Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2244 del 02/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 02/02/2021, (ud. 20/11/2020, dep. 02/02/2021), n.2244

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25204-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SRL (ORA IN FALLIMENTO), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA LUIGI LUCIANI I, presso lo studio dell’avvocato DANIELE MANCA

BITTI, rappresentata e difesa dagli avvocati GIUSEPPE LAI, ITALO

DOGLIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3/2013 della COMM.TRIB.REG.SARDEGNA,

depositata il 25/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/11/2020 dal Consigliere Dott. CATALDI MICHELE;

lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona del

sostituto procuratore generale Dott. STFANO VISIONA’ che ha chiesto

l’accoglimento del secondo motivo; assorbimento o rigetto dei

restanti.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle entrate ha notificato alla (OMISSIS) s.r.l. unipersonale, esercente la vendita al dettaglio di abbigliamento, due avvisi, relativi agli anni d’imposta 2005 e 2006, con i quali, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2, ha accertato induttivamente il maggior reddito imponibile della contribuente ai fini Ires, Irap ed Iva, determinando di conseguenza le maggiori imposte dovute, con interessi e sanzioni.

La contribuente ha proposto un unico ricorso avverso entrambi gli atti impositivi e la Commissione tributaria provinciale di Cagliari lo ha accolto solo in parte, limitatamente al rilievo attinente il mancato riconoscimento dei costi afferenti l’acquisto, nel 2006, di abiti da sposa. Proposto appello dalla contribuente, la Commissione tributaria regionale della Sardegna, con la sentenza n. 03/04/2013, depositata il 25 marzo 2013, lo ha accolto, annullando ambedue gli avvisi contestati. L’Amministrazione ha quindi proposto ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza d’appello, e la contribuente si è costituita con controricorso.

Il Procuratore generale ha formulato conclusioni, chiedendo l’accoglimento del secondo motivo, il rigetto del quarto e la declaratoria d’inammissibilità del primo e del terzo.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo l’Ufficio ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente motivazione rassegnata dal giudice a quo.

Come dedotto anche dal Procuratore generale, il motivo è inammissibile, atteso che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis in relazione alla data di deposito della sentenza impugnata, non contempla il vizio dell’insufficienza della motivazione, nè il mancato esame di “punti” decisivi della controversia, nè l’aver il decidente “trascurato le difese” di una parte (nel caso di specie l’Ufficio), come si legge nel corpo dello stesso motivo. Dal quale, peraltro, si ricava che nella sostanza la parte ricorrente pretende un’inammissibile rivisitazione dell’apprezzamento in fatto operato dalla CTR, al fine di sostituire la propria versione della fattispecie concreta a quella accertata dalla sentenza impugnata, senza individuare l’omesso esame di uno specifico fatto storico, puntualmente evidenziato.

2. Con il secondo motivo l’Ufficio ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 2 e 7, per avere la CTR affermato che, pur dovendo riconoscersi la sussistenza dei presupposti degli accertamenti induttivi praticati, essi dovevano essere annullati, in quanto le pretese impositive si fondavano su un’errata ricostruzione delle rimanenze finali di ognuno degli anni d’imposta, e dei ricavi, evidenziata anche dal prospetto dei calcoli effettuati dall’Amministrazione su richiesta della Procura della Repubblica e prodotta agli atti del giudizio tributario. Il giudice a quo, infatti, ha ritenuto di non potersi sostituire all’Ufficio nella quantificazione dell’imponibile in misura eventualmente diversa da quella accertata e, comunque, di non poter utilizzare a tal fine il predetto prospetto, proveniente dall’Ufficio, in quanto “pur inserito nelle carte processuali, non è oggetto d’impugnazione”.

Il motivo è ammissibile e fondato.

Infatti, il giudizio tributario non si connota come un giudizio di “impugnazione-annullamento”, bensi come un giudizio di “impugnazione-merito”, in quanto non è finalizzato soltanto ad eliminare l’atto impugnato, ma è diretto alla pronuncia di una decisione di merito sul rapporto tributario, sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria, previa quantificazione della pretesa erariale, peraltro entro i limiti posti da un lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte nell’atto impositivo impugnato e, dall’altro lato, sia dalla dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’Ufficio. Pertanto, ove il giudice tributario ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, riconosciuta l’incongruenza dell’accertamento dell’Ufficio, ha il dovere di decidere sul merito ed accertare, nei limiti posti dalle domande delle parti, la corretta misura dell’imposta eventualmente dovuta dal contribuente (cfr. ex plurimis, da ultimo, Cass. 06/04/2020, n. 7695, in motivazione; Cass. 05/10/2020, n. 21290, in motvazione).

La CTR si è sottratta quindi erroneamente a tale decisione di merito, nè tale condotta processuale può essere giustificata dall’equivoca constatazione che uno degli elementi istruttori valutati per ritenere che la pretesa impositiva dell’Amministrazione fosse in ipotesi eccessiva sarebbe costituito da un documento, proveniente dall’Ufficio, ” inserito nelle carte processuali”, ma non “oggetto d’impugnazione”, ovvero diverso dagli accertamenti controversi.

Infatti, una volta affermata l’appartenenza del mezzo istruttorio in questione al processo e quindi la sua utilizzabilità formale, il giudice di merito non ne può a priori prescindere, ma ne deve apprezzare liberamente il contenuto e la rilevanza, ove i fatti che il documento rappresenti non esorbitino dal petitum e dalla causa petendi determinati dalle domande delle parti e non determinino quindi un ampliamento del thema decidendum, non rilevato nel caso di specie dal giudice a quo.

3. Con il terzo motivo l’Ufficio ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per l’ultrapetizione consistita nell’avere il giudice a quo ritenuto che la contribuente appellante avesse censurato la correttezza del calcolo delle rimanenze finali, e comunque dell’inventario fisico del magazzino, anche al fine della quantificazione dei ricavi; laddove la parte privata avrebbe contestato il relativo calcolo solo per negare l’esistenza dei presupposti dell’accertamento induttivo.

Il motivo, come eccepito dalla controricorrente ed assunto dal Procuratore generale, è inammissibile, in quanto ” In tema di ricorso per cassazione, l’erronea interpretazione della domande e delle eccezioni non è censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), perchè non pone in discussione il significato della norma ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato è ancora consentito dal vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)” (Cass. 03/12/2019, n. 31546).

E’ noto, peraltro, a questo Collegio che, secondo altra pronuncia di questa Corte, “Il principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile nell’ambito dell'”error in procedendo”; in tale ipotesi, ove si assuma che l’interpretazione degli atti processuali di secondo grado abbia determinato l’omessa pronuncia su una domanda che si sostiene regolarmente proposta e non venuta meno in forza del successivo atto di costituzione avverso l’appello della controparte, la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame e all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e delle deduzioni delle parti.” (Cass. 25/10/2017, n. 25259).

Tuttavia, nel caso qui sub iudice, la ricorrente non contesta che la censura relativa al calcolo delle rimanenze e dell’inventario fisico sia stata proposta dalla contribuente già nei giudizi di merito, ma ne interpreta la rilevanza nel complesso delle difese della parte privata e nella stessa economia della fattispecie sostanziale (“…stante l’assoluta irrilevanza del suddetto calcolo delle rimanenze, rispetto alla metodologia di ricostruzione induttiva dei ricavi…”: pag. 33 del ricorso) e della motivazione della sentenza, così palesando inequivocabilmente che, sotto la veste del vizio in procedendo, sta in realtà attingendo il merito della decisione, anche oltre i limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5,.

4. Con il quarto motivo del ricorso l’Ufficio ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1 e art. 276 c.p.c., perchè il Collegio che ha deciso l’appello all’udienza del 25 maggio 2012, nella quale avvenne la discussione, sarebbe stato composto diversamente (quanto al solo Presidente) rispetto a quello delle due precedenti udienze di trattazione con rinvio della lite.

Il motivo è infondato, atteso che, come del resto ribadito anche nel precedente di legittimità (Cass. 07/05/2012, n. 6857) invocato dalla ricorrente, ” Il principio di immutabilità del giudice di cui all’art. 276 c.p.c., secondo il quale alla decisione della causa possono partecipare solo i giudici che hanno assistito alla discussione, non si estende alle udienze svolte in precedenza, di mero rinvio o, nel giudizio di appello, di decisione sull’istanza di sospensione della provvisoria esecutorietà della sentenza impugnata.” (Cass.18/06/2010,n. 14781).

5. Per effetto dell’accoglimento del secondo motivo del ricorso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sardegna n. 03/04/2013, depositata il 25 marzo 2013, va quindi cassata, con rinvio al giudice a quo per i necessari accertamenti in fatto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il primo ed il terzo motivo, rigetta il quarto ed accoglie il secondo cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sardegna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2021

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