Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22445 del 04/11/2016

Cassazione civile sez. trib., 04/11/2016, (ud. 12/10/2016, dep. 04/11/2016), n.22445

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9454/2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ACF SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA FEDERICO CESI 72, presso lo

studio dell’avvocato BERNARDO DE STASIO, rappresentato e difeso

dall’avvocato LUIGI SCARPA giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 102/2012 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 02/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/10/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;

udito per il ricorrente l’Avvocato CASELLI che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato SCARPA che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. – Preliminarmente si dà atto che è stata autorizzata la redazione della sentenza in forma semplificata ai sensi del decreto del primo presidente del 14 settembre 2016.

2. – La guardia di finanza ha proceduto a verifica fiscale a carico della ditta individuale C.G., conclusasi con processo verbale di constatazione da cui è emerso che lo stesso avrebbe emesso per l’anno di imposta 2006 fatture per operazioni inesistenti nei confronti della ACF s.r.l. per un imponibile di Euro 144.357, ritenendosi che invece che artigiano esterno il C. fosse dipendente della società, stante l’assenza di qualsiasi impianto contabile, strumentazione o attrezzatura, fornitori nonchè luogo per l’esercizio dell’attività, nonchè stante la presenza presso la ACF s.r.l. di documento con rendicontazione delle ore di lavoro prestate dal C., qualificato come dipendente. A ciò ha fatto seguito da parte dell’agenzia delle entrate avviso di accertamento di maggiori IRES, IRAP e IVA nei confronti della società per l’anno di imposta 2006. La commissione tributaria provinciale di Milano ha accolto il ricorso della contribuente, ritenendo l’inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente e l’esistenza delle prestazioni oggetto di fatturazione. La sentenza, appellata dall’agenzia delle entrate, è stata confermata dalla commissione tributaria regionale della Lombardia in Milano, che ha ritenuto non sufficientemente provato che il C. non fosse dipendente. Avverso questa decisione l’agenzia propone ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo, rispetto al quale l’agenzia resiste con controricorso.

3. – Con “istanza di riunione” del presente procedimento con altri la parte contribuente ha fatto valere che sarebbero passate in giudicato sentenze della commissione regionale che, in relazione ad accertamenti concernenti altre annualità, avrebbero accertato l’inesistenza dell’ipotizzato rapporto di dipendenza del C.. A prescindere da ogni considerazione circa l’idoneità dello strumento processuale prescelto per tale deduzione e circa la ferma giurisprudenza di questa corte circa l’ambito limitato dell’effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche (limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata, sicchè è esclusa l’efficacia espansiva del giudicato per le fattispecie “tendenzialmente permanenti” in quanto suscettibili di variazione annuale – cfr. sez. 5 n. 4832 del 2015), va detto che nel caso in esame nessuna prova è fornita di detto presunto giudicato.

4. – I limiti d’impugnazione della “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., u.c., sono in generale applicabili anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, non ha connotazioni di specialità, onde il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3 bis, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546”, si riferisce esclusivamente ai gradi di merito (cfr. sez. un. n. 8053 del 07/04/2014). Tuttavia detti limiti, diversamente da quanto dedotto dalla parte contribuente, non sono applicabili al presente procedimento “ratione temporis”, posto che il ricorso in appello è stato depositato, come risulta dalla sentenza impugnata, in data 4.7.2011, mentre il cit. art. 54, al comma 2, prevede che le disposizioni, tra le quali l’art. 348 ter, “si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, entrata in vigore avutasi il 12 agosto 2012.

5. – Con la doglianza formalmente unica l’agenzia propone in sostanza una duplice denuncia: – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21; – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dall’esistenza del rapporto di lavoro dipendente. Sostiene, in riferimento alla prima censura, che avendo la sentenza impugnata ritenuto che “non è stato provato ed accertato qualche elemento attraverso il quale potere risalire e/o qualificare il rapporto dipendente o autonomo” e che “a fronte di attività dichiarata effettuata, di pagamenti riscontrati, non sembra siano sufficientemente addotti elementi idonei ad inficiare i predetti due elementi” (relativi alla mancata prova della regolazione degli oneri di trasferta circa una lavorazione in Messico e all’avvenuta fornitura di quadri elettrici, elementi indicativi di un “quid pluris” rispetto a un rapporto di dipendenza), il ragionamento probatorio predetto era in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40, che impongono di valutare prima la gravità, precisione e concordanza del quadro presuntivo fornito dall’amministrazione e poi di valutare se il contribuente abbia fornito la prova contraria di cui è onerato. Sostiene poi, in riferimento alla seconda censura per vizio di motivazione, che, nell’affermare quanto innanzi, la commissione regionale non avrebbe effettuato alcun esame degli elementi presuntivi addotti dall’ufficio. L’ufficio ha al riguardo precisato le ragioni che renderebbero la motivazione inidonea a giustificare la decisione mediante lo specifico riferimento ai fatti rilevanti, alla documentazione prodotta, alla sua provenienza e all’incidenza rispetto alla decisione.

6. – La prima censura di violazione di legge – ammissibile al di là delle questioni, in questa sede non rilevanti e di cui fa menzione la controricorrente, relative alla natura soggettivamente o oggettivamente inesistente delle operazioni come contestate in avviso di accertamento – è fondata, con conseguenziale assorbimento della seconda afferente vizio motivazionale, posto che – nell’applicare il principio di diritto di cui in appresso – il giudice di rinvio dovrà procedere a rinnovata motivazione. Tanto esime anche la corte dal valutare se la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, potesse essere riqualificata con riferimento al corretto parametro dell'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” di cui al testo del citato art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. applicabile “ratione temporis” (la sentenza impugnata è stata depositata il 2 ottobre 2012).

7. – La denunciata violazione dei criteri in tema di onere della prova ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e art. 40, emerge dalla lettura della sentenza impugnata, laddove la commissione tributaria regionale, ritenendo egualmente possibili le due alternative del sussistere di un rapporto di lavoro autonomo o dipendente, si è fatta carico di indicare due elementi probatori, sopra indicati, che potrebbero rimandare ad un rapporto autonomo e, in base a ciò, ha reputato infondata la contestazione dell’ufficio. Così operando, tuttavia, effettivamente la commissione regionale non ha fatto applicazione della disciplina in materia di onere della prova riguardo a rettifiche operate dall’amministrazione. Invero, qualora l’amministrazione contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, relative ad operazioni inesistenti, spetta all’ufficio stesso, adducendo la falsità del documento e quindi l’inesistenza di un maggior imponibile, provare che l’operazione commerciale in realtà non è stata mai posta in essere. Tale prova tuttavia, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e art. 40, (e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2), potrà essere fornita dall’ufficio anche mediante presunzioni, senza che l’ufficio debba fornire necessariamente altre prove “certe”. Il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è dunque anzitutto tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi probatori forniti dall’uffici, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma solo per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono). Qualora ritenga gli elementi probatori presuntivi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza (e quindi qualora accerti la fondatezza del ragionamento probatorio, seppur unilateralmente proposto, dell’erario), consentirà al contribuente, che solo a tal punto ne diviene onerato, di provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, a norma dell’art. 2697 c.c., comma 2, (cfr. sez. 5, n. 9784 del 2010, n. 9108 del 2012, n. 17977 del 2013, n. 429 del 2015 oltre altre). Orbene nel caso di specie, senza procedere a valutare autonomamente (prima singolarmente, poi complessivamente), gli elementi presuntivi addotti dall’ufficio (l’assenza presso il C. di qualsiasi impianto contabile, strumentazione o attrezzatura, fornitori nonchè luogo per l’esercizio dell’attività, nonchè la presenza presso la ACF s.r.l. di documento con rendicontazione delle ore di lavoro prestate dal C., qualificato come dipendente), la commissione tributaria regionale ha dato direttamente peso a due elementi probatori (sopra accennati) ritenuti di segno opposto, forniti dalla parte contribuente; come risultato del ragionamento probatorio, ha ritenuto che l’amministrazione non avesse “inficiato” tali due elementi e dovesse quindi soccombere. Al contrario, la valutazione andava compiuta, conformemente ai criteri legali dello schema della prova presuntiva, in base al principio di diritto enunciato da questa corte secondo cui, in presenza di plurimi indizi, il giudice di merito incorre nel vizio di legittimità denunciato qualora si limiti a contestarne la capacità dimostrativa alla stregua di un sintetico giudizio di irrilevanza, atteso che, in tema di prova per presunzioni, il giudice, posto che deve esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Inoltre, come detto, tale valutazione va effettuata separatamente quanto agli elementi addotti dall’amministrazione, in presenza della probatorietà dei quali soltanto si passa a valutare se il contribuente abbia fornito prova contraria. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza svolgere i predetti accertamenti.

8. – Stante la violazione dei criteri di valutazione probatoria ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e art. 40, la sentenza va dunque cassata, con rinvio alla medesima commissione tributaria regionale della Lombardia in Milano, in diversa composizione, affinchè applichi il suindicato principio di diritto e proceda ad un rinnovato esame dei fatti controversi dando adeguato riscontro motivazionale a tutti gli elementi probatori, nonchè regoli le spese processuali anche del giudizio di legittimità.

PQM

La corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese processuali del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Quinta Civile, il 12 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2016

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