Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22457 del 27/09/2017


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Cassazione civile, sez. III, 27/09/2017, (ud. 19/04/2017, dep.27/09/2017),  n. 22457

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13300-2015 proposto da:

A.R., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MASSIMO MAMBELLI giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

e contro

L.E.D.M. PROJECT DI P.M.;

– intimata –

Nonchè da:

L.E.D.M. PROJECT DI P.M. in persona del titolare

P.M., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE

DI CASSZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIA GABRIELLA

DI PENTIMA giusta procura speciale a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

A.R., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MASSIMO MAMBELLI giusta procura speciale a margine del ricorso;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 2245/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 31/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/04/2017 dal Consigliere Dott. COSIMO D’ARRIGO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi;

udito l’Avvocato MARIA GABRIELLA DI PENTIMA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A.R., avendo ottenuto la condanna della L.E.D.M. Project di P.M., in favore della quale aveva prestato la propria attività professionale di geometra, al pagamento della somma di Euro 8.120,87 oltre all’i.v.a. e agli interessi legali, ha intimato precetto per il pagamento dell’importo complessivo di Euro 5.618,85, al netto degli acconti ricevuti, includendo in tale importo anche il costo di una consulenza tecnica di parte fatta redigere nel corso del giudizio e gli interessi al saggio previsto dal D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, art. 5 contenente misure per la lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.

La L.E.D.M. Project ha proposto opposizione a precetto, deducendo che, in forza del titolo esecutivo, non erano dovuti nè gli interessi al saggio richiesto, nè il rimborso dei costi della consulenza tecnica di parte. L’opposizione veniva accolta dal Tribunale di Forlì con sentenza del 30 maggio 2013, che riteneva altresì la responsabilità processuale aggravata dell’ A.. Con sentenza il 31 ottobre 2014 la Corte d’appello di Bologna ha riformato la sentenza di primo grado solo limitatamente alla condanna ex art. 96 cod. proc. civ., confermandola per il resto.

Contro tale sentenza l’ A. propone ricorso per cassazione per quattro motivi. La L.E.D.M. Project resiste con controricorso e propone ricorso incidentale affidato a un solo motivo. L’ A., a sua volta, resiste al ricorso incidentale con controricorso, seguito dal deposito di memorie ex art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1284 cod. civ. e del D.Lgs. n. 231 del 2002, artt. 2,3,4 e 5. In particolare, il ricorrente sostiene che la dicitura “interessi legali” contenuta nel titolo esecutivo deve essere riferita agli interessi dovuti per legge in relazione alla natura del credito e che, pertanto, la stessa va intesa nel senso che sulle somme dovute per prestazioni professionali vanno applicati gli interessi di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, anzichè quelli “ordinari” previsti dall’art. 1284 cod. civ.. Sarebbe quindi illegittima l’interpretazione del titolo esecutivo fatta propria dai giudici di merito, i quali hanno invece affermato che, in mancanza di qualsiasi ulteriore specificazione, l’espressione “oltre interessi legali” rinviasse al saggio di interesse legale previsto dall’art. 1284 cod. civ. e non a quello speciale indicato dal D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 5.

Il motivo è infondato.

La corte d’appello nella sostanza ha ritenuto che il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo ha inteso qualificare espressamente gli interessi legali come dovuti ai sensi dell’art. 1284 cod. civ.: in tal senso deporrebbe la mancata citazione del D.Lgs. n. 231 del 2002 e la data di decorrenza degli stessi, espressamente indicata “dalla domanda giudiziale” anzichè, secondo quanto previsto dal menzionato D.Lgs. n. 231 del 2002, automaticamente, senza che sia necessaria la costituzione in mora, dal trentesimo giorno successivo alla data di ricevimento della fattura. Tale interpretazione del titolo esecutivo appare corretta. Infatti, non viene qui in rilievo la questione se l’ A. avesse diritto, in astratto, agli interessi al saggio e con la decorrenza previsti dal D.Lgs. n. 231 del 2002, quanto piuttosto se tale diritto gli è stato riconosciuto nel giudizio di merito nel cui ambito si è formato il titolo esecutivo. Ciò in quanto al giudice dell’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ. non è consentita l’integrazione o la correzione del titolo esecutivo di formazione giudiziale, i cui eventuali errori dovevano essere rimossi impugnandolo.

Nella specie, come correttamente rilevato dalla corte d’appello, il titolo esecutivo conteneva la condanna agli interessi legali “generici”, quelli di cui all’art. 1284 cod. civ.. Ciò non solo perchè – come evidenziato nella sentenza impugnata – la decorrenza è fissata dalla domanda giudiziale, ossia secondo il criterio generale e non in base a quello specifico previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 4. Appare altrettanto decisiva l’assenza, nel titolo esecutivo, di qualsiasi riferimento alla normativa speciale di derivazione comunitaria.

Va infatti affermato il principio secondo cui il giudice del merito deve indicare che specie di interessi legali sta comminando, non potendosi limitare alla generica qualificazione in termini di “interesse legale” o “di legge”, con la conseguenza che qualora non vi abbia provveduto, si devono intendere dovuti solamente gli intessi di cui all’art. 1284 c.c., essendo quest’ultima norma di portata generale rispetto alla quale le altre varie ipotesi di interessi previste dalla legge hanno natura speciale (v. in tal senso, sia pure sotto la diversa angolazione della non eseguibilità nel territorio della Comunità Europea della sentenza che non contenga la superiore specificazione, Sez. 3, Sentenza n. 9862 del 07/05/2014, Rv. 630999). Difatti, l’applicazione di una qualsiasi delle varie ipotesi di interessi legali diversa da quelli di cui all’art. 1284 cod. civ. presuppone l’accertamento nel merito degli elementi costitutivi della relativa fattispecie speciale. Un simile accertamento attiene al merito della decisione e non può essere risolto in sede esecutiva.

In conclusione, nella misura in cui l’ A. non avesse condiviso la decisione contenuta nel titolo esecutivo, avrebbe avuto l’onere di impugnare la decisione di merito, non potendo chiederne l’integrazione o la correzione al giudice dell’esecuzione. Egli avrebbe dovuto impugnare la sentenza che ha deciso sull’opposizione a decreto ingiuntivo, anzichè rinviare la questione alla fase esecutiva.

2. Con il secondo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il ricorrente, però, individua tale fatto “decisivo” non in una circostanza di fatto, bensì nelle sue stesse difese, di cui la corte d’appello avrebbe omesso l’esame.

Il motivo è inammissibile.

Infatti, l’omesso esame di una tesi difensiva non è riconducibile al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto una memoria difensiva non costituisce “fatto” decisivo per il giudizio, rientrando in tale nozione gli elementi fattuali e non gli atti difensivi (v. Sez. 3, Sentenza n. 5795 del 08/03/2017, Rv. 643401).

3. Con il terzo motivo si deduce l’erronea applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., consistita nell’aver ritenuto che la condanna al pagamento delle spese processuali pronunciata dal giudice della causa di opposizione al decreto ingiuntivo non fosse comprensiva del diritto al rimborso delle spese sostenute per l’espletamento di una consulenza tecnica di parte.

Viene dedotto, nell’ambito del medesimo motivo, anche un vizio di motivazione, inammissibile ai sensi della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il motivo è infondato e la giurisprudenza citata a sostegno non è conducente.

Infatti, è vero che questa Corte riconosce il diritto della parte vittoriosa a ottenere il rimborso anche del costo del consulente di parte (Sez. 2, Sentenza n. 84 del 03/01/2013, Rv. 624396; conf. Sez. 3, Sentenza n. 3380 del 20/02/2015, Rv. 634475). Ma ciò significa che, ove il giudice del merito non abbia provveduto in tal senso, la sentenza dovrà essere fondatamente impugnata. Non già che, formatosi il giudicato sulla condanna del soccombente al pagamento delle spese processuali in una determinata misura (nella specie testualmente comprensiva di Euro 184,00 per spese vive), la parte vittoriosa possa da sè aggiungere alle spese vive espressamente riconosciute e liquidate dal giudice un ulteriore importo del quale lo stesso giudice invece non ha tenuto alcun conto.

4. Per il quarto motivo vale quanto osservato per il secondo: anche in questo caso il ricorrente denuncia come omesso esame di un fatto decisivo la sbrigatività con cui la corte d’appello ha liquidato una sua prospettazione difensiva. Non si tratta, dunque, di un “fatto decisivo” di cui sarebbe stato omesso l’esame, bensì delle tesi difensive contenute nell’atto di appello.

5. Il ricorso incidentale proposto dalla L.E.D.M. Project si rivolge avverso capo della sentenza di appello relativo alla riforma della condanna dell’ A. per responsabilità processuale aggravata pronunciata dal giudice di primo grado. La controricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 96 cod. proc. civ., osservando che l’ A. aveva intimato precetto di pagamento malgrado la parte debitrice avesse pagato quanto già dovuto.

Il ricorso è infondato.

Infatti, in materia di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., ai fini della condanna al risarcimento dei danni, l’accertamento dei requisiti costituiti dall’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ovvero dal difetto della normale prudenza, implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, salvo – per i ricorsi proposti avverso sentenze depositate prima dell’11.9.2012 – il controllo di sufficienza della motivazione (Sez. 3, Sentenza n. 19298 del 29/09/2016, Rv. 642582; Sez. 2, Sentenza n. 327 del 12/01/2010, Rv. 610816).

6. Stante la reciproca soccombenza, le spese del giudizio di legittimità devono essere compensate.

Sussistono però i presupposti per l’applicazione, nei confronti sia del ricorrente principale che del ricorrente incidentale, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte di entrambi gli impugnanti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da ciascuno di costoro proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

PQM

 

rigetta i ricorsi e compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2017

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