Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22449 del 22/10/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 22449 Anno 2014
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: GIANCOLA MARIA CRISTINA

SENTENZA

sul ricorso 6323-2013 proposto da:
TELECOM ITALIA S.P.A. (c.’f. 00471850016), in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA P.L. DA PALESTRINA 47,

19/

Data pubblicazione: 22/10/2014

presso l’avvocato LATTANZI FILIPPO, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati
2014
1412

ROBALDO ENZO, PIETRO FERRARIS, giusta procura in
calce al ricorso;
– ricorrente contro

1

REGIONE LOMBARDIA (P.I.

80050050154), in persona del

Presidente della Giunta regionale pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIO
VENETO 108, presso l’avvocato GIULIANO MARIA POMPA,
rappresentata e difesa dall’avvocato CEDERLE MARCO,

controricorrente

avverso la sentenza n. 2656/2012 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 20/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/07/2014 dal Consigliere Dott. MARIA
CRISTINA GIANCOLA;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato ROBALDO ENZO
che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato POMPA
GIULIANO M., con delega, che ha chiesto il rigetto
del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per

giusta procura in calce al ricorso notificato;

l’accoglimento del primo motivo, assorbimento del
secondo motivo, parzialmente assorbito il terzo
motivo, inammissibile o comunque infondato nel
resto.

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 2656 pubblicata il 20 luglio 2012 la Corte di Appello di Milano
confermava la sentenza n. 2905 in data 28.02-2.03.2011 con cui il Tribunale della
stessa città aveva respinto l’opposizione proposta dalla s.p.a. Telecom Italia avverso
l’ordinanza ingiunzione emessa dalla Regione Lombardia per il pagamento di una

somma a titolo di «canone per l’occupazione e uso di beni del demanio e del patrimonio
indisponibile dello Stato» e precisamente per l’attraversamento del c.d, reticolo idrico
demaniale con infrastrutture della rete di telecomunicazione.
In particolare, la Corte di appello osservava che: 1) l’art. 93 del Codice delle
comunicazioni elettroniche (d. lgs. n. 259/2003) stabilisce al primo comma che «le
Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre
per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o
canoni che non siano stabiliti per legge»; nell’ambito dei canoni od oneri stabiliti per
legge devono ricomprendersi i canoni di concessione del demanio idrico (art. 822 c.c.),
la cui determinazione ed introito sono delegati alle Regioni dagli artt. 86, comma 1, e
89, comma 1, del d. lgs. n. 112/1998 e sono stati disciplinati dalla Regione Lombardia
con la legge regionale n. 1/2000, poi sostituita dalla legge regionale n. 26/2003; ne
consegue che nella specie il canone di occupazione è prestazione imposta per legge ed
è, pertanto, fatta salva dalle norme del Codice delle telecomunicazioni; 2) l’imposizione
di un canone per l’attraversamento del reticolo idrico non si pone in contrasto con i
principi sanciti dagli artt. 88 e 93 del d. lgs. n. 259/2003, ed in particolare con la finalità
di uniformare le condizioni di fornitura delle reti e dei servizi di comunicazione
elettronica, poiché la Regione Lombardia nell’omogeneo contesto del suo territorio
pratica verso tutti i soggetti le stesse tariffe; 3) la disciplina dettata dal d.lgs. n.
259/2003 non deroga alla disciplina del demanio idrico e, pertanto, l’imposizione di un
canone non postula che lo stesso sia previsto da una legge successiva, condizione non
contemplata dall’art. 93 del citato d. lgs., che richiede soltanto che la prestazione sia
prevista dalla legge; 4) l’imposizione di un canone non è in contrasto con l’art. 23 Cost.
,

3

sia perché il canone in questione è previsto dalla legge sia perché non si tratta di
un’imposizione tributaria, e neppure è in contrasto con la direttiva comunitaria
2002/20/CE, ricorrendo i requisiti di trasparenza, obiettiva giustificazione,
proporzionalità e non discriminazione; 5) non è rilevante l’eccezione di
incostituzionalità della legge regionale n. 10/2009 (che prevede la decadenza della

stessa nella specie non è applicabile ratione temporis; 6) è inconferente il richiamo della
sentenza n. 450/2006 della Corte costituzionale relativa alla imposizione di una tassa
per spese di istruttoria; 7) non si può prospettare una lesione dei principi a tutela della
concorrenza in quanto tutte le Regioni devono introitare i canoni di occupazione; 8) il
canone è dovuto indipendentemente dall’effettiva occupazione dell’area concessa.
La s.p.a. Telecom Italia propone ricorso per cassazione, deducendo tre motivi. La
Regione Lombardia resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato
memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo articolato motivo la ricorrente deduce, oltre al vizio di motivazione, la
violazione dell’art. 10 del d.lgs. n. 198/2002; degli artt. 5, 25, 35, 50, 58, 88 e 93 del
d.lgs. n. 259/2003; dell’art. 2 del d.lgs. n. 112/1998; degli artt. 1, 3 e 10 della legge n.
241/1990; dell’art. 97 Cost.; degli artt. 11 e 13 nonché del 15° considerando della
direttiva comunitaria 2002/20/CE; degli artt. 822 e 823 c.c.; degli artt. 90 e 92 della
legge della Regione Lombardia n. 10/2003. La ricorrente a sostegno delle censure
svolge le argomentazioni che così possono sinteticamente riassumersi: a) dagli arti. 35,
88, 93 del d.lgs. n. 259/2003 discende che solo una legge statale successiva in tema di
telecomunicazioni può prevedere oneri o canoni ulteriori; b) l’art. 823 c.c. non impone
che i modi attraverso i quali beni demaniali possono formare oggetto di diritti di terzi
comprendano necessariamente il pagamento di un canone; c) il d.lgs. 112/1998 non
disciplina la materia delle telecomunicazioni; d) la legge regionale della Lombardia n.
10/2009 e qualsiasi altra legge regionale in tema di canoni di concessione demaniale
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concessione in caso di mancato pagamento di due annualità del canone), in quanto la

dovrebbero ritenersi costituzionalmente illegittime se ritenute applicabili alla materia
delle telecomunicazioni in quanto in contrasto con i principi fondamentali, la cui
determinazione è riservata dall’art. 117 Cost. allo Stato, che nella specie ha provveduto
con il d.lgs. n. 259/2003; e) il R.D. 523/1904 ed il R.D. 2669/1933 richiamati dall’art.
89 del d.lgs. 112/1998 non menzionano o disciplinano canoni idraulici o di polizia

idrico rappresenterebbe una duplicazione di altri oneri (indennizzo per ripristino,
COSAP e TOSAP); g) la direttiva comunitaria 2002/20/CE lascia piena libertà agli Stati
membri per la disciplina delle modalità di utilizzazione dei beni pubblici, non
prevedendo affatto l’imposizione di canoni, la cui esclusione è, invece, ricavabile dalla
legislazione nazionale.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’erroneità del capo della sentenza che ha
considerato assolto l’onere della prova a carico della Regione con la produzione del
provvedimento concessorio senza la prova di una effettiva occupazione.
Con il terzo motivo si lamenta la mancata riunione dei numerosi giudizi aventi ad
oggetto controversie connesse soggettivamente ed oggettivamente. Con lo stesso motivo
si censura la condanna della s.p.a. Telecom al pagamento delle spese processuali
liquidate in E 2.000,00 per ciascuno dei giudizi e perciò in un importo notevolmente
superiore a quello recato dall’ordinanza opposta.
Il primo motivo è fondato.
Sul punto questa Corte si è pronunciata di recente, nel contraddittorio tra le stesse parti,
con le sentenze mi. 14788 e 14789 del 30.6.2014, che hanno affermato il seguente
principio di diritto: “l’attraversamento del demanio idrico gestito dalle Regioni, ai sensi
degli artt. 86 e 89 del d.lgs. n. 112/1998, da parte di infrastrutture di comunicazione
elettronica non è soggetto al pagamento di oneri o canoni che non siano previsti dal
d.lgs. n. 259/2003 o da legge statale ad esso successiva”. A tale orientamento deve
essere data continuità.

idraulica; l’applicazione di un canone concessorio per l’attraversamento del demanio

11 d.lgs. 1.8.2003 n. 259, Codice delle comunicazioni elettroniche, introduce la
normativa nazionale per il settore dei servizi e del mercato delle telecomunicazioni e
delle radiocomunicazioni recependo nell’ordinamento i contenuti delle direttive
comunitarie 2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE e 2002/22/CE in materia di accesso
al mercato, regime di autorizzazioni su infrastrutture e trasmissioni e obblighi di

La finalità perseguita dalle direttive europee, come risulta anche dai principi e criteri
direttivi fissati dalla legge delega (art. 41, comma 2, lett. al e a8, 1. 1.8.2002 n. 166) è di
garantire: agli imprenditori l’accesso al mercato con criteri di obiettività, trasparenza,
non discriminazione e proporzionalità; agli utenti finali la fornitura del servizio
universale, senza distorsioni della concorrenza. Coerentemente, il principio generale cui
s’ispira il Codice, come da dichiarazione programmatica dell’art. 3, è di garantire “i
diritti inderogabili di libertà delle persone nell’uso dei mezzi di comunicazione
elettronica, nonché il diritto di iniziativa economica ed il suo esercizio in regime di
concorrenza, nel settore delle comunicazioni elettroniche”.
La più ampia diffusione dei mezzi di comunicazione a beneficio della collettività,
dunque, è coniugata con l’esigenza di tutela del mercato, quale imprescindibile
condizione per il conseguimento degli obiettivi generali della normativa, coincidenti
con la libertà di comunicazione e la segretezza delle comunicazioni (art. 4, comma 1,
lett. a e b), tanto che l’esercizio dell’imprenditoria nel settore, in regime di concorrenza,
cui va garantito l’accesso al mercato delle reti e servizi di comunicazione elettronica
secondo criteri di obiettività, trasparenza, non distorsione della concorrenza, non
discriminazione e proporzionalità, finisce per costituire nello stesso tempo mezzo di
attuazione di diritti costituzionalmente garantiti e pur esso finalità della normativa di
recepimento delle direttive comunitarie nel segno della libertà di iniziativa economica
(art. 3, commi l e 2, e art. 4, comma 1, lett. c, e comma 2).
L’art. 93 del Codice, recante la rubrica “divieto d’imporre altri oneri”, dispone, al
comma 1, che le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non
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servizio universale nel settore delle comunicazioni.

possono imporre oneri o canoni per l’impianto di reti e per l’esercizio dei servizi di
comunicazione elettronica, che non siano stabiliti dalla legge; il comma 2 impone agli
operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica l’obbligo di tenere indenne la
Pubblica Amministrazione, l’Ente locale, ovvero l’Ente proprietario o gestore, dalle
spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente

coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d’arte
le aree medesime nei tempi stabiliti dall’Ente locale. Aggiunge che nessun altro onere
finanziario, reale o contributo può essere imposto, in conseguenza dell’esecuzione delle
opere di cui al Codice o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, fatta
salva l’applicazione della tassa (Tosap), oppure del canone (Cosap) per l’occupazione di
spazi ed aree pubbliche, ovvero dell’eventuale contributo una tantum per spese di
costruzione delle gallerie.
La disposizione persegue la finalità di garantire a tutti gli operatori un trattamento
uniforme e non discriminatorio, attraverso la previsione del divieto di porre a carico
degli stessi oneri o canoni. A mezzo di essa lo Stato ha esercitato la propria competenza
legislativa esclusiva in materia di tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma,
lett. e, Cost.), che è competenza trasversale di natura funzionale (individuando, più che
degli oggetti, delle finalità in vista delle quali la potestà legislativa statale deve essere
esercitata), idonea a coinvolgere più ambiti materiali anche di competenza regionale
(Corte cost. 15.11.2004, n. 345).
Il principio fondamentale dettato con l’art. 93 d.lgs. 259/03 vale ad evitare che ciascuna
Regione preveda autonomamente obblighi pecuniari a carico dei soggetti operanti sul
proprio territorio, con il rischio di una ingiustificata discriminazione rispetto ad
operatori di altre Regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere
imposti, e anche di garantire la parità di trattamento e di misure volte a non ostacolare
l’ingresso di nuovi soggetti nel settore. Ad analogo criterio si ispira la disposizione che
sancisce, in capo agli operatori, l’obbligo di tenere indenni gli enti locali o gli enti
proprietari delle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche
7

(Corte cost. 27.7.2005, n. 336, i cui principi sono stati ribaditi da Corte cost.
28.12.2006, n. 450 e da Corte cost. 22.7.2010, n. 272).
La giurisprudenza costituzionale ha rimarcato che la disposizione non si limita a sancire
una riserva di legge per così dire “generica”, in modo che nuovi oneri o canoni per
l’impianto di reti e per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica potrebbero

riferirsi, con tutta evidenza, alla sola legge statale. È quanto si desume, in primo luogo,
dalla circostanza che il richiamo alla legge, contenuto in una norma dello Stato, deve
essere interpretato – in assenza di ulteriori specificazioni — come rinvio ad una fonte
legislativa comunque di provenienza statale (Corte cost. 272/10, cit.), restando,
diversamente, contraddetta la stessa ratio legis, di evitare che ogni Regione possa
liberamente prevedere obblighi pecuniari a carico dei soggetti operanti sul proprio
territorio (Corte cost. 336/05, cit.). L’enunciazione del principio vale altresì a
condizionare innovativamente la legislazione fino ad allora espressa, in virtù della
pregnanza che l’attribuzione allo Stato della tutela della concorrenza assume, in seguito
alla riforma del titolo V della Costituzione, e in attuazione delle direttive comunitarie,
pur se la normativa precedente (artt. 233 e 238 d.p.r. 29.3.1973 n. 156, abrogato dall’art.
218, comma l, lett. s d.lgs. 259/03), esentava gli esercenti dei servizi di
telecomunicazione dal pagamento di oneri che non fossero previsti dalla legge.
Ciò comporta che il titolo legittimante all’imposizione di oneri o canoni per l’esercizio
dei servizi di comunicazione elettronica non può essere rinvenuto, come argomentano le
sentenze impugnate, negli artt. 822 e 823 c.c. e negli artt. 86 e 89 d.lgs. 31.3.1998 n.
112 che delegano alle Regioni la gestione del demanio idrico, le relative concessioni, la
determinazione dei canoni e l’introito dei relativi proventi. Le disposizioni da cui le
sentenze impugnate fanno discendere l’obbligo di imporre il canone di polizia idraulica,
non conducono ineluttabilmente a tale conclusione. Esse, inoltre, divengono
incompatibili con l’enunciazione dei principi con cui il legislatore, intervenendo nel
settore delle telecomunicazioni, ha attuato la liberalizzazione del mercato secondo i
8

essere previsti dalle stesse Regioni, purché con intervento legislativo. L’art. 93 ha inteso

dettami comunitari di non discriminazione, proporzionalità e universalità del servizio.
La determinazione dei canoni di concessione del demanio idrico da parte delle singole
Regioni consentirebbe, anzitutto, contrariamente a quanto escluso in radice dal d.lgs.
259/2003 e dai suoi principi ispiratori, condizioni diverse per i singoli operatori a
secondo delle determinazioni delle Regioni che governano il territorio sul quale essi

operano; inoltre, l’imposizione di canoni di concessione, in assenza di un riferimento
agli utenti raggiunti rinvenibile nelle disposizioni statali invocate dalla Regione,
violerebbe il principio di universalità poiché, da un lato, imporrebbe oneri non
proporzionati secondo criteri di incentivazione dello sviluppo della comunicazione
elettronica e, d’altro canto, come rovescio della stessa medaglia, contribuirebbe a
disincentivare il raggiungimento di potenziali utenti isolati, mentre obiettivo del Codice
è il raggiungimento “di tutti gli utenti finali ad un livello qualitativo stabilito, a
prescindere dall’ubicazione geografica dei medesimi” (art. 539.
L’incompatibilità di fondo della normativa invocata come deroga alla esclusione di
ulteriori oneri, prevista dall’art. 93, è confermata dal fatto che il Codice delle
comunicazioni elettroniche si pone come normativa speciale rispetto alla materia da
esso regolata. In tal senso depongono chiaramente sia la scelta della legge di delegare al
Governo l’istituzione di un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di
comunicazione elettronica (art. 41, primo comma lett. a, 1. 166/02), sia la scelta di
racchiudere in un “Codice” le disposizioni legislative e regolamentari in materia di
telecomunicazioni (art. 41, secondo comma, lett. a, 1. 166/02), ovvero di un testo
normativo in grado di disciplinare compiutamente la materia, un corpo organico e
sistematico comprensivo di tutte le norme pertinenti a un ramo del diritto.
Venendo alle disposizioni regionali, che la sentenza impugnata richiama, quale esercizio
del potere conferito dagli artt. 89 e 89 d.lgs. 112/98, esse dettano generiche
disposizioni in tema di canoni di concessione del demanio idrico, senza riferirsi
specificamente alle infrastrutture di telecomunicazione ed allora se ne deve presumere,
in sede interpretativa, la legittimità, escludendo dal loro ambito di applicazione le dette
9

infrastrutture, in quanto non specificamente previste ed assoggettate a regime speciale
dal Codice delle comunicazioni elettroniche. Riguardo agli artt. 3, comma 108 e 114
lett. a, 1.reg. Lombardia 5.1.2000 n. 1, in base ai quali ratione temporis è stata emanata
l’ordinanza ingiunzione di pagamento dei canoni di polizia idraulica a suo tempo
opposta dall’attuale ricorrente, essi sarebbero comunque da ritenere abrogati a seguito

ad un principio incompatibile con tali disposizioni. 11 controllo sull’attuale vigenza di
una norma giuridica spetta istituzionalmente al giudice comune (art. 10 L. 10.2.1953 n.
62) e precede ogni possibile valutazione sulla legittimità costituzionale della medesima
nonna (Corte cost. 18.5.1999, n. 171; 21.62007, n. 222) Tutte le leggi regionali
successive al d.lgs. n. 259/2003 non sono applicabili. Invero, nella sua formulazione
originaria, la 1. reg. Lombardia 12.12.2003 n. 26, attribuiva agli organi regionali (art. 44
lett. d) “la riscossione e l’introito dei canoni di cui all’art. 52, comma 4” e cioè “(de)i
canoni d’uso delle acque e (de)i sovracanoni comunali, provinciali e dei bacini imbriferi
montani, con riferimento alle caratteristiche delle risorse utilizzate, alla destinazione
d’uso delle stesse, ed in applicazione del principio del risarcimento dei costi ambientali
causati”. Nella formulazione del citato art. 52, comma 4, compare, dopo le modifiche
introdotte dall’art. 4, comma 1, lett. d) ed u), L. reg. 8.8.2006 n. 18, il riferimento ai
“canoni per l’uso delle aree del reticolo principale”. In entrambe le formulazioni manca,
tuttavia, un riferimento alle infrastrutture di telecomunicazione. Lo stesso deve dirsi per
la 1. reg. 29.6.2009 n. 10, che, per quanto interessa, si limita a dettare una disciplina dei
“canoni di concessione per l’occupazione” accanto a quelli per l’uso dei beni del
demanio (art. 6), ancora una volta senza alcuno specifico riferimento alle infrastrutture
di telecomunicazione.
In conclusione, la pretesa regionale di imporre canoni per l’attraversamento del demanio
idrico con cavi e infrastrutture di telecomunicazione, non è giustificata da alcuna norma,
statale o regionale, ma è stata esercitata in attuazione di atti amministrativi (delibere

10

dell’entrata in vigore dell’art. 93 d.lgs. 259/03, che, come sopra argomentato, è ispirato

della Giunta regionale, supposte come integrative della disciplina di legge), la cui
illegittimità ne comporta la disapplicazione.
Il secondo motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo. Lo stesso deve dirsi per
il terzo motivo laddove lamenta l’entità della liquidazione delle spese; tale motivo è,
invece, inammissibile laddove lamenta la mancata riunione delle cause. I provvedimenti

discrezionale del giudice, hanno natura ordinatoria e si fondano su valutazioni di mera
opportunità, con la conseguenza che essi non sono sindacabili in sede di legittimità e
non comportano, per gli effetti che ne discendono sullo svolgimento dei processi, alcuna
nullità (ex plurimis Cass. 15 maggio 2007, n. 11187).
La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e, poiché non
sono necessari ulteriori accertamenti e valutazioni di fatto, questa Corte, decidendo nel
merito, dichiara non dovuta la somma ingiunta.
Soccorrono giusti motivi, in considerazione della novità della questione, per
compensare le spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti il secondo motivo e
parzialmente il terzo che dichiara inammissibile nel resto; cassa la sentenza impugnata
e, decidendo nel merito, dichiara non dovuta la somma ingiunta; compensa le spese
dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3 luglio 2 4.

di riunione e separazione di cause costituiscono, infatti, esercizio del potere

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