Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22443 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 16/10/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 16/10/2020), n.22443

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giusepp – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18755-2019 proposto da:

A.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE

MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato MANUELA AGNITELLI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di L’AQUILA, depositato il

07/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. UMBERTO

LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, rilevato che:

con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis depositato il 31/1/2018 A.P., cittadino della Nigeria, ha adito il Tribunale di L’Aquila – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria;

il ricorrente, proveniente dal Delta State in Nigeria, aveva riferito di aver lasciato il proprio Paese a causa delle minacce di morte ricevute dallo zio paterno, a seguito dell’opposizione da lui manifestata alle sue nozze con la madre che avevano per obiettivo di impossessarsi dei beni di famiglia, nonchè di ulteriori minacce rivolte alla sorella e all’aggressione subita dal fratello;

con decreto del 7/5/2019, il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria;

avverso il predetto decreto, comunicato lo stesso giorno, ha proposto ricorso A.P., con atto notificato il 6/6/2019, svolgendo quattro motivi e l’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita;

è stata proposta di trattazione in camera di consiglio non partecipata, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RITENUTO

che:

con il primo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 11, lett. e) e f), nonchè illogica e apparente motivazione, in ordine al rigetto da parte del Tribunale della richiesta dello status di rifugiato in difetto di persecuzione per tendenze o stili di vita, non sapendo leggere nella gravità della vicenda, che aveva portato alla violenza e alla morte della sorella e al ferimento del fratello, una vicenda meramente privata;

il motivo inerente la valutazione di non rilevanza della vicenda ai fini della protezione internazionale e in particolare circa la richiesta dello status di rifugiato è stato dedotto in modo sommamente generico, specie nel riferimento alla valenza “ultra-privatistica” degli episodi delittuosi di cui erano stati vittime la sorella e il fratello, neppur riferiti nella parte espositiva del ricorso in modo diverso e più articolato rispetto a quanto del tutto sommariamente riferito nel provvedimento impugnato;

la censura, comunque riversata nel merito, non mette quindi in condizione la Corte di valutare se e in che misura siffatti atti di violenza (non si sa da chi compiuti, per quali ragioni e con quali modalità) esulerebbero dal tema valutato dai Giudici di merito della reazione violenta dello zio all’opposizione alle nozze manifestata dal ricorrente;

con il secondo motivo, inerente la protezione sussidiaria, formulato ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e art. 14, comma 1, lett. c) degli artt. 23, 5, 8 e 9 CEDU, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, per aver il Tribunale omesso di procedere alla debita indagine istruttoria con riferimento alla sussistenza di rischio di danno grave, escludendo erroneamente in Nigeria e in particolare nel Delta State l’esistenza di una situazione di pericolo generalizzato;

il motivo in tema di violazione di legge quanto alla protezione sussidiaria esprime un mero dissenso nel merito rispetto alla valutazione negativa espressa dal Tribunale e appare inoltre manifestamente infondato nella censura relativa al preteso inadempimento del potere di cooperazione istruttoria poichè nel decreto, pagg.3-4, il Tribunale ha dato conto della situazione socio-politica dell’area territoriale di provenienza del ricorrente sulla base della consultazione di fonti informative accreditate;

sempre in ordine alla protezione sussidiaria, il ricorrente lamenta che il Tribunale abbia limitato la propria indagine all’ipotesi dell’esposizione alla violenza indiscriminata scaturente da conflitto armato interno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) senza valutare il rischio personale di danno grave ai sensi della lett. b) dello stesso articolo;

tuttavia il ricorrente, che al riguardo si limita a sostenere che il Tribunale avrebbe ignorato quel profilo di rischio, non affronta e non confuta l’affermazione esposta dal Tribunale a pagina 4 del decreto impugnato (secondo capoverso, in chiusura del p. B), che a quello specifico profilo si riferisce, secondo la quale “non risultano documentate circostanze di fatto da cui desumere il pericolo di un danno grave e ingiusto a circo (rectius: carico) del ricorrente in caso di ritorno al paese natale”;

con il terzo motivo, sempre inerente la protezione sussidiaria, formulato ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e art. 3, comma 3, lett. a) e b), artt. 3 e 7 CEDU, perchè il Tribunale si era basato su di un giudizio prognostico, futuro e incerto, e non sullo stato effettivo e attuale del Paese di origine per escludere in Nigeria e in particolare nel Delta State una situazione di pericolo generalizzato;

il motivo inerente alla pretesa inattualità della situazione socio-politica del Paese di origine è inammissibile perchè non è pertinente alla ratio decidendi, non essendo dimostrata l’inattualità della documentazione utilizzata dal Tribunale – che non ha affatto formulato un giudizio di carattere prognostico, come assunto dal ricorrente – ed oltretutto si fonda su documenti che non risultano prodotti nel giudizio di merito;

con il quarto motivo, attinente la protezione umanitaria, formulato ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 19, comma 1, art. 3, comma 3, lett. c) e comma 4, nonchè illogica, apparente e contraddittoria motivazione perchè il Tribunale non aveva operato un esame specifico e attuale della situazione oggettiva e soggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine;

il motivo è totalmente generico ed espressivo di un mero dissenso circa la valutazione motivata del Tribunale, che ha escluso che la vicenda riferita, inerente a un dissidio puramente privato rispetto al quale il ricorrente poteva chiedere tutela alle autorità del suo Stato, potesse integrare la necessaria condizione di vulnerabilità;

il motivo appare inammissibile perchè esprime una critica di merito rispetto alla motivata valutazione del Tribunale condotta secondo i parametri fissati dalla giurisprudenza di legittimità;

secondo la sentenza delle Sezioni Unite del 13/11/2019 n. 29460, adesiva al filone giurisprudenziale promosso dalla sentenza della Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, al fine di valutare la sussistenza di situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili;

il livello di integrazione dello straniero in Italia e il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del medesimo non integrano, se assunti isolatamente, i seri motivi umanitari alla ricorrenza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere fondato su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza;

il Tribunale, puntualmente allineato a tale orientamento giurisprudenziale avallato dalle Sezioni Unite, ha escluso sia la sussistenza di una condizione di specifica e personale vulnerabilità soggettiva del richiedente, anche in considerazione dei suoi legami familiari in patria e della sua capacità di svolgimento in passato di attività lavorative, sia la dimostrazione da parte sua di un significativo percorso di integrazione sociale e lavorativa in Italia, diverso dal mero e irrilevante svolgimento di attività formative in regime di accoglienza;

ritenuto pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, senza condanna alle spese in difetto di costituzione della parte intimata.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

 

 

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