Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22455 del 27/10/2011

Cassazione civile sez. II, 27/10/2011, (ud. 21/09/2011, dep. 27/10/2011), n.22455

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.M. (C.F.: (OMISSIS)) e E.I. (C.F.:

(OMISSIS)), quale erede di Ca.Ma.,

rappresentate e difese, per procura speciale a margine del ricorso,

dall’Avvocato ROSSI Paolo, elettivamente domiciliate in Roma, Via

Luigi Perna n. 1, presso il Dott. Giuseppe Servillo;

– ricorrenti –

contro

CE.MA. e S.F.;

– intimati –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli n.

28 del 2009, depositata in data 14 gennaio 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21 settembre 2011 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, il quale nulla ha osservato sulla relazione ex art.

380 bis cod. proc. civ..

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 14 gennaio 2009, la Corte d’appello di Napoli ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da C. M. e Ca.Ma. avverso la sentenza del Tribunale della medesima città che aveva rigettato la domanda di condanna di Ce.Ma. e S.F. al ripristino dello stato dei luoghi e al risarcimento del danno, con riferimento alla violazione delle distanze legali dai convenuti posta in essere;

che la Corte d’appello di Napoli ha ritenuto l’appello tardivo, sul rilievo che la sentenza del Tribunale recava in calce, dopo la frase “Così deciso in Napoli il 21/3/2003”, due timbri recanti, l’uno, la dizione “Tribunale di Napoli Sezione Stralcio pervenuto in cancelleria oggi 21 marzo 2003, Il Cancelliere”, e, l’altro, la dizione “Sentenza pubblicata oggi 7 luglio 2003 il Cancelliere”;

che, infatti, ad avviso della Corte d’appello, ai fini della decorrenza del termine lungo di impugnazione doveva aversi riguardo alla prima data indicata, che costituiva la data di deposito in cancelleria della sentenza, mentre quella successiva doveva intendersi riferita all’adempimento, da parte del cancelliere, delle formalità di cui all’art. 133 cod. proc. civ.;

che, rispetto alla prima data, l’appello, notificato il 20 luglio 2004, era chiaramente intempestivo;

che C.M. e E.I., nella dichiarata qualità di erede di Ca.Ma., propongono ricorso per cassazione affidato ad un motivo;

che gli intimati non hanno svolto attività difensiva;

che, essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione del ricorso con il rito camerale, è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., che è stata comunicata alle parti e al pubblico ministero.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il relatore designato ha formulato la seguente proposta di decisione:

“(…) Con l’unico motivo di ricorso, le ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 133 e 327 cod. proc. civ., 119 disp. att. cod. proc. civ., e vizio di motivazione e formulano il seguente quesito di diritto: Dica la Suprema Corte se nel caso, come quello di specie, in cui sulla sentenza pubblicata appaiono due date, una di deposito in cancelleria da parte del giudice e l’altra, successiva, di pubblicazione, indicata come tale dal Cancelliere, solo quest’ultima segni l’esordio della sentenza al fine dell’art. 327 c.p.c..

Il ricorso è manifestamente fondato, trovando, nella specie, applicazione il principio per cui per effetto del combinato disposto degli artt. 133 e 327 cod. proc. civ. il termine annuale per l’impugnazione della sentenza non notificata inizia a decorrere dalla data della sua pubblicazione e, laddove sulla sentenza pubblicata appaiano due date, una di deposito in cancelleria da parte del giudice e l’altra, successiva, di pubblicazione indicata come tale dal cancelliere, è solo a quest’ultima che bisogna aver riguardo ai fini della decorrenza del termine (Cass., n. 12681 del 2008).

Sussistono pertanto le condizioni per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio”.

che il Collegio condivide tale proposta di decisione;

che deve, peraltro, rilevarsi che, successivamente al deposito della relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ., con sentenza n. 7240 del 2011, è stato riaffermato il principio secondo cui “quando sull’originale di una sentenza figuri una doppia attestazione da parte del cancelliere, il quale da atto che essa è stata depositata in una certa data e pubblicata in una data successiva, ai fini del computo del c.d. termine lungo per l’impugnazione di cui all’art. 327 cod. proc. civ., occorre fare riferimento alla data di deposito e non a quella di pubblicazione, in quanto è solo la prima che integra la fattispecie di cui all’art. 133 cod. proc. civ., mentre la successiva pubblicazione si collega ad attività che il cancelliere è obbligato a compiere per la tenuta dei registri di cancelleria o per gli avvisi alle parti dell’avvenuto deposito” (in precedenza, v. Cass. n. 17290 del 2009; Cass. n. 20858 del 2009);

che, il Collegio ritiene che il detto principio, la cui applicazione condurrebbe al rigetto del ricorso, essendosi ad esso la sentenza impugnata conformata, non sia condivisibile;

che, invero, appare opportuno premettere che l’art. 327 cod. proc. civ., che è relativo alla decadenza dall’impugnazione, stabilisce che gli ordinari mezzi di impugnazione “non possono proporsi dopo decorsi sei mesi (all’epoca della vicenda de qua un anno) dalla pubblicazione della sentenza”;

che la giurisprudenza più rigorista trae spunto dall’art. 1213 cod. proc. civ., secondo il quale “la sentenza è resa pubblica mediante deposito nella cancelleria del giudice”, per argomentare che, in presenza di una data di deposito attestata dal cancelliere, la parte dovrebbe desumerne che con quell’atto è già avvenuta la pubblicazione utile ai fini dell’impugnazione;

che l’evidente conflitto tra le due attestazioni contenute nella sentenza dovrebbe risolversi supponendo che con la seconda, e cioè quella relativa alla pubblicazione, il cancelliere abbia inteso riferirsi alle registrazioni di cancelleria previste dal D.M. n. 264 del 2004 (art. 13, comma 1, n. 16) e dall’art. 28 disp att. cod. proc. civ.;

che l’orientamento rigorista aggiunge che al termine “deposito” non può essere dato altro senso diverso da quello proprio dell’art. 133 cod. proc. civ., trattandosi di atto pubblico;

che, infine, si nega che sussista alcun sacrificio dell’affidamento del cittadino, il quale in presenza di un’attestazione di deposito deve riferirla a quell’attività di deposito che il cancelliere deve compiere ex art. 133 cod. proc. civ., per pubblicare la sentenza;

che nessuna delle argomentazioni sulle quali si fonda l’orientamento recepito, da ultimo, da Cass. n. 7240 del 2011, è convincente;

che occorre innanzitutto rilevare che la decadenza dall’impugnazione deriva, ai sensi dell’art. 327 cod. proc. civ., dallo spirare di un termine che inizia a decorrere dalla “pubblicazione della sentenza”;

che la parte che deve sottostare al termine è quindi indotta, sia dal principio di affidamento, sia da un’ interpretazione letterale di questa disposizione, ad ancorare la propria attività alla pubblicazione e non al deposito della sentenza;

che, dunque, la data di deposito può rilevare, al fine di conoscere la data di pubblicazione ex art. 133 cod. proc. civ., solo ove nell’atto da impugnare non sia presente una specifica attestazione che riguardi la pubblicazione;

che il conflitto tra le due attestazioni deve essere necessariamente risolto attribuendo ad una di esse un senso diverso da quello che è foriero delle conseguenze della pubblicazione della sentenza, che è il momento in cui l’atto è reso conoscibile alle parti e che fa decorrere il termine utile per il gravame;

che, secondo il non condiviso orientamento prima riportato, la contraddizione va risolta attribuendo all’attestazione di “pubblicazione” un senso che è estraneo – e anzi opposto – a quello proprio del termine, individuandolo nelle attività di annotazione nei registri di cancelleria, che è attività meramente interna dell’ufficio;

che, di contro, è ben più piana una lettura che attribuisca all’attestazione di “deposito” il senso di “deposito in minuta”;

che siffatta lettura trova ancoraggio nell’art. 119 disp. att., che prescrive la consegna di una minuta da parte dell’estensore al presidente del collegio e da questi al cancelliere, che ne affida la scritturazione al dattilografo di ruolo, e prevede che, ultimata la sottoscrizione, presidente ed estensore verificano la corrispondenza dell’originale alla minuta, la sottoscrivono e la avviano alla pubblicazione da parte del cancelliere;

che non può non rilevarsi come, nel corso del tempo, l’attestazione del deposito in minuta sia invalsa negli uffici giudiziari quale momento utile a fissare l’adempimento (rilevante anche disciplinarmente) dell’attività di predisposizione della sentenza da parte dell’estensore;

che l’affermarsi degli strumenti elettronici ha progressivamente compresso le fasi disciplinate dalla richiamata disposizione di attuazione, grazie alla scritturazione diretta da parte dell’estensore e alla consegna al cancelliere di un testo che: a) a volte deve essere controfirmato dal presidente; b) a volte consta della sola motivazione e deve essere completato con “l’intestazione” della sentenza (cioè con l’epigrafe predisposta sovente dalla cancelleria); c) a volte è completo, ma perviene al cancelliere quando questi non è in condizione, per il carico di lavoro, di provvedere al deposito nel senso proprio di cui all’art. 133;

che, potendo verificarsi che il differimento del formale deposito della sentenza, per la condizione delle cancellerie, sia spesso di alcuni giorni e talvolta di molte settimane, deve ritenersi che l’uso dell’attestazione “depositato in minuta” mantenga attualità al fine di scandire i tempi dell’attività giurisdizionale e quelli della cancelleria;

che è dunque ben più agevole ritenere che in presenza di una doppia contraddittoria attestazione – tra deposito e pubblicazione della sentenza – la prima si riferisca al deposito della minuta, cioè a un’attività codificata, interna al procedimento di pubblicazione della sentenza e riconoscibile nella prassi giudiziaria;

che, d’altra parte, non può sottacersi che l’interpretazione rigorista, che il Collegio non condivide, finisce con il sottrarre alle parti una frazione, che può essere anche molto consistente, giungendo in situazioni patologiche ad alcuni mesi, del tempo utile per l’impugnazione, che deve essere non inferiore a sei mesi (un anno prima della modifica dell’art. 327 cod. proc. civ.);

che infatti, anteriormente alla “pubblicazione”, la sentenza, per quanto depositata, non è infatti nota ai contendenti, altro significato non potendosi attribuire alla circostanza che la cancelleria abbia proceduto a una doppia attestazione, alla seconda attribuendo la denominazione di “pubblicazione”, così rendendo evidente che, prima di quella data, la sentenza non era stata ancora “resa pubblica”;

che pertanto il senso del primo termine, “depositato”, va desunto dalla connessione con l’uso del secondo, che da una luce convincente alla vicenda amministrativa, salvaguardando i diritti dei litiganti;

che, conclusivamente, va riaffermato il principio secondo cui, “per effetto del combinato disposto degli artt. 133 e 327 cod. proc. civ., il termine annuale per l’impugnazione della sentenza non notificata inizia a decorrere dalla data della sua pubblicazione e, laddove sulla sentenza pubblicata appaiano due date, una di deposito in cancelleria da parte del giudice e l’altra, successiva, di pubblicazione indicata come tale dal cancelliere, è solo a quest’ultima che bisogna aver riguardo ai fini della decorrenza del termine” (Cass., n. 12681 del 2008; Cass. n. 14862 del 2009; Cass. n. 3217 del 2011; Cass. n. 17777 del 2011);

che, quindi, aderendo alla proposta di decisione di cui alla relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ., il ricorso va accolto, atteso che, avuto riguardo alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado (7 luglio 2003), l’appello, notificato il 20 luglio 2004, in assenza di notificazione della sentenza impugnata, doveva essere ritenuto tempestivo;

che all’accoglimento del ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, perchè proceda all’esame dell’appello tempestivamente proposto;

che al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2011

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