Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22455 del 24/09/2018
Cassazione civile sez. II, 24/09/2018, (ud. 22/03/2018, dep. 24/09/2018), n.22455
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22026/2017 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope
legis;
– ricorrente –
contro
G.U.;
– intimato –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il
13/03/2017, Cron. n. 2351/2017, R.G. n. 58450/2011;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
22/03/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.
Fatto
FATTO E DIRITTO
Ritenuto che la Corte d’appello di Roma, con decreto depositato il 13/3/2017, accolse la domanda di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo avanzata da G.U.;
che L’Amministrazione interessata, per mezzo dell’Avvocatura Generale dello Stato propone avverso quest’ultima statuizione ricorso supportato da due motivi di censura, ulteriormente illustrato da memoria;
che l’intimata si difende con controricorso;
ritenuto che con i due motivi, entrambi denunzianti violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, fra loro complementari, l’amministrazione ricorrente adduce la consumazione del termine semestrale dal passaggio in giudicato della sentenza che aveva definito il processo presupposto, non dovendo trovare applicazione la sospensione feriale di cui alla L. n. 742 del 1969, sulla base degli argomenti che seguono: a) la constatazione che “la richiesta indennitaria non può essere riproposta anche se il termine decadenziale semestrale non sia ancora decorso” induce l’Amministrazione ricorrente ad affermare che “trattasi (…) di termine decadenziale per l’esercizio del diritto (…) e non già di termine per l’esercizio dell’azione con cui il diritto viene fatto valere”, così, restando inapplicabile il principio generale, valevole per le decadenze processuali, che l’estinzione del processo non estingue l’azione, il termine in parola resta sottratto “dall’alveo dei termini processuali”, dovendo essere ricondotto “al diverso alveo dei termini sostanziali”; b) anche a volere attribuire natura processuale al termine in parola ad esso non si applica la proroga di cui alla L. n. 742 del 1969, poichè, “trattandosi di procedimento ex L. n. 89 del 2001, “nuovo rito””, è prevista “l’attivazione di un “procedimento monitorio” (inaudita altera parte ed a contraddittorio eventuale – posticipato) che, per le sue caratteristiche di speditezza ed urgenza, mal si concilia – (L. n. 742 del 1969, art. 3) – con la “proroga dei termini” rappresentata dalla sospensione dei termini per il periodo feriale ex L. n. 742 del 1969″;
considerato che il pur suggestivo percorso argomentativo del ricorso non può essere accolto, dovendosi osservare che questa Corte ha avuto modo di chiarire, le ragioni, condivise da questo Collegio, per le quali il termine di cui si discute ha natura processuale ed è, pertanto, soggetto alla proroga feriale, essendo stato rilevato che tra i termini soggetti alla sospensione feriale vanno ricompresi non solo quelli inerenti alle fasi successive all’introduzione del processo, ma anche quelli entro i quali il processo stesso deve essere instaurato, allorchè l’azione in giudizio rappresenti, per il titolare del diritto, l’unico rimedio per far valere il diritto stesso, sicchè detta sospensione si applica anche al termine di sei mesi previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, per la proposizione della domanda di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo (Sez. 6-2, n. 5423, 18/3/2016, Rv. 639423; cfr., anche, Sez. 1, n. 5895, 11/3/2009, Rv. 607200, nonchè, S. U., n. 17781, 22/7/2013, Rv. 627247, sia pure, quale premessa motivazionale di altro principio dettato con la forza precipua delle S.U.; e più di recente, Sez. 2, nn. 5423/2016, 10595/2016, 26424/2016, 20974/2017 e svariate successive);
considerato, peraltro, a smentita dell’assunto impugnatorio, che le inferenze tratte dalla introduzione della fase monitoria non appaiono calzanti, poichè la natura processuale del termine deriva dalla constatazione che lo stesso, come sopra ricordato, risulta essere fissato invalicabilmente per l’esercizio del diritto, il quale non può essere soddisfatto senza ricorrere allo strumento dell’accertamento giudiziale, non assumendo rilievo la circostanza che quell’accertamento possa essere definitivamente reso in via monitoria, nel caso in cui non venga avanzata opposizione;
considerato che l’esame del ricorso conduce ad affermare che la Corte locale “ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte” e che, per contro, l’esame dei motivi non offre argomentazioni nuove, sulla base delle quali sorga l’opportunità di una rimeditazione;
che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;
considerato che non v’è luogo a regolare le spese essendo rimasta la controparte intimata;
ritenuto che non trova applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile.
Così deciso in Roma, il 22 marzo 2018.
Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2018