Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22455 del 27/09/2017


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Cassazione civile, sez. III, 27/09/2017, (ud. 08/03/2017, dep.27/09/2017),  n. 22455

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina L. – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26020-2015 proposto da:

L.A.M., nella qualità di erede di L.M.E.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO MORDINI 14, presso lo

studio dell’avvocato MANLIO ABATI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ROSARIO DELL’OGLIO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOSUE’

BORSI, 4, presso lo studio dell’avvocato CHRISTIAN ARTALE,

rappresentato e difeso dagli avvocati MAURIZIO NICOLA RIVILLI,

GAETANO BENINATI giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

cos avverso la sentenza n. 330/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata in data 8/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio in

data 8/03/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott. CARDINO ALBERTO, che ha

concluso chiedendo l’accoglimento del motivo n. 1) di ricorso,

assorbiti gli altri.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nel 2011 L.M.E., premesso di essere proprietaria di un appartamento sito in (OMISSIS), piano terra, pervenutole per successione di M.N.M., la quale lo aveva, a sua volta, ricevuto in successione dalla madre L.G., intimò sfratto per morosità a P.S., al quale la L. aveva concesso in locazione il predetto bene, deducendone l’inadempimento nel pagamento del canone per le mensilità da maggio 2010 ad agosto 2011, per complessivi Euro 3.000,00; contestualmente citò il P. dinanzi al Tribunale di Palermo, chiedendo la convalida dello sfratto e, in caso di opposizione, l’emissione di ordinanza provvisoria di rilascio nonchè l’emissione di ingiunzione per il pagamento dei canoni scaduti e a scadere, oltre interessi e spese.

Il P. si costituì e si oppose alle domande proposte nei suoi confronti, negando l’esistenza di un rapporto di locazione tra lui e la L. e, in via riconvenzionale, chiese l’accertamento del suo acquisto per usucapione dell’immobile in questione.

Il Tribunale adito, con sentenza n. 600/13 del 10 giugno 2013, rigettò sia le domande della L.M. sia la domanda riconvenzionale proposta dal P., ritenendo che la L.M. non avesse provato la sussistenza del contratto verbale di locazione intercorrente tra la sua dante causa e il P., sul rilievo che le dichiarazioni rese dai testimoni erano insufficienti e non conducenti, e reputando insufficienti anche le dichiarazioni rese dai testi ai fini della prova dell’animus possidendi in capo al P..

La Corte di appello di Palermo, con sentenza depositata in data 8 aprile 2015, rigettò sia l’appello principale proposto dal P. che l’appello incidentale proposto dalla L.M. avverso la sentenza di primo grado e compensò interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio di merito.

Avverso la sentenza della Corte di appello L.A.M. ha proposto ricorso per cassazione, basato su quattro motivi e illustrato da memoria.

P.S. ha resistito con controricorso contenente pure ricorso incidentale basato su un unico motivo.

Il P.M. ha depositato le sue conclusioni scritte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Osserva il Collegio che, come pure rilevato dalla L. nella sua memoria, le conclusioni scritte del P.M., depositate in data 10 febbraio 2017 e allegate al fascicolo d’ufficio, pur riportando, per evidente lapsus calami, il numero di ruolo generale relativo al ricorso in esame, si riferiscono, in realtà, ad altra controversia.

2. Con il primo motivo del ricorso principale, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 2938 e 480 cod. civ. nonchè dell’art. 345 c.p.c., comma 2 e art. 112 cod. proc. civ., la ricorrente sostiene che la Corte di merito abbia omesso di esaminare l’eccezione di inammissibilità ed improponibilità, per tardività, dell’eccezione di prescrizione del diritto della M. di accettare l’eredità della madre, sollevata, a suo dire, dal P. per la prima volta in appello, ed avrebbe invece accolto l’eccezione di prescrizione. Lamenta la L. che, pur sancendo l’art. 2938 cod. civ. la non rilevabilità d’ufficio dell’eccezione di prescrizione, pur vietando l’art. 345 cod. proc. civ. la proposizione in appello di nuove eccezioni che non siano rilevabili d’ufficio e pur non prevedendo l’art. 480 cod. civ. che l’eccezione di prescrizione del diritto di accettare l’eredità possa essere rilevata d’ufficio e nonostante il P. avesse sollevato tale eccezione solo in appello, la Corte di merito erroneamente non si sarebbe pronunciata sull’eccezione, da lei proposta, di inammissibilità e improponibilità dell’eccezione di prescrizione proposta dal P..

2.1. Il motivo è infondato, avendo il P. effettivamente sollevato l’eccezione di prescrizione in parola nell’atto di opposizione allo sfratto per morosità del 23 settembre 2011, eccezione del resto pure contestata dalla L.M. in primo grado, nella memoria integrativa del 3 novembre 2011.

Pertanto, nell’accogliere l’eccezione di prescrizione ritualmente e tempestivamente proposta del P., sul rilievo che questi aveva sollevato tale eccezione già con il suo primo atto difensivo, che la L. era deceduta in data 22 novembre 1976 e che non risultava, nè era stato allegato dall’appellata alcun atto di accettazione, espressa o tacita, dell’eredità materna, compiuto dalla M. entro il termine di prescrizione decennale di cui all’art. 480 cod. civ. (v. sentenza impugnata p. 2), la Corte di merito ha implicitamente rigettato l’eccezione, proposta dalla L.M., di inammissibilità e improponibilità, per tardività, dell’eccezione di prescrizione sollevata dal P.. Ed invero il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice d’appello è configurabile allorchè manchi completamente l’esame di una censura mossa al giudice di primo grado; tale violazione non ricorre invece nel caso in cui il giudice d’appello fondi la decisione su una costruzione logico-giuridica incompatibile con la domanda (Cass. 14/01/2015, n. 452 del, Cass. 25/09/2012, n. 16254; Cass. 19/05/2006, n. 11756); inoltre, questa Corte ha già avuto modo di affermare il principio, che va ribadito in questa sede, secondo cui, in sede di impugnazione, non rileva nè l’omessa pronuncia su di un’eccezione di inammissibilità, nè l’omessa motivazione su tale eccezione, atteso che solo l’effettiva esistenza dell’inammissibilità denunciata sarebbe idonea a determinare la decisione del giudice del gravame che, accogliendo le richieste in relazione alle quali l’eccezione è stata formulata, l’ha implicitamente rigettata (Cass. 30/06/2016, n. 13425).

Alla luce di quanto sopra evidenziato, non sussistono neppure le ulteriori violazioni di legge, così come prospettate dalla ricorrente con il mezzo all’esame.

3. Con il secondo motivo la ricorrente principale deduce “Violazione e falsa applicazione degli artt. 476 e 480 c.c., anche in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c.”, mentre con il terzo motivo lamenta “Omessa valutazione di un fatto decisivo per la controversia”.

3.1. I predetti due motivi, pur avendo rubriche distinte, sono illustrati unitariamente. Con essi la L., premesso che secondo la giurisprudenza di legittimità, la riscossione dei canoni di locazione è atto idoneo a costituire accettazione tacita dell’eredità ex art. 476 cod. civ., sostiene di aver dimostrato già nel corso del giudizio di primo grado, con la prova testimoniale, che, dopo la morte della madre, L.G., avvenuta il (OMISSIS), aveva riscosso i canoni di locazione degli immobili siti in (OMISSIS), facenti parte dell’asse ereditario relitto dalla madre, così gestendo le locazioni stipulate dalla madre, il cui patrimonio era costituito dai beni di cui alla denuncia di successione n. 742/9990 del 7 marzo 2011 (nella quale il bene in questione è identificato al n. 1). Pertanto avrebbe errato la Corte di merito nel ritenere che la parte appellata non avesse allegato alcun atto di accettazione espressa o tacita dell’eredità materna compiuta dalla M. entro il termine di prescrizione previsto dall’art. 480 cod. civ..

Ad avviso della ricorrente la Corte di appello avrebbe omesso di valutare le richiamate prove testimoniali che, se attentamente esaminate, avrebbe dovuto indurla a ritenere che la M. avesse accettato l’eredità della madre, così violando l’art. 115 cod. proc. civ.. La mancata valutazione di un fatto decisivo, quale la riscossione dei canoni di locazione e comunque la gestione del rapporto locativo da parte della M. rileverebbe, secondo la L., anche sotto il diverso profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Inoltre, dalle prove testimoniali e dalla documentazione in atti, risulterebbe, secondo la ricorrente, che la L.M. aveva, a sua volta, accettato tacitamente l’eredità della M., con conseguente infondatezza dell’eccezione di difetto di legittimazione attiva sollevata in appello dal P. e non esaminata dalla Corte di merito, ritenendo, secondo la ricorrente, “essere pregiudiziale quella avente ad oggetto la prescrizione del diritto di accettare l’eredità devoluta dalla Sig.ra L.G.”.

3.2. I motivi secondo e terzo del ricorso principale, essendo strettamente connessi, ben possono essere esaminati congiuntamente e vanno disattesi, sull’assorbente rilievo che l’attuale ricorrente neppure deduce in questa sede se e in quali esatti termini abbia specificamente proposto, in sede di appello, le questioni relative alla pretesa accettazione tacita delle eredità di cui si discute in causa e alle risultanze istruttorie ad esse relative, evidenziandosi pure che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5,. proc. civ., nella sua attuale formulazione, applicabile ratione temporis al caso di specie, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo.

4. Con il quarto motivo del ricorso principale la L., deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., sostiene che la Corte di merito “avendo erroneamente rigettato l’appello incidentale” proposto dalla L.M. e “accolto quello proposto” dal P., avrebbe erroneamente compensato le spese di entrambi i gradi di giudizio che avrebbero dovuto, invece, essere poste totalmente a carico del P..

5. Con l’unico motivo incidentale proposto anche il P. lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ. invocando però conseguenze diametralmente opposte a quelle della ricorrente principale.

6. Il quarto motivo del ricorso principale e l’unico motivo del ricorso incidentale, che ben possono essere unitariamente esaminati, non possono essere accolti.

Anzitutto si rileva che, contrariamente all’assunto della ricorrente, la Corte di merito, pur accogliendo in parte una delle censure proposte dal P., ha in dispositivo rigettato – evidentemente solo nel resto, alla luce della lettura coordinata del dispositivo e della sentenza impugnata in questa sede – sia l’appello principale proposto dal P. che l’appello incidentale proposto dalla L.M. e, avuto riguardo, con riferimento all’esito del giudizio, alla sostanziale reciproca soccombenza, ha compensato le spese del doppio grado del giudizio di merito.

Deve poi farsi in questa sede applicazione del principio secondo cui, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa. Pertanto, esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite; e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di gravi ed eccezionali ragioni (arg. ex Cass. 19/06/2013, n. 15317).

7. Per mera completezza, si evidenzia che, quanto alle doglianze formulate dal P. a p. 16 del controricorso, circa la pretesa inammissibilità dei documenti per tardività della loro produzione ex adverso, non sussiste l’interesse alle stesse del controricorrente che, peraltro, neppure ha formulato specifico motivo di ricorso incidentale sul punto (v. pure conclusioni del controricorso), sicchè tali censure sono inammissibili.

8. I ricorsi proposti devono, pertanto, essere rigettati.

9. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico della ricorrente principale, in ragione della sua prevalente soccombenza.

10. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per i ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

 

La Corte, pronunciando sui ricorsi, li rigetta entrambi; condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore del P., in Euro 1.100,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per i ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2017

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