Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22456 del 27/09/2017


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Cassazione civile, sez. III, 27/09/2017, (ud. 19/04/2017, dep.27/09/2017),  n. 22456

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28069-2014 proposto da:

GIMA INDUSTRIA SRL, in persona del legale rappresentante p.t. sig.

D.C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIERLUIGI

DA PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avvocato PIETRO BONANNI,

rappresentata e difesa dagli avvocati LINO DIANA, LUCIANO MILANI

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ICOR SRL, in persona dell’Amministratore Unico Sig.ra O.R.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PELAGIO PRIMO, 10, presso lo

studio dell’avvocato ANTONIETTA CENTOMIGLIA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato VINCENZO MAZZOTTA giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2476/2014 del TRIBUNALE di SALERNO, depositata

il 15/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/04/2017 dal Consigliere Dott. COSIMO D’ARRIGO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato LUCIANO MILANI;

udito l’Avvocato ANTONIO MURANO per delega.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Gima Industria s.r.l. proponeva opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 cod. proc. civ., avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione con la quale stata determinata in Euro 482.906,64 il credito complessivo vantato dalla creditrice procedente Icor s.r.l.. Sosteneva la ricorrente che l’importo effettivamente dovuto andava decurtato dell’i.v.a., non avendo la Icor s.r.l. emesso alcuna fattura fiscale per le prestazioni rese, e a maggior ragione – degli interessi moratori sull’imposta. Il Tribunale di Salerno, con sentenza del 15 maggio 2014, dichiarava l’opposizione inammissibile, in quanto volta a contestare la debenza di somme risultanti da un titolo giudiziale passato in giudicato (nella specie costituito da un decreto ingiuntivo del 1996 definitivamente confermato in esito al giudizio di opposizione).

Avverso tale decisione non appellabile, la Gima Industria s.r.l. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da successive memorie. La Icor s.r.l. resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La società ricorrente deduce la violazione: a) dell’art. 115 c.p.c., comma 1, artt. 474,617 e 618 cod. proc. civ.; b) degli artt. 1282,1283 e 1284 cod. civ.; c) del D.P.R. n. 63 del 1972, artt. 15, 18 e 21 e dell’art. 2909 cod. civ..

I motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto largamente sovrapponibili. In sostanza la Cima Industria s.r.l. si duole, sotto diverse angolature, dell’erronea interpretazione del decreto ingiuntivo che costituisce titolo esecutivo: il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto considerare la circostanza incontroversa che la Icor s.r.l. non emise alcuna fattura a fronte del credito di cui ingiunse il pagamento, sicchè alla stessa non poteva essere riconosciuto il diritto al rimborso dell’i.v.a. e, tantomeno, degli interessi moratori su tale importo; in ogni caso, il decreto ingiuntivo si sarebbe dovuto interpretare alla luce delle premesse esposte dalla creditrice nel relativo ricorso.

Il ricorso è inammissibile, difettando della specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali si fonda, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Infatti, la Cima Industria s.r.l. omette di riferire quale fosse il contenuto testuale dell’ingiunzione di pagamento, rendendo così impossibile a questa Corte verificare la corretta applicazione dei canoni legali di interpretazione del titolo esecutivo.

Infatti, ai fini del rituale adempimento dell’onere, imposto al ricorrente dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza, è necessario che, in ossequio al principio di autosufficienza, si provveda anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (Sez. 3, Sentenza n. 8569 del 09/04/2013, Rv. 625839; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015, Rv. 636120).

Nella specie, il contenuto del provvedimento monitorio non è trascritto nell’ambito del ricorso e non è stato neppure allegato al ricorso medesimo. Non basta a colmare il difetto di autosufficienza la generica e indistinta allegazione dell’intero fascicolo di parte del grado di appello, di cui non viene specificato il contenuto, poichè, qualora l’atto processuale su cui si fonda il ricorso è contenuto nel fascicolo di parte o in quello d’ufficio, vi è, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità del ricorso, dei dati necessari al reperimento degli stessi (Sez. U, Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, Rv. 619317), ossia dell’indicazione del “luogo” esatto del fascicolo in cui l’atto è rinvenibile.

Il medesimo difetto di autosufficienza si estende, inoltre, anche all’affermazione secondo cui la circostanza che la Icor s.r.l. non emise alcuna fattura sarebbe incontroversa fra le parti. Infatti, in tema di ricorso per cassazione, quando il motivo di impugnazione si fondi sul rilievo che la controparte avrebbe tenuto condotte processuali di non contestazione, per consentire alla Corte di legittimità di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, il ricorso, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, deve sia indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese, sia contenere la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi (Sez. 3, Sentenza n. 16655 del 09/08/2016, Rv. 641486).

Infine, il ricorso non è autosufficiente neppure rispetto alle “premesse” asseritamente contenute nel ricorso per decreto ingiuntivo – alla luce delle quali si sarebbe dovuto interpretare, secondo quanto sostenuto dalla ricorrente, il titolo esecutivo – per omessa allegazione anche di quest’ultimo atto processuale.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2017

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