delle relative ragioni (cfr. Cass., Sez. 2, 29/01/2015, n. 1681; Cass., Sez. 3, 15/05/2013, n. 11751; Cass., Sez. 1, 12/11/2003, n. 17023). L’oggetto della domanda, costituito dall’adempimento di un debito pecuniario, consente d’altronde di escludere che la creditrice fosse tenuta ad ulteriori precisazioni, potendo essa limitarsi, conformemente ai principi generali, ad indicare e provare la fonte del proprio diritto e la scadenza prevista per il pagamento, nonchè ad allegare l’inadempimento della debitrice, e restando a carico di quest’ultima l’onere di fornire la prova del fatto estintivo della pretesa azionata, costituito dall’avvenuto adempimento dell’obbligazione, ovvero di eccepire l’inadempimento della controprestazione, ai sensi dell’art. 1460 c.c. (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533; Cass., Sez. 3, 20/01/2015, n. 826; Cass., Sez. 1, 15/07/2011, n. 15659).

Nel lamentare l’insufficienza delle fatture e la mancata produzione della ordinanza commissariale, ai fini della prova del credito, la ricorrente solleva poi una questione che non può trovare ingresso in questa sede, in quanto avente ad oggetto l’efficacia probatoria della documentazione acquisita, la cui valutazione, rimessa in via esclusiva al giudice di merito, non è censurabile in sede di legittimità, neppure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 il quale, nel testo sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, circoscrive il vizio di motivazione deducibile con il ricorso per cassazione all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in tal modo escludendo la sindacabilità della sufficienza e della correttezza logica della motivazione in ordine all’efficacia probatoria delle risultanze processuali (cfr. Cass., Sez. 6, 10/02/2015, n. 2498; 16/07/2014, n. 16300).

4. Con il primo motivo del ricorso incidentale, la controricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, e art. 167 c.p.c., comma 1, e dell’art. 1460 c.c., comma 1, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, pur avendo accolto la domanda riconvenzionale, ha riconosciuto sull’importo dovuto gl’interessi legali, anzichè gl’interessi moratori e la penale previsti dalla ordinanza commissariale n. 175/2001. Premesso che l’ASIA non aveva mai contestato la sussistenza dei crediti azionati, ivi compreso quello relativo agl’interessi ed alla penale, ma si era limitata ad eccepire l’avvenuta proposizione della medesima domanda in un altro giudizio, senza prendere posizione in ordine ai fatti costitutivi della stessa, afferma che il mancato rinvenimento in atti dell’ordinanza commissariale non impediva il riconoscimento del predetto credito, risultando pacifica la cogenza del provvedimento in ordine sia all’an che al quantum e alla decorrenza.

4.1. Il motivo è infondato.

Il principio, sancito dall’art. 115 c.p.c., comma 1, secondo cui i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita possono essere posti a fondamento della decisione senza necessità di prova, non opera infatti nel caso in cui, come per la pattuizione d’interessi extralegali, il fatto costitutivo del diritto azionato sia rappresentato da un atto per il quale la legge impone la forma scritta ad substantiam, dal momento che in tale ipotesi, a differenza di quanto accade nel caso in cui una determinata forma sia richiesta ad probationem, l’osservanza dell’onere formale non è prescritta esclusivamente ai fini della dimostrazione del fatto, ma per l’esistenza stessa del diritto fatto valere, il quale, pertanto, può essere provato soltanto in via documentale, non risultando sufficienti nè la prova testimoniale o per presunzioni, nè la stessa confessione della controparte (cfr. Cass., Sez. 1, 14/01/1981, n. 326; 23/01/1967, n. 198; 27/05/1964, n. 1326; Cass., Sez. 2, 24/11/1980, n. 6231).

5. Con il secondo motivo, la controricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 169 e 183 c.p.c. e degli artt. 74,77 e 87 disp. att. c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver negato il riconoscimento degl’interessi moratori e della penale, a causa del mancato rinvenimento in atti dell’ordinanza commissariale, senza considerare che, essendo comprovata l’avvenuta produzione della stessa all’atto della costituzione in giudizio, e non avendo essa controricorrente mai provveduto al ritiro del proprio fascicolo, la Corte distrettuale era tenuta a disporne la ricerca e, in caso di esito negativo, ad autorizzare la ricostruzione del suo contenuto.

5.1. Il motivo è infondato.

In tema di prova documentale, questa Corte, nell’enunciare il principio secondo cui il mancato reperimento nel fascicolo di ufficio, al momento della discussione della causa, di documenti che, come attestato dalla cancelleria, risultino essere stati ritualmente prodotti nel fascicolo di parte, senza che la parte che li ha prodotti abbia manifestato la volontà di non avvalersene, impone al giudice, ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 4, di disporne la ricerca in cancelleria e, in caso di esito negativo, di autorizzare la ricostruzione del loro contenuto, ha infatti precisato che tale obbligo è configurabile esclusivamente nel caso in cui sia stato denunciato lo smarrimento incolpevole dei documenti, ove lo stesso non risulti in maniera palese anche in assenza di un’espressa segnalazione in tal senso, e il mancato rinvenimento non sia, anche in base a presunzioni deducibili dalle concrete modalità dei fatti, riconducibile alla condotta volontaria della parte (cfr. Cass., Sez. 6, 26/04/2017, n. 10224; 29/01/2016, n. 1806; Cass., Sez. 3, 27/06/2016, n. 13218). Entrambe le predette condizioni possono considerarsi nella specie insussistenti, non essendo stato neppure dedotto, a sostegno della censura in esame, che lo smarrimento del documento fosse stato segnalato nel corso del giudizio di merito, ed avendo la Corte distrettuale dato atto, per converso, che il fascicolo di parte della ricorrente conteneva soltanto gli allegati dell’ordinanza, senza rilevare alcuna anomalia che potesse indurre a sospettare la manomissione del fascicolo o la sottrazione del provvedimento.

8. Entrambi i ricorsi vanno pertanto rigettati.

La soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese processuali tra la ricorrente e la controricorrente. L’estraneità della Presidenza del Consiglio alle questioni sollevate con il ricorso principale ed il ricorso incidentale giustifica la compensazione delle spese processuali anche nei rapporti con la stessa.

PQM

rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa integralmente le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2018

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