Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22445 del 09/09/2019

Cassazione civile sez. II, 09/09/2019, (ud. 22/02/2019, dep. 09/09/2019), n.22445

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20183-2015 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliata in ROMA, CIRC.NE

NOMENTANA, 214, presso lo studio dell’avvocato LUISELLA VALENTINO,

rappresentata e difesa dall’avvocato CESARE BENAZZI;

– ricorrente –

C.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAN TOMMASO

D’AQUINO 47, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIO GIORDANO

(STUDIO BONETTI MICHELE), rappresentato e difeso dall’avvocato

FILIPPO MARCELLO;

– controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1689/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 14/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/02/2019 dal Consigliere VINCENZO CORRENTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.A. propone ricorso per cassazione, illustrato da memoria contro C.M., che resiste con controricorso proponendo ricorso incidentale condizionato e ricorso incidentale, illustrati da memoria avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna del 14.7.2014, che, in riforma parziale di quella di primo grado, ha condannato C.M. a eliminare i manufatti e le opere esistenti sul confine dei fondi, restringenti il passaggio oggetto di servitù, rigettando per il resto l’appello principale e l’incidentale.

La causa, introdotta da F.A., dopo aver ottenuto un provvedimento cautelare, al fine di accertare l’illegittima costruzione sul confine in violazione dell’art. 873 c.c. e l’illegittima limitazione di una servitù di passaggio a causa di un marciapiede che la restringeva di un metro ed a causa anche dell’apertura esterna delle porte da parte della C., si era conclusa in primo grado col rigetto delle domande.

La Corte di appello di Bologna ha accertato la imitazione della servitù ma ha escluso la violazione delle distanze legali.

Ha considerato in proposito che sul confine già esisteva una costruzione (rappresentata da un muro) e quindi, a suo avviso, l’edificazione da parte della convenuta era legittima in applicazione dell’art. 20 del R.E. che consente appunto di costruire in aderenza o sul confine qualora vi siano preesistenti costruzioni.

Ricorre la B., già indicata in sentenza come appellante, continuatrice del processo iniziato dalla F., di cui è erede, denunziando 1) violazione degli artt. 21 e 5 del R.E. del Comune di Mirabello in rapporto all’art. 878 c.c., comma 1 per essere stato ritenuto il muro di m. 1,80 costruzione preesistente; 2) violazione dell’art., 5 del R.E. perchè in ogni caso si imponeva una distanza minima di tre metri dal confine.

Col ricorso incidentale condizionato si denunzia 1) violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. sul divieto di ius novorum in appello e col ricorso incidentale 1) delle stesse norme sotto altro profilo; 2) degli artt. 163,164 e 342 c.p.c. sulla valutazione delle testimonianze sull’esistenza ultratrentennale del marciapiede; motivazione inesistente; 4) violazione degli artt. 1063,1064,1065 e 1067 c.c., omesso esame di fatto decisivo.

Ciò premesso, si osserva:

Le parti ripropongono sostanzialmente negli stessi termini le questioni esaminate dalla Corte di appello.

E’ preliminare l’esame dei primi motivi rispettivamente del ricorso incidentale condizionato e del ricorso incidentale, che vanno respinti avendo la Corte di appello escluso la novità eccepita dalla C. perchè “le domande avversane erano già tutte nella citazione di primo grado dov’erano chiari i beni della vita avuti di mira senza che l’aggiunta successiva di un inciso o la modificazione ci qualche parola le snaturino” e cioè 1) ripristino stato dell’immobile, 2) passaggio sul fondo servente, e tale conclusione è senz’altro corretta in diritto perchè il fatto è lo stesso ed il bene della vita domandato non è mutato (cfr. atto di citazione e atto di appello, cfr. altresì Cass. n. 24055/2008 secondo cui non costituisce domanda nuova, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., la specificazione della domanda effettuata dalla parte con l’attribuzione in appello di un diverso nomen iuris, basato sui medesimi fatti dedotti in primo grado; cfr. anche Cass. n. 19812/2004).

Passando al ricorso principale, il primo motivo manifesta dissenso rispetto alla statuizione relativa al concetto di costruzione ravvisabile nel muro di m. 1,80, mentre il secondo formula una ipotesi alternativa ed ipotetica.

La prima censura è fondata con assorbimento della seconda.

Come già esposto, la Corte di appello ha ritenuto che la edificazione della convenuta sul confine fosse legittima perchè già c’era una costruzione rappresentata da un muro. Ricorreva, quinti, l’ipotesi prevista all’art. 20 del regolamento comunale (che consente di costruire sul confine o in aderenza qualora vi siano preesistenti costruzioni sul confine).

Ebbene i requisiti essenziali del muro di cinta, che a norma dell’art. 878 c.c. non va considerato nel computo delle distanze legali, sono costituiti dall’isolamento delle facce, dall’altezza non superiore a metri tre e dalla sua destinazione alla demarcazione della linea di confine ed alla separazione e chiusura della proprietà mentre la sentenza, a pagina dieci, distingue le due ipotesi della possibilità edificatoria delle due parti statuendo essere irrilevanti i tre metri di altezza di cui all’art. 878 c.c. perchè il muro vale come preesistente costruzione ex art. 20 del regolamento che consente la sopraelevazione sulla verticale.

La decisione non è corretta perchè non dà il giusto rilievo alla previsione legislativa citata posto che il muretto in questione è alto meno di tre metri, come accertato dalla stessa Corte di appello.

Ragionare diversamente significherebbe sminuire la portata della chiara previsione dell’art. 878 c.c. che richiama l’art. 873 c.c., norma dalla quale i regolamenti possono derogare per stabilire distanze maggiori.

Quanto alle rimanenti doglianze del ricorso incidentale, che, per la evidente connessione, possono trattarsi congiuntamente si osserva:

A seguito della riformulazione della norma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, è denunciabile in cassazione solo l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (Cass. 8 ottobre 2014; n. 21257; Rv. 632914).

Il vizio motivazionale previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5) pertanto, presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico.

Sotto altro profilo, come precisato dalle Sezioni Unite, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5″ deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Può essere pertanto denunciata in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Nel caso di specie non si ravvisano nè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nè un’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante.

La Corte d’appello, infatti, ha deciso la controversia sulla base delle risultanze, congruamente delibate ed ha considerato con apprezzamento in fatto la diminuzione della servitù rispetto alla previsione del titolo (restrizione da 5 a 4 metri) mentre sono inammissibili nuovi profili quali la violazione degli artt. 163 e 164 c.p.c. perchè non risultano dedotti nei gradi di merito.

La censura sulla valutazione delle testimonianze si risolve nella denunzia di un inammissibile vizio di motivazione improponibile ratione temporis, a seguito della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. 8.10.2014 n. 21257, etc.).

La violazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 1063 e ss. c.c., infine, non ricorre perchè com’è noto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalla norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 5.2.2019 n. 3340, 14.1.2019 n. 640, 13.10.2017n. 24155, etc).

Nel caso di specie, come si è visto, si è fuori da tale ipotesi.

Donde il rigetto del ricorso incidentale, l’accoglimento del primo motivo del ricorso principale e l’assorbimento del secondo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il riarso incidentale, accoglie il primo motivo ricorso principale, dichiara assorbito il secondo, dà atto dell’esistenza dei presupposti ex D.P.R. n. 115 del 2002 per il versamento dell’ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente incidentale, cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese alla Corte di appello di Bologna.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2019

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