Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22438 del 06/08/2021

Cassazione civile sez. lav., 06/08/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 06/08/2021), n.22438

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23103-2018 proposto da:

D.R.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ROSARIO D’ORAZIO;

– ricorrente –

contro

LAZIOMAR S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CALABRIA 56, presso lo studio

degli avvocati GIOVANNI D’AMATO, e SALVATORE RAVENNA, CARLO GRISPO,

che lo rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3768/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 31/05/2018 R.G.N. 550/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/01/2021 dal Consigliere Dott. VALERIA PICCONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ROSARIO D’ORAZIO.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 31 maggio 2018, la Corte d’appello di Napoli ha respinto il reclamo avverso la decisione del locale Tribunale che, confermando l’ordinanza emessa nella fase sommaria, aveva rigettato il ricorso in opposizione D.L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 51 mediante il quale D.R.A. aveva impugnato il licenziamento intimatogli dalla Laziomar S.p.A. in data 15 ottobre 2015.

1.1. Il giudice di secondo grado ha reputato, in particolare, come già ritenuto dai primo giudice, che il comportamento tenuto dalla società, che era stato inteso dal lavoratore quale comportamento concludente diretto all’interruzione del rapporto di lavoro, dimostrasse, invece, in senso contrario, che in alcun modo la Laziomar S.p.A. avesse voluto interrompere il rapporto: invero, sbarcato il dipendente per malattia in data (OMISSIS), lo stesso aveva ripreso regolarmente a lavorare non appena data comunicazione della propria guarigione.

2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso, assistito da memoria D.R.A., affidandolo a sei motivi.

2.1. Resiste, con controricorso, la Laziomar S.p.A..

3. Il P.G. ha concluso per il rigetto.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la omissione della motivazione su un fatto decisivo ai fini del giudizio e, segnatamente, circa la dedotta illegittimità dell’art. 18 del nuovo CCNL per il personale navigante, disposizione utilizzata dalla società per porre fine al rapporto di lavoro.

1.1. Con il secondo motivo si allega la omissione della motivazione sull’implicito rigetto della subordinata richiesta di mutamento del rito per il caso di mancato riscontro del licenziamento considerato.

1.2. Con il terzo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 116 c.p.c., della L. n. 108 del 1990 e L. n. 604 del 1966, art. 5 in ordine all’onere della prova circa la giusta causa o il giustificato motivo di licenziamento.

1.3. Con il quarto motivo si adduce la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, nel testo temporalmente vigente, nonché della L. n. 604 del 1966, art. 1 e ss. art. 1362 c.c. circa l’interpretazione della volontà della Laziomar ritenuta dalla Corte incompatibile con l’intenzione di licenziare il lavoratore.

1.4. Con il quinto motivo si deduce la violazione della già richiamata normativa in tema di recesso datoriale nonché di criteri ermeneutici, ancora con riguardo alla ritenuta sussistenza di una volontà della società, incompatibile con l’intenzione di procedere al licenziamento del D.R..

1.5. Con il sesto motivo di ricorso si allega la violazione dei D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 22 (NASPI) nonché la violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c., in ordine al mancato rilievo attribuito alla circostanza che il ricorrente avesse percepito la NASPI.

2. I sei motivi, da esaminarsi congiuntamente per ragioni di ordine logico – sistematico, sono inammissibili.

2.1. Giova premettere, al riguardo, che, come hanno precisato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 34469 del 2019), non solo sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure afferenti a domande di cui non vi sia compiuta riproduzione nel ricorso, ma anche quelle fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso, ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento dei processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne a collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità.

D’altra parte, è consolidato il principio secondo cui i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato; producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso (ex plurimis, Cass. n. 29093 del 2018).

Va poi rilevato che, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea vaiutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. n. 27000 del 2016; Cass. n. 13960 del 2014).

Relativamente, inoltre, alla denunziata violazione dell’art. 2697 c.c., va rilevato che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, (ex plurimis, Sez. III, n. 15107 del 2013) la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma e che tale ipotesi non ricorre nei caso di specie, perdurando, infatti, in capo all’attore che deduca l’illegittimità dei licenziamento l’allegazione dei fatti posti a fondamento della stessa illegittimità.

2.2. Come poi più volte affermato in sede di legittimità (cfr., ex plurmis, fra le più recenti, Cass. n. 15517 del 2020) la proposizione, mediante ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso, risolvendosi in un ‘non motivo”.

L’esercizio del diritto di impugnazione, infatti, può considerarsi avvenuto in modo idoneo solo qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica alla decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, da considerarsi in concreto e dalle quali non possano prescindere, dovendosi pertanto considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che difetti di tali requisiti.

Con particolare riguardo alla addotta illegittimità dell’art. 18 del CCNL va rilevato che tale disposizione stabilisce che il contratto di arruolamento a tempo indeterminato è il contratto di lavoro mediante il quale il marittimo è imbarcato o si pone a disposizione dell’armatore, per lavorare alle sue dipendenze solo quando da esso imbarcato. Per espressa previsione contrattuale esso si estingue al momento dello sbarco non sussistendo alcun rapporto di lavoro fra un contratto di arruolamento e l’altro.

Orbene, con riguardo a tale censura, deve ritenersi la Corte abbia implicitamente motivato, reputandola irrilevante nel proprio iter argomentativo proprio in quanto ha ricostruito, come si vedrà, lo svolgimento dell’accordo negoziale nel senso dell’irrilevanza della relativa questione.

A conclusioni non dissimili deve giungersi, d’altro canto, con riguardo all’altro rilievo omissivo, essendo del tutto irrilevante, ai fini della decisione, ove ritenuta insussistente una fattispecie di licenziamento, l’eventuale mutamento del rito.

2.3. Nel caso che qui ne occupa, va, poi, evidenziata la genericità

doglianze relative alla violazione delle regole di ermeneutica contenute nei motivi quarto e quinto del ricorso, con cui si censura la pronunzia di secondo grado senza che sia consentito comprenderne estensione e contenuto effettivo.

Proprio con riferimento alle censure concernenti la violazione dell’art. 1362 c.c., va rilevato che l’interpretazione del regolamento contrattuale è attività riservata ai giudice di merito, pertanto sottratta al sindacato di legittimità, salvo che per il caso della violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale, tuttavia, non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni dei testo negoziale, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (sul punto, ex plurimis, Cass. n. 11254 dei 2018), come senz’altro avvenuto nel caso di specie.

2.4. Deve, infine, evidenziarsi che costituisce consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità quello secondo cui va reputato inammissibile per difetto d’interesse, il motivo di impugnazione con cui si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, priva di qualsivoglia influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, essendo diretto in definitiva all’emanazione di una pronuncia senza alcun rilievo pratico (cfr., in questi termini, Cass. n. 12678 del 2020; Cass. n. 20689 del 2016).

Nel caso di specie, pur potendo immaginarsi, in via ipotetica, una lesione della posizione giuridica soggettiva del ricorrente, connessa alle diverse violazioni di legge allegate, non solo va evidenziato come le stesse mirino ad una rivisitazione fattuale della vicenda, inammissibile in sede di legittimità, ma, inoltre, non se ne comprende, in difetto di opportuna allegazione, l’attualità ed effettività in termini di negativa ripercussione nella sfera giuridica soggettiva del ricorrente, nonché la stessa concretezza.

La Corte territoriale, infatti, nel ricostruire il quadro probatorio a propria disposizione, ha evidenziato come nessuna comunicazione di licenziamento fosse intervenuta da parte della Laziomar, né sussistesse qualsivoglia elemento da cui desumere una volontà di recesso espressa per facta concludentia, rinvenendosi esclusivamente una sanzione conservativa come il rimprovero scritto per la mancata presentazione del ricorrente all’imbarco, seguita da nuove convocazioni, disattese con l’allegazione di uno stato di malattia e, successivamente, del temporaneo spossessamento del libretto di navigazione in quanto trattenuto dalla Capitaneria di porto.

Tali fasi erano poi state seguite dalla definitiva sottoscrizione, da parte del D.R., della convenzione di arruolamento a tempo indeterminato risultando il ricorrente, sin da quel momento, imbarcato senza soluzione di continuità sulle navi della medesima Compagnia Laziomar.

Le circostanze in oggetto, secondo la Corte d’appello, oltre che documentalmente provate, non sono mai state smentite dalla difesa ricorrente.

Tale ricostruzione fattuale, quindi, non solo non è stata in alcun modo contestata da parte ricorrente, che si è limitata a criticarne apoditticamente lo svolgimento senza contrapporre elementi di segno contrario, ma nulla la stessa ha addotto circa gli esiti pregiudizievoli del comportamento datoriale, né, quindi, può comprendersi in che modo lo snodarsi della vicenda negoziale abbia procurato danno allo stesso ed in cosa tale danno si concretizzi, in assenza, si ripete, di qualsivoglia elemento addotto al riguardo.

4. Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile.

5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte deì ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, che liquida in complessivi Euro 4.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del, ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2021

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