Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22449 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 16/10/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 16/10/2020), n.22449

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 869.2013 proposto da:

Agenzia delle Entrate rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale

dello Stato, con domicilio in Roma via dei Portoghesi n. 12.

– ricorrente –

contro

Laworwash s.p.a. e Zenith s.p.a. rappresentate e difese dall’avv.

Alessandra Casari e dall’avv. Rita Gradara elettivamente domiciliate

presso lo studio di quest’ultima in Roma largo Somalia n. 67;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria Regionale della

Lombardia n. 111/06/12 depositata il 11/05/2012;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 3.12.2019 dal

Consigliere Dott. Catello Pandolfi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott.ssa Sanlorenzo Rita che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso;

Udito per la difesa del ricorrente l’avv. Alessandra Casari e per

l’Avvocatura Erariale l’avv. Andrea Giordano.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 111/06/12 depositata il 11 maggio 2101.

La vicenda trae origine da un unico inziale accertamento della G. di F. a carico di due società, la Zenith controllante e la controllata Lavorwash, da cui sono scaturiti due avvisi di accertamento, l’uno emesso dall’Ufficio dell’Agenzia di Suzzara e l’altro, di II livello, emesso dall’Ufficio di Milano (OMISSIS). I due avvisi hanno avuto un percorso parallelo innanzi ai giudici di merito (il primo innanzi alla CTP di Mantova, il secondo a quella di Milano).

Il primo ricorso, proposto da Lavorwash, veniva accolto e la decisione confermata dalla CTR Lombardia-sezione di Brescia, a sua volta impugnata dall’Ufficio per la sua cassazione. Il relativo giudizio, n. 9925/2012, è nelle more del presente giunto a decisione con l’Ordinanza di questa Corte n. 17913/94 (con correzione errore materiale mediante ordinanza 3035/16).

Il secondo avviso veniva opposto dalla controllante Zenith ed il ricorso accolto dalla CTP di Milano, poi confermato dal giudice regionale, con la sentenza n. 111/06/12, oggetto del presente ricorso dell’Ufficio, basato su quattro motivi.

Si sono costituite con controricorso sia la società Lavorwasch che la Zenith.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La controversia nel merito è relativa alla contestazione dell’aliquota di ammortamento degli stampi utilizzati nel ciclo industriale, relativo alla produzione di “pompe e compressori” settore in cui operano le società in parola. In particolare l’Ufficio contesta la indebita deduzione di quote di ammortamento di beni materiali strumentali, ritenendo che gli “stampi” dovessero essere inseriti tra egli impianti specifici con aliquota di ammortamento del 10% e non del 25%, come praticato dalle contribuenti.

Il ricorso pone, cioè, il problema della interpretazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 102 con riferimento al VII del D.M. 31 dicembre 1988 (che prevede le aliquote di ammortamento dei singoli beni) laddove non si fa specifico cenno agli “stampi”, per stabilire se annoverarli tra le “attrezzature” o gli “impianti”.

Tanto premesso:

Con il primo motivo, l’Amministrazione chiede l’inammissibilità del ricorso per omessa motivazione in violazione dell’art. 112 c.p.c.. La doglianza non è fondata. Contrariamente a quanto dedotto dall’Agenzia, il giudice regionale non ha mancato di motivare nel respingere la tesi che i ricorsi societari contestassero vizi non propri dell’avviso impugnato perchè riferibili solo a quelli dell’avviso di primo livello, già opposto innanzi alla CTP di Mantova. A base di tale considerazione, infatti, la Commissione argomentava che i due atti impositivi impugnati scaturivano da un unico p.v.c., i quali, contestando un ammortamento effettuato oltre l’aliquota prevista dalla tabella allagata al TUIR, lo rende ricadente sia sulla consolidata che sulla consolidante. Ne consegue – concludeva – che quanto si decide per la consolidante non può non avere ripercussioni anche sul reddito. Così respingendo la tesi della “separatezza” sostenuta dalla ricorrente a base del motivo, da ritenere infondato.

Con il secondo motivo, l’Agenzia lamenta violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Anche tale motivo, non è da condividere, posto che, con ricorso delle società alla CTP di Milano, riguardante l’avviso di II livello, le società non avevano chiesto un nuovo esame nel merito della controversia, circa la determinazione dell’aliquota di ammortamento applicabile, già sottoposto all’esame del giudice mantovano, ma solo una decisione che tenesse conto della prima, in una logica di raccordo, non di duplicazione. Ne deriva l’infondatezza della censura di inammissibilità per violazione del principio del ne bis in idem.

Tanto premesso, in merito alle questioni in rito sollevate dalla ricorrente, va evidenziato che, nelle more del presente giudizio, il ricorso della stessa Amministrazione Finanziaria, per la cassazione della sentenza n. 55/66/2011 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia-sezione di Brescia, è stato oggetto dell’Ordinanza di questa Corte n. 17913 del 1914, poi integrata, per correzione materiale, dall’Ordinanza n. 3035 del 2016.

Con tale ultima decisione, a cui questo Collegio intende dare ulteriore corso, questa Corte ha evidenziato come nel decreto ministeriale 31.12.1988, con riferimento alla sezione in cui è inserita l’attività delle società ricorrenti, non sia espressamente prevista l’aliquota della quota d’ammortamento da applicare agli “stampi”, con la conseguenza che il regime da applicare debba essere desunto dalla disciplina generale precisata dall’art. 102 del TUIR. In base a tale disciplina è possibile dedurre una parte del costo del bene, in relazione a coefficienti che sono stabiliti per categorie di beni omogenei in base al normale periodo di deperimento e consumo nei vari settori produttivi.

Il criterio individuato è, dunque, quello, desunto dalla citata disposizione, di ritenere possibile la deduzione della parte del costo in relazione al periodo di deperimento e consumo del bene. Nel caso in esame è intuibile il maggior consumo e la minor durata degli stampi rispetto a quella dei macchinari, in particolare delle presse di cui sono parte integrante. La maggior frequenza nella sostituzione degli stampi implica una maggior iterazione del costo. Ne deriva la fondatezza dell’applicazione ad essi di un’aliquota di ammortamento maggiore rispetto a quello applicabile agli impianti, correttamente individuata nella misura del 25%.

Il terzo motivo di ricorso è quindi infondato.

Con il quarto motivo l’Amministrazione ricorrente lamenta insufficiente motivazione per essersi la Commissione regionale limitata a recepire acriticamente la tesi della controricorrente, senza esaminare le ragioni addotte con il ricorso.

Anche tale doglianza non è fondata in quanto la CTR ha precisato di aver tenuto conto, nella sua valutazione, del fatto che le società avessero dimostrato, nelle controdeduzioni all’appello, che gli stampi non avevano la stessa durata/consumo delle presse e che su tale premessa il giudice regionale riteneva giustificata l’applicazione di una diversa aliquota di ammortamento. L’Agenzia ha, invece, assunto nel ricorso (pag.11) che “gli stampi..costituiscono beni complementari dei macchinari con i quali condividono un uguale durata fisica…”, senza però motivare tale affermazione, quasi che la complementarietà di una componente implica di per sè la medesima durata del macchinario cui accede.

Il ricorso dell’Amministrazione deve, quindi, essere rigettata, con conseguente condanna al pagamento delle spese di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di legittimità che liquida in complessivi Euro 10.000,00.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

 

 

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