Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22442 del 16/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 16/10/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 16/10/2020), n.22442

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giusepp – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18734-2019 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OTRANTO 12,

presso lo studio dell’avvocato MARCO GRISPO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI SIRACUSA SEZIONE

DI RAGUSA, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legi3;

– controricorrente –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO PROTEZIONE INTERNAZIONALE

SIRACUSA SEZIONE RAGUSA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2/2019 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA,

depositata il 10/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. UMBERTO

LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, rilevato che:

in data 16/1/2017 il Tribunale di Caltanissetta ha respinto il ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 proposto dal richiedente asilo S.A., cittadino pakistano, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria;

il ricorrente, proveniente da (OMISSIS), aveva riferito di essere fuggito dal proprio Paese, dopo essere stato arrestato dalla polizia insieme ad un parente di sua moglie, sposata 45 giorni prima, che aveva lasciato presso il suo negozio una valigia contenente materiale esplosivo; di essere stato rilasciato dopo la dichiarazione del parente della moglie che aveva riconosciuto che la valigia era di sua proprietà; che dopo alcuni giorni erano stati arrestati cinque presunti attentatori; che i parenti della moglie si erano presentati al suo negozio, picchiandolo con il calcio di una pistola, intimandogli con minacce di non denunciarli alla polizia e affermando che si sarebbero fatti rilasciare un certificato secondo cui lui soffriva di disturbi mentali; di essere rimasto in ospedale due mesi e mezzo; che, uscitone, era andato alla polizia a denunciare i parenti della moglie ma la polizia non gli aveva creduto per il certificato presentato dai fratelli della moglie; che costoro lo avevano minacciato di morte se non avesse compiuto l’attentato da loro progettato; che dietro consiglio e con aiuto di un amico aveva lasciato il Pakistan alla volta della Libia, ove aveva lavorato quattro anni come muratore prima di arrivare in Italia;

con sentenza del 10/1/2019 la Corte di appello di Caltanissetta ha rigettato l’appello proposto dallo S. e ha confermato la decisione di primo grado;

avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso S.A., con atto notificato il 26/6/2019, svolgendo due motivi ai quali ha resistito l’Amministrazione dell’Interno, costituita con controricorso notificato il 29/8/2019, chiedendo di dichiarare inammissibile o rigettare il ricorso;

con il primo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,7,14 e 17 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 32 e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, con riferimento alle richieste di protezione sussidiaria e umanitaria;

in particolare, secondo il ricorrente, la motivazione in punto richiesta di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), con riferimento alla situazione generale dell’intero Pakistan e in particolare del distretto del Punjab settentrionale, era inconsistente e contraddittoria e meramente apparente, in presenza di una situazione di conflitto armato interno che esponeva a rischio in modo indiscriminato la vita dei civili;

con il secondo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè omesso esame di fatti decisivi per il giudizio perchè in tema di protezione umanitaria la Corte di appello aveva basato il rigetto della richiesta su di una motivazione contraddittoria apparente, pur riconoscendo un significativo radicamento del richiedente sul territorio nazionale, ma attribuendo inspiegabilmente rilievo ostativo alla inattendibilità del racconto fatto alla Commissione Territoriale e non considerando l’assenza dalla patria dal lontano 2010;

dopo la proposta di trattazione in camera di consiglio non partecipata, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. la parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, richiedendo la dichiarazione di estinzione del procedimento per sua sopravvenuta carenza di interesse, avendo proposto presso la Questura di Treviso istanza di emersione da lavoro irregolare ai sensi del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, art. 103 convertito con modificazioni dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, con la compensazione delle spese di lite;

ritenuto che:

la dichiarazione di rinuncia al ricorso formulata da S.A., non debitamente notificata alla parte controricorrente ai sensi dell’art. 391 c.p.c., comma 3, non può produrre automaticamente l’effetto estintivo; secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, la rinuncia al ricorso per cassazione, quale atto unilaterale recettizio, seppur inidonea a produrre l’effetto tipico dell’estinzione del processo, se non notificata alla controparte costituita, rivela tuttavia il sopravvenuto difetto di interesse del ricorrente a proseguire il giudizio e determina quindi l’inammissibilità del ricorso. (Sez. 1, n. 13923 del 22/05/2019, Rv. 654263 – 01; Sez. 6 – 5, n. 14782 del 07/06/2018, Rv. 649019 – 01; Sez. 3, n. 12743 del 21/06/2016, Rv. 640420 – 01; Sez. 3, n. 2259 del 31/01/2013, Rv. 625136 – 01; Sez. 1, n. 17187 del 29/07/2014, Rv. 631994 – 01; Sez. U, n. 3876 del 18/02/2010, Rv. 611473 – 01);

deve essere quindi dichiarata l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse;

ai fini della regolazione delle spese di lite si rende quindi necessaria la valutazione della soccombenza virtuale, mediante sommaria delibazione ex ante dell’originaria fondatezza dei motivi dell’impugnazione divenuta inammissibile;

il primo motivo era da ritenere inammissibile in quanto espressivo di un mero dissenso nel merito dalla motivata valutazione espressa prima dal Tribunale e poi dalla Corte di appello (pag.7 e 8) che, fondandosi su fonti internazionali accreditate, fra cui il rapporto Easo ottobre 2018, ha evidenziato il miglioramento complessivo della situazione di stabilità del Paese, la diminuzione del numero degli attentati e l’insussistenza di una situazione di minaccia grave e individuale alla vita dei civili;

inoltre la doppia conforme pronuncia sul merito precludeva l’ammissibilità della denuncia di vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., n. 5, peraltro formulata dal ricorrente senza indicare un fatto specifico il cui esame fosse stato omesso dalla Corte di appello e citando una serie di fonti informative, in buona parte anteriori a quelle citate dalla Corte di appello e per di più senza dar conto, di quando e in che modo tali documenti sarebbero stati prodotti in giudizio e sottoposti alla dialettica del contraddittorio;

anche il secondo motivo appariva inammissibile perchè espressivo di una critica nel merito della valutazione compiuta dalla Corte territoriale, che non aveva affatto omesso di considerare le circostanze segnalate e che aveva escluso, all’esito del giudizio comparativo condotto secondo i parametri indicati dalla giurisprudenza di questa Corte (e in particolare della sentenza delle Sezioni Unite del 13/11/2019 n. 29460), una situazione di vulnerabilità su base individuale in caso di rientro in patria, parimenti necessaria al pari di una effettiva integrazione sociale e lavorativa del ricorrente in Italia, in considerazione della complessiva inattendibilità del racconto circa le ragioni dell’espatrio e la insondabilità delle effettive ragioni di allontanamento dal Pakistan, che impedivano un giudizio circa l’effettività dello sradicamento del ricorrente dal Paese di origine;

le spese debbono pertanto seguire la soccombenza virtuale del ricorrente, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate nella somma di Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

 

 

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