Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22460 del 27/09/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. III, 27/09/2017, (ud. 28/04/2017, dep.27/09/2017),  n. 22460

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19436-2015 proposto da:

D.F.D., domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIOVANNI QUARTICELLI giusta procura speciale a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

ESSEGI SAN GIUSEPPE SRL in persona del suo legale rappresentante pro

tempore SE.E. REV.MA MONSIGNOR T.F., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA APPIA NUOVA 37/A, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIO CANINI, rappresentata e difesa dall’avvocato

ENRICO ALFREDO PELLEGRINI giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

G.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 90/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 10/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/04/2017 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Bari sezione specializzata agraria, con sentenza 10.2.2015 n. 90, rigettando l’appello proposto da D.F.D., ha confermato integralmente la decisione di prime cure che aveva dichiarato cessato alla data 10.11.2013 il contrato di affitto agrario stipulato dalla concedente ESSEGI San Giuseppe s.r.l. con D.F.D., dichiarando quest’ultimo decaduto dalla domanda riconvenzionale relativa alla corresponsione dell’indennità per i miglioramenti apportati al fondo L. n. 203 del 1982, ex art. 17. I Giudici di appello hanno rilevato che: a) la lettera 13.1.2014 sottoscritta dal D.F. relativa alla convocazione della parte e dell’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura per il tentativo di conciliazione, richiamava espressamente il contratto stipulato il 20.2.2008 del quale contestava la efficacia derogatoria della disciplina legale ma non anche la propria sottoscrizione che doveva pertanto intendersi implicitamente riconosciuta; b) la contestuale stipula del nuovo contratto agrario e dell’atto transattivo in data 20.2.2008 con il quale le parti avevano inteso regolare le controversie insorte in relazione al precedente contratto del 18.4.2000, esprimeva la concorde volontà delle parti di dare attuazione ad un nuovo rapporto, dovendo escludersi, pertanto, che il mero mantenimento della detenzione del fondo ed il pagamento dei canoni effettuato dal D.F. dopo la scadenza dell’originario rapporto, in data 10.11.2005, integrassero una rinnovazione tacita del primo contratto; c) esente da vizi era l’accertamento compiuto dal primo giudice in ordine alla partecipazione effettiva, ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 45 delle associazioni di categoria alla stipula del contratto del 20.2.2008; d) la mancata espressa deroga alla L. n. 203 del 1982, art. 4 non impediva di ricavare dal testo negoziale la volontà delle parti di derogare alla disciplina della disdetta, essendo stato definito dalle parti “improrogabile” il termine di scadenza del contratto ed essendo stata prevista la facoltà della società concedente ad immettersi immediatamente nel fondo alla scadenza, senza formalità e senza preavviso, condizioni tutte incompatibili e derogatorie della disciplina legale della disdetta; e) la inammissibilità della domanda riconvenzionale concernente la indennità per migliorie, doveva essere confermata in quanto, pur avendo il D.F. ritualmente richiesto lo spostamento della udienza ai sensi dell’art. 418 c.p.c.nella memoria di costituzione in primo grado, e non avendo provveduto all’incombente il Tribunale, non aveva poi insistito nella richiesta nella prima udienza utile.

La sentenza di appello è stata ritualmente impugnata per cassazione da D.F.D. con quattro motivi.

Resiste con controricorso ESSEGI San Giuseppe s.r.l..

Non ha svolto difese G.R..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Primo motivo: violazione degli artt. 214,215 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il ricorrente contesta l’affermazione della Corte d’appello secondo cui il disconoscimento in giudizio della sottoscrizione della scrittura privata del 20.2.2008 sarebbe da ritenere precluso dal riconoscimento implicito stragiudiziale desunto dalla lettera trasmessa alla ESSEGI San Giuseppe s.r.l. ed all’IPA di Foggia, in quanto nel corso del tentativo di conciliazione non era stata prodotta dalla concedente la scrittura privata e dunque difettava l’elemento della “produzione del documento” integrativo della fattispecie disciplinata dall’art. 2702 c.c. e dall’art. 214 c.p.c., comma 1.

L’assunto è manifestamente infondato.

Premesso che l’affermazione della mancata “produzione” della scrittura in data 20.2.2008, durante l’esperimento del tentativo di conciliazione, è del tutto indimostrato, è appena il caso di considerare che in tanto il D.F. ha potuto richiedere il tentativo di conciliazione sulla controversia potenziale insorta tra le parti in ordine alla efficacia derogatoria della disciplina legale contenuta nelle clausole del contratto, in quanto ESSEGI San Giuseppe s.r.l. aveva preteso di far valere detta scrittura nei confronti dell’affittuario il quale era stato posto bene a conoscenza della esistenza e del contenuto del documento, avendo formulato specifiche e dettagliate contestazioni delle disposizioni negoziali, venendo a svolgere, pertanto, la suddetta condotta della società concedente, nella fase stragiudiziale, la stessa funzione (di indicazione della riferibilità della scrittura al sottoscrittore) della corrispondente condotta consistente nella “produzione” del documento -, richiesta alla parte che intenda avvalersi in giudizio della scrittura contro colui dal quale appaiono provenire le dichiarazioni in essa contenute ex art. 2702 c.c. e art. 241 c.p.c. (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 21744 del 17/11/2004).

La attività di “produzione” del documento risulta, peraltro, elemento del tutto estrinseco alla fattispecie in esame, ove si ponga mente che il “riconoscimento espresso o tacito” della scrittura, compiuto al di fuori del processo, deve inquadrarsi nello schema della dichiarazione confessoria stragiudiziale ex art. 2735 c.c.ovvero della condotta concludente incompatibile con l’esercizio del disconoscimento della scrittura privata in giudizio (che si configura come eccezione in senso stretto: Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 11911 del 07/08/2003), venendo ad incontrare, pertanto, i limiti imposti dall’art. 2732 c.c. alla revoca della confessione, nel caso in cui il sottoscrittore, convenuto in giudizio, intenda procedere al disconoscimento della scrittura (riconosciuta stragiudizialmente) che viene prodotta e fatta valere contro di lui dalla parte processuale che intenda avvalersene.

Corretta appare, pertanto, sul punto la decisione della Corte di appello che si è conformata al precedente di questa Corte Sez. 1, Sentenza n. 21744 del 17/11/2004, che il Collegio condivide (in quel caso, il “riconoscimento implicito” in fase stragiudiziale della sottoscrizione di cambiali era stato desunto dalla partecipazione della obbligata cambiaria all’atto pubblico di costituzione di ipoteca a favore del creditore cambiario). Il richiamo operato dal ricorrente al precedente di questa Corte Sez. 1, Sentenza n. 7334 del 05/07/1993 non è in contrasto con le precedenti affermazioni, atteso che, in quel caso, il comportamento pregresso della parte disconoscente la scrittura veniva in questione non in relazione all’effetto abdicativo della eccezione, ma sotto il diverso profilo della valutazione probatoria degli elementi dedotti nel procedimento di verificazione. Costituisce, infatti, giudizio di merito, insindacabile in sede di legittimità se esaustivamente argomentato, l’accertamento della inequivocità e concludenza del comportamento stragiudiziale abdicativo della proposizione in giudizio della eccezione di disconoscimento della scrittura, rispetto – invece – alla diversa ipotesi del comportamento stragiudiziale della parte, equivoco o meramente incoerente, che non consentendo di pervenire ad un giudizio di certezza ex ante in ordine al riconoscimento della scrittura, non impedisce l’esercizio del disconoscimento in giudizio, rilevando esclusivamente sul piano della valutazione probatoria del procedimento di verificazione.

Infondata è, peraltro, anche la censura volta a dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. (disponibilità delle prove), sul presupposto della asserita illegittima rilevabilità di ufficio della inammissibilità del disconoscimento della scrittura, tenuto conto che il potere di allegazione e deduzione riservato alle parti, nella specie, si era esaurito con la produzione in giudizio della lettera trasmessa dal D.F. alla ESSEGI ed all’IPA di Foggia -contenente l’espresso riferimento al contratto 20.2.2008 stipulato dalle parti e nella quale venivano contestate le clausole negoziali derogatorie della disciplina legale -, non essendovi dubbio che, una volta ritualmente acquisita la prova documentale al processo, il Giudice di merito non incontri limiti nella attività di valutazione della stessa secondo il suo prudente apprezzamento (art. 116 c.p.c.).

Nella specie, peraltro, il riconoscimento implicito, in fase stragiudiziale, della sottoscrizione della scrittura privata comporta la rinuncia ex ante ad avvalersi in giudizio della eccezione ex art. 214 c.p.c.. Orbene l’effetto abdicativo di tale rinuncia, qualora costituisca oggetto di eccezione di controparte, non integra, in difetto di specifica previsione della norma processuale, una eccezione “propria o in senso stretto”, tale da impedire l’attività di rilevazione da parte del Giudice di merito dei fatti allegati a sostegno della stessa, non essendo condizionato l’effetto giuridico abdicativo (del disconoscimento giudiziale) all’esercizio di attività potestativa della controparte processuale.

Il riconoscimento stragiudiziale della scrittura, è infatti direttamente rilevabile dal Giudice ove risultante dalle acquisizioni documentali, dovendo al riguardo ribadirsi il principio enunciato da questa Corte secondo cui il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati “ex actis”, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d’ ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (cfr. Corte cass. Sez. U, Ordinanza interlocutoria n. 10531 del 07/05/2013; id. Sez. 3, Sentenza n. 4548 del 26/02/2014).

Secondo motivo: travisamento atti di causa; omessa od insufficiente motivazione; violazione della L. n. 203 del 1982, art. 45 e dell’art. 216 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Il motivo è inammissibile, ancor prima che infondato, in quanto, premesso che il “vizio di travisamento dei fatti” avrebbe dovuto essere veicolato attraverso lo specifico mezzo di impugnazione previsto dall’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4), il ricorrente si limita a contestare l’accertamento in fatto compiuto dal Giudice di appello, omettendo di indicare il fatto storico principale o secondario, decisivo, che risulta omesso dal Giudice di appello, non rispondendo, pertanto, allo schema legale del vizio di legittimità denunciabile avanti al Corte cassazione, come contemplato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella nuova formulazione – applicabile alle sentenze di appello pubblicate successivamente all’11.9.2012 – introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, conv. in L. n. 134 del 2012, che ha escluso il sindacato sulla inadeguatezza del percorso logico posto a fondamento della decisione, condotto alla stregua di elementi extratestuali, limitandolo alla verifica del requisito essenziale di validità ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, inteso come “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, secondo la interpretazione fornita da questa Corte (cfr. Corte cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13928 del 06/07/2015) ed ha inoltre limitato la omissione del Giudice di merito – rilevante ai fini del vizio di legittimità- alla pretermissione di un “fatto storico”, principale o secondario, ritualmente verificato in giudizio e di carattere “decisivo” in quanto idoneo ad immutare l’esito della decisione, fatto storico che non è stato indicato dalla ricorrente principale (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 22/09/2014),

Le censure prospettate nel motivo, relative a plurimi distinti vizi di legittimità – dedotte peraltro in forma cumulativa senza che sia consentito distinguere all’interno della esposizione del motivo gli argomenti a supporto di ciascun singolo vizio -, non evidenziano, infatti, specifici “fatti storici” non considerati dal Giudice di appello, ma piuttosto si risolvono in una inammissibile richiesta alla Corte di una nuova rivalutazione nel merito dei fatti, non consentita in sede di legittimità (cfr. (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5024 del 28/03/2012; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014)

Il motivo si palesa inoltre inammissibile anche per difetto del requisito prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto nella esposizione delle censure il ricorrente intende prospettare una diversa interpretazione delle disposizioni dell’accordo stipulato in data 20.2.2008, ma omette del tutto di trascrivere le disposizioni negoziali dalle quali emergerebbe – secondo l’assunto difensivo – che le parti non avrebbero inteso “sostituire” un nuovo regime di durata del rapporto, derogatorio rispetto a quello legale.

Anche l’unica censura autonomamente individuabile, concernente la violazione dell’art. 216 c.p.c., deve essere dichiarata inammissibile.

Il ricorrente sostiene di avere tempestivamente disconosciuto anche l’altra scrittura privata prodotta in giudizio, e cioè l’accordo transattivo stipulato contemporaneamente al contratto di affitto in data 20.2.2008: contesta che il Giudice di appello, in difetto di verificazione della scrittura, non avrebbe potuto prenderla in esame laddove ha statuito che le parti hanno avevano voluto innovare al precedente rapporto.

La censura deduce un vizio processuale, ma non assolve al requisito di specificità del “fatto processuale” ex art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6 (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 13374 del 27/07/2012; id. Sez. L, Sentenza n. 896 del 17/01/2014), non individuando il ricorrente l’atto processuale, ed il luogo in cui è rinvenibile, da cui risulta la sequenza produzione-disconoscimento, non essendo idoneo a tal fine il richiamo alla comparsa di risposta di ESSEGI, anzichè – come necessario – la specifica indicazione del verbale di udienza o dell’atto difensivo in cui il D.F. avrebbe esercitato il disconoscimento dell’atto transattivo stipulato in data 20.2.2008. Va ribadito a tal fine il principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito. Precisano infatti, in motivazione, le Sezioni Unite che “Nemmeno in quest’ipotesi viene meno, in altri termini, l’onere per la parte di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso, da intendere come un corollario del requisito della specificità dei motivi d’impugnazione, ora tradotto nelle più definite e puntuali disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (disposizioni in cui si fa espressa menzione anche degli “atti processuali”): sicchè l’esame diretto degli atti che la corte è chiamata a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato” (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012).

In ogni caso la censura appare anche inconferente, posto che la denunciata violazione processuale (la Corte d’appello avrebbe richiamato l’atto transattivo che doveva considerarsi privo di efficacia probatoria essendo stato disconosciuto dal D.F. e non avendo ESSEGI richiesto la verificazione), non rifluisce sulla “ratio decidendi” che è fondata, in via principale, sull’argomento secondo cui la mera prosecuzione della detenzione del fondo dopo la scadenza dell’originario contratto di affitto, ed il pagamento dei canoni, erano elementi in sè inidonei a dimostrare la volontà delle parti di concludere un nuovo accordo secondo la disciplina legale. Soltanto “ad abundantiam” la Corte d’appello aggiunge (“…tanto più….Dall’altro lato…”: sentenza in motiv. pag. 6) che detta volontà rimaneva esclusa in considerazione della situazione litigiosa pregressa e della innovazione del precedente rapporto attraverso la stipula del nuovo accordo in data 20.2.2008, ed in misura ulteriormente subordinata anche dall’atto transattivo, al quale peraltro la Corte territoriale si riferisce non ai fini della applicazione degli effetti giuridici prodotti dall’atto negoziale vincolante per le parti, ma quale mero accadimento storico.

Ne segue che anche eliminato ogni riferimento all’atto transattivo – ove da ritenersi scrittura disconosciuta in giudizio dal D.F. -, la statuizione impugnata rimane egualmente assistita da una propria autonoma “ratio decidendi”.

Terzo motivo: insufficiente motivazione e violazione dei criteri di interpretazione del contratto ex art. 1362 c.c., comma 1 e art. 1363 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Il motivo è manifestamente inammissibile.

Indipendentemente dalla mancata corrispondenza della censura al paradigma legale del vizio motivazionale, il ricorrente omette del tutte la trascrizione del contenuto delle disposizioni contrattuali interessate dalla censura (artt. 2, 4 e 7 del contratto di affitto), delle quali contesta la erronea interpretazione da parte del Giudice di appello, impedendo a questa di Corte di verificare la congruità e pertinenza del vizio denunciato. Inoltre incentra interamente la argomentazione a supporto del motivo prospettando una propria interpretazione del contenuto contrattuale che se, da un lato, omette di evidenziare l’errore in cui sarebbe incorso il Giudice di merito nella applicazione del criterio ermeneutico asseritamente violato, dall’altro si risolve, in sostanza, nella mera prospettazione di un possibile significato alternativo, delle disposizioni negoziali, diverso da quello accolto dalla Corte territoriale, ed in quanto tale è inidoneo ad inficiare la corretta applicazione dei criteri ermeneutici utilizzati dal Giudice di merito. Va ribadito a tal fine che “l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 10131 del 02/05/2006; id. Sez. 2, Sentenza n. 3644 del 16/02/2007; id. Sez. 1, Sentenza n. 4178 del 22/02/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 15604 del 12/07/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009; id. Sez. 2, Sentenza n. 19044 del 03/09/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 16254 del 25/09/2012; id. Sez. 1, Sentenza n. 6125 del 17/03/2014).

Quarto motivo: omesso esame della domanda di pagamento delle migliorie e/o rimborso dei costi sostenuti; violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il ricorrente censura la statuizione della Corte di appello che ha dichiarato inammissibile la domanda riconvenzionale, formulata in primo grado dal D.F., volta ad ottenere la indennità L. n. 203 del 1982, ex art. 17 sostenendo che il Giudice di merito avrebbe omesso di pronunciare, sulla domanda di condanna.

La Corte territoriale, pur avendo rilevato l’errore commesso dal Giudice di primo grado, che aveva omesso il differimento della udienza ex art. 418 c.p.c. sebbene ritualmente richiesto dal D.F. nella memoria di costituzione e di risposta in primo grado con la quale aveva formulato domanda riconvenzionale per il pagamento della indennità per migliorie, ha ritenuto tuttavia di non dover pronunciare sulla domanda in quanto la parte non aveva contestato l’errore del Giudice di primo grado alla prima udienza utile, nè aveva instato nuovamente per il differimento della udienza e l’assegnazione del termine per la notifica della memoria contenente la domanda riconvenzionale.

La censura è fondata.

Escluso che la Corte d’appello abbia inteso valutare l’inerzia del comportamento processuale della parte come manifestazione di volontà di rinuncia/abbandono della domanda riconvenzionale – ipotesi che non emerge dalla sentenza nè dagli atti regolamentari, tanto più dovendo presumersi che la parte abbia manifestato la volontà contraria richiedendo l’accoglimento della domanda riconvenzionale anche nelle precisate conclusioni, avendo il Tribunale espressamente pronunciato in rito su tale domanda -, il Giudice territoriale si è ritenuto assolto dall’obbligo di pronuncia in ordine alla domanda riconvenzionale sul presupposto che gravava sulla parte, la quale correttamente aveva adempiuto alla prescrizione dettata dell’art. 418 c.p.c., comma 1, l’onere di sollecitare l’attività processuale omessa dal Giudice di primo grado. Tale statuizione contrasta con le norme processuali secondo cui le nullità processuali si convertono in motivi di gravame, essendo tenuto il Giudice di appello, ove constati l'”error in procedendo” – al difuori delle tassative ipotesi di rimessione della causa al primo giudice previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c. -, a rinnovare o disporre gli atti necessari ad emendare la nullità verificatasi in primo grado, decidendo quindi nel merito.

L’errore commesso dal primo giudice è stato puntualmente investito da motivo di gravame dedotto con l’atto di appello proposto dal D.F. (ricorso pag. 8).

Non ricorrendo, pertanto, alcuna delle cause di rimessione al primo Giudice ex artt. 353 e 354 c.p.c. (nella specie, infatti, non vi è una pronuncia viziata in quanto resa a contraddittorio non integro, ma è stata omessa del tutto la fase della instaurazione del contraddittorio tra le parti sulla domanda riconvenzionale), la Corte d’appello avrebbe dovuto fissare il differimento della udienza ex art. 418 c.p.c., e procedere quindi all’esame nel merito della domanda riconvenzionale (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 4488 del 25/02/2009; id. Sez. 2 -, Sentenza n. 27516 del 30/12/2016).

Il motivo va dunque accolto, la sentenza cassata in parte qua, e la causa rimessa al Giudice del rinvio perchè provveda alle ulteriori attività processuali ed all’esame della domanda riconvenzionale proposta dal D.F..

In conclusione il ricorso trova accoglimento quanto al quarto motivo, infondato il primo motivo, inammissibili gli altri; la sentenza deve essere cassata in parte qua con rinvio della causa affinchè il Giudice d’appello provveda alla instaurazione del contraddittorio ed all’esame della domanda riconvenzionale.

Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (controversia agraria).

PQM

 

accoglie il quarto motivo di ricorso; rigetta il primo motivo e dichiara inammissibili il secondo ed il terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Bari in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA