Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22435 del 04/11/2016


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Cassazione civile sez. trib., 04/11/2016, (ud. 10/10/2016, dep. 04/11/2016), n.22435

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 27454 del ruolo generale dell’anno

2008, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– ricorrente –

contro

s.r.l. Bettinelli, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al

controricorso, dall’avv. Claudio d’Alessandro, presso lo studio del

quale in Torino, alla via Cibrario, n. 12, elettivamente si

domicilia;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Piemonte, sezione 38, depositata in data 7 novembre

2007, n. 40/38/07;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

10 ottobre 2016 dal consigliere Angelina-Maria Perrino;

udito per la contribuente l’avv. Claudio D’Alessandro;

udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore

generale DEL CORE Sergio, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso e, in subordine, per quanto di ragione.

Fatto

Con atto di contestazione relativo all’anno 1999, l’Agenzia delle entrate irrogò la sanzione indicata in atti, in quanto la società, consorziata al consorzio Manital, al cospetto della mancata fatturazione dei costi sostenuti dal consorzio e da quest’ultimo ribaltati pro quota sulla consorziata senza emettere fattura, non aveva proceduto alla regolarizzazione mediante emissione di autofattura, come prescritto dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8.

L’Agenzia, in particolare, rilevò che il consorzio, il quale per previsione statutaria agiva per uno scopo mutualistico, assumeva il ruolo di mandatario senza rappresentanza dei consorziati, i quali svolgevano l’attività oggetto delle commesse, emettendo fatture al consorzio, il quale corrispondeva somme per l’attività svolta e a propria volta emetteva fatture ai committenti per le opere eseguite. Come si legge in sentenza, tuttavia, il consorzio “contabilmente fattura le operazioni ai committenti e riceve fatture dai commissionari per un importo inferiore”, la dove “la differenza viene utilizzata dal Consorzio per la copertura dei costi di gestione…”.

Secondo l’ufficio, in particolare, il consorzio aveva operato un’indebita compensazione tra i ricavi che avrebbe dovuto trasferire alla consorziata ed il contributo che quest’ultima doveva al consorzio per il suo funzionamento. Il consorzio avrebbe dovuto, invece, fatturare i propri costi e, in mancanza, avrebbe dovuto provvedervi pro quota ciascuna consorziata mediante autofatturazione.

La società impugnò l’atto di contestazione, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale.

Quella regionale ha respinto l’appello dell’ufficio, ritenendo che l’addebito dei costi alle consorziate sia dovuto soltanto per l’importo eccedente la parte non coperta dalle differenze generate dalle fatture, che il mancato addebito non generi “documenti, ma neutralità fiscale” e che non sia configurabile alcun obbligo di autofattura, in quanto l’attività è svolta anche in favore di committenti non consorziati.

Avverso questa sentenza propone ricorso l’Agenzia delle entrate per ottenerne la cassazione, che affida a quattro motivi, cui la società replica con controricorso.

La trattazione del giudizio è stata rinviata in attesa della decisione delle sezioni unite di questa Corte sulla questione di diritto coinvolta. Intervenute la sentenza n. 12190 – 12191 – 12192 – 12193 – 12194/16, è stata nuovamente fissata la pubblica udienza.

Diritto

1.- Col secondo e col quarto motivo, proposti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, da esaminare congiuntamente perchè connessi nonchè preliminarmente, perchè di rilevanza prodromica rispetto ai restanti, l’Agenzia lamenta:

– la violazione e falsa applicazione degli art. 1241, 1706, 1709 e 1719 c.c. del D.P.R. n. 63 del 1972, art. 3, comma 3, art. 4, ccomma 3, art. 13, comma 2 e art. 15, nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 1, là dove, al cospetto dell’inquadramento dei rapporti tra consorzio e consorziate nell’ambito del mandato senza rappresentanza, il giudice d’appello ha ritenuto che le somme corrisposte dal consorzio/mandatario alle singole consorziate esauriscano l’intero ricavato spettante alle mandanti, non assumendo rilievo il rimborso delle spese da queste sostenute-secondo motivo;

– la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, commi 1 ed 8 e della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, là dove il giudice d’appello ha ritenuto che l’omessa autofatturazione da parte della consorziata dei costi e degli utili ribaltati dal consorzio al quale partecipi configuri una violazione meramente formale, che non dà luogo a debito d’imposta – quarto motivo.

La complessiva censura è fondata nei limiti di seguito precisati.

Le sezioni unite di questa Corte, con le sentenze indicate in narrativa, hanno chiarito che lo scopo mutualistico ben può coesistere con quello di lucro, anche ai fini fiscali. Ciò posto, la distinta soggettività fiscale e l’autonoma responsabilità delle obbligazioni tributarie connesse alle operazioni poste in essere da ciascuna consorziata, nonchè dalla società consortile, comportano la necessaria distinzione tra le operazioni realizzate dalla società consortile in esecuzione del patto mutualistico, e quelle costituenti esercizio di un’autonoma attività commerciale della società consortile.

1.1.-Le sezioni unite hanno, peraltro, specificato che alla possibile coesistenza della causa mutualistica con lo scopo lucrativo non corrisponde automaticamente il riconoscimento dell’effettiva sussistenza di entrambi, in pari misura, in una società consortile. Oltre all’accertamento volto a verificare se il ricorso all’organizzazione consortile sia finalizzato unicamente a conseguire un indebito risparmio fiscale (v. Cass. 23/12/2008, nn. 30055, 30056, 30057), occorre pur sempre esaminare, in base alle modalità attraverso le quali è svolta l’attività della società consortile ed alla loro correlazione con gli scopi di volta in volta perseguiti, i rapporti intercorsi tra la società consortile e la consorziata nella fase di assegnazione dei lavori o dei servizi ai singoli consorziati.

1.2.- E’ giustappunto l’accertamento in ordine alla natura delle operazioni o servizi rispettivamente espletati dalla società consortile o dalle consorziate, ed al rapporto sottostante all’assegnazione dei servizi alle consorziate la base per verificare se sia necessario, o no, il ribaltamento integrale o parziale di costi e ricavi.

Qualora, difatti, il consorzio acquisisca una commessa e proceda autonomamente ad eseguirla, indipendentemente dalla partecipazione delle consorziate, non si deve procedere ad alcun ribaltamento di costi tra tutti i consorziati.

Il ribaltamento di costi e di ricavi rimane doveroso, peraltro, nel caso in cui il consorzio, pur avvalendosi di proprie strutture, svolga servizi complementari, comunque correlati alla finalità mutualistica di utilizzo del servizio consortile.

2.- Le sezioni unite hanno quindi individuato le seguenti ipotesi che giustifichino differenze tra quanto fatturato dal consorzio al terzo committente e quanto fatturato dal consorziato al consorzio:

a) differenza costituita dal costo delle spese di gestione generali ripartito tra i singoli consorziati e addebitato al consorziato in occasione della commissione dei lavori;

b) differenza costituita dal costo di specifici servizi forniti dal consorzio al consorziato in relazione ai lavori che questo è deputato a svolgere;

c) differenza costituita dalle provvigioni dovute dal consorziato (mandante) al consorzio (mandatario senza rappresentanza), escluse dall’imponibile IVA, in base al D.P.R. 633 del 1972, art. 13;

d) differenza costituita dal costo e dagli utili per ulteriori servizi forniti solo dal consorzio, quale soggetto imprenditoriale, in favore del terzo committente, in relazione ai lavori posti in essere dal consorziato a seguito della commessa in suo favore.

Nelle prime due ipotesi la differenza del quantum fatturato, nel caso di compensazione tra consorziato e società consortile, in assenza di dettaglio di costi e ricavi, si risolve in un occultamento dei ricavi del consorziato. Costituisce onere del consorziato fornire la prova che tale differenza non sia costituita da ricavi, nel rispetto dei principi di certezza, effettività, inerenza e competenza. Egualmente è onere del consorziato, nelle ulteriori ipotesi, provare che la differenza suddetta sia costituita da provvigioni o da servizi resi dal consorzio al terzo.

2.1. – In particolare, con riguardo alle attività svolte dal consorzio, secondo l’accertamento contenuto in sentenza, nella cornice del mandato senza rappresentanza (come si legge a pag. 2, ultimo capoverso della sentenza impugnata), va sottolineato che il mandato senza rappresentanza riceve ai fini iva una particolare disciplina, in virtù della quale i rapporti tra mandatario e mandante perdono la loro neutralità, assurgendo ad autonomi presupposti per l’applicazione del tributo. Lo si evince dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 3, secondo cui le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza sono considerate prestazioni di servizi anche nei rapporti tra il mandante e il mandatario, nonchè dall’art. 13, comma 2, lett. b) medesimo decreto Iva, che fissa la base imponibile per le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza ragguagliandola al prezzo di fornitura del servizio pattuito dal mandatario, diminuito della provvigione, e al prezzo di acquisto del servizio ricevuto dal mandatario, aumentato della provvigione.

La ricostruzione è conforme all’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia, secondo cui, nel rapporto di mandato senza rappresentanza, ai fini Iva il mandatario – che agisce in nome proprio. ma per conto del mandante – è come se ricevesse o fornisse i servizi in nome proprio; di conseguenza, nel mandato alla vendita si trasferisce un servizio avente identica natura di quello che, per finzione giuridica, è stato acquisito dal mandatario (Corte giust. 14 luglio 2011, causa C464/10; ne fa specifica applicazione, in particolare, Cass. 25285/13).

3.- Ne discende, come statuito dalle stesse sezioni unite, che non è legittima alcuna differenza tra importo fatturato dal mandatario al terzo e dal mandante al mandatario, e quindi, nella specie, dalla singola impresa al consorzio e quello fatturato dal consorzio al terzo, salva la rilevanza fiscale della provvigione, se pattuita e formalizzata. Lo scolorare della causa mutualistica, difatti, non rende incompatibile con lo svolgimento dell’attività consortile la pattuizione di una provvigione, la sussistenza e l’entità della quale vanno provate dalla consorziata.

Erronee dunque sono le statuizioni contenute in sentenza che escludono l’addebito ai soci dei costi, nonchè l’autofattura delle consorziate “…essendo sconosciuto quanto attribuibile ad esse, in quanto violano i principi dinanzi richiamati in tema di onere della prova e di prova.

4.- Manifestamente errata altresì quindi la statuizione contenuta in sentenza, secondo cui il mancato addebito…genera documenti ma neutralità fiscale”.

Basti considerare che, da ultimo, la Corte di giustizia (Corte giust. 28 luglio 2016, causa C-332/15, Astone) ha stabilito che la violazione della “maggior parte” degli obblighi formali di dichiarazione e di registrazione delle fatture comunque è idonea a dimostrare l’esistenza del caso più semplice di evasione fiscale, nel quale il soggetto passivo omette deliberatamente di rispettare gli obblighi formali che gli incombono allo scopo di sottrarsi al pagamento dell’imposta (punto 55).

4.1.- In tal caso, allora, non si prospetta violazione meramente formale, la quale deve rispondere a due concorrenti requisiti: non deve arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, non deve incidere sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo (Cass. 5897/13; 14402/14; 27211/14, 14767/15).

5.- L’accoglimento di tali motivi determina l’assorbimento dei restanti, costruiti su vizi della motivazione, riguardanti l’inadeguatezza del mezzo della compensazione e l’affermazione della facoltatività del ribaltamento dei costi (primo motivo), nonchè l’inadeguatezza dello strumento della compensazione sotto altro profilo, in quanto le consorziate non erano in grado di conoscere l’esatta entità della loro partecipazione ai costi dei consorzi (terzo).

6.- Ne conseguono l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Piemonte in diversa composizione, affinchè riesamini la fattispecie alla luce dei principi esposti e regoli le spese.

PQM

La Corte:

accoglie il secondo ed il quarto motivo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata nei sensi di cui in motivazione e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Piemonte in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2016

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