Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22430 del 21/09/2018

Cassazione civile sez. un., 21/09/2018, (ud. 03/07/2018, dep. 21/09/2018), n.22430

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Primo Presidente f.f. –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorso 28095-2016 proposto da:

CONSORZIO DI ROGGIA VETTABBIA, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 48, presso lo

studio dell’avvocato FRANCESCO CORVASCE, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FRANCESCO MANTOVANI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MILANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MARZIO 3, presso lo studio

dell’avvocato RAFFAELE IZZO, che lo rappresenta e difende unitamente

agli avvocati ANTONELLO MANDARANO, ANGELA BARTOLOMEO ed ELISABETTA

D’AURIA;

– controricorrente –

e contro

UNIPOL SAI ASSICURAZIONI S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 239/2016 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 30/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/07/2018 dal Consigliere ANTONELLO COSENTINO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale

MARCELLO MATERA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli avvocati Francesco Mantovani ed Angela Bartolomeo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Consorzio di Roggia Vettabbia ha proposto ricorso, sulla scorta di due motivi, contro il Comune di Milano e nei confronti del terzo chiamato in causa Milano Assicurazioni s.p.a. (ora Unipolsai s.p.a.), per la cassazione della sentenza del 30.6.16 con cui il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, confermando la sentenza dei Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Milano del 20.2.14, ha rigettato la sua domanda di risarcimento dei danni cagionati al manufatto di sua proprietà denominato (OMISSIS) (edificio di derivazione di acque irrigue della (OMISSIS)) dall’eccessiva quantità di acqua immessa in (OMISSIS) dal collettore degli scarichi di piena della città di Milano, con pesante sollecitazione dei carichi sulle paratoie del (OMISSIS) e conseguenti fessurazioni e deterioramento del medesimo. In particolare, secondo quanto riportato nella sentenza gravata, l’attore sosteneva che a seguito della costruzione del depuratore in località Nosedo, la (OMISSIS) riceveva un carico di acqua eccessivo, giacchè essa costituiva, insieme con il canale (OMISSIS), lo scaricatore di piena della città di Milano.

Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha fondato la propria decisione sul rilievo che dalle risultanze peritali emergeva che l’entrata in funzione del depuratore in località Nosedo, lungi dall’incrementare le portate massime immesse in (OMISSIS), aveva anzi contribuito ad alleggerire i carichi idraulici verso la (OMISSIS) e che i danni all’edificio del Consorzio erano da attribuirsi, per un verso, alla vetustà della struttura e, per altro verso, alla carente manutenzione della stessa, risultando tale manutenzione “limitata alla funzionalità essenziale”. Secondo il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, quindi, doveva condividersi la valutazione del primo giudice secondo cui il Comune di Milano non doveva rispondere in alcun modo del danneggiamento del (OMISSIS); danneggiamento che doveva ritenersi cagionato esclusivamente dal progressivo deterioramento e dalla carente manutenzione del fabbricato.

Il Comune di Milano ha depositato controricorso. Unipolsai spa non ha spiegato difese in questa sede.

La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 3.7.18, per la quale il Comune di Milano ha depositato una memoria illustrativa e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo (riferito al vizio di omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, n. 5, erroneamente rubricato come n. 4 codice di rito e violazione degli artt. 2043,1223 e 2697 c.c.) il Consorzio ricorrente assume che il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche avrebbe travisato le risultanze peritali, trascurando di esaminare il fatto decisivo costituito dalla rilevante spinta delle acque da monte subita dal (OMISSIS) in occasione delle piogge alluvionali del 7 luglio 2009. La censura non può trovare accoglimento.

Quanto al denunciato vizio di omesso esame di un fatto decisivo, va preliminarmente rilevata la relativa inammissibilità, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5 introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012, ed applicabile ratione temporis nel presente giudizio (l’appello avverso la sentenza di primo grado è stato proposto dopo settembre 2012, data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 83 del 2012). La sentenza di appello si fonda, infatti, sulle stesse ragioni poste a base della sentenza di primo grado in ordine alle questioni di fatto relative alle cause del danneggiamento del (OMISSIS); entrambe le sentenza di merito hanno infatti ritenuto, sulla scorta delle risultanze della consulenza tecnica di ufficio, che tale danneggiamento fosse da ascrivere esclusivamente alla vetustà e carente manutenzione del medesimo Mulino, escludendo qualunque apporto causale riferibile alla quantità di acqua immessa in (OMISSIS).

In proposito il Collegio giudica opportuno sottolineare come nessun dubbio possa sussistere, riguardo al ricorso per cassazione avverso le sentenze emesse in grado di appello dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, in ordine all’applicabilità della regola, emergente dal combinato disposto dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5 secondo la quale la sentenza di appello che risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (c.d.: “doppia conforme”) non è censurabile con il mezzo di cui all’articolo 360, primo comma, n. 5, c.p.c..

Va, al riguardo, premesso che esula dal tema del presente giudizio la questione se nel procedimento di appello davanti ai Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche operi la disciplina della inammissibilità dell’appello per difetto di “ragionevole probabilità di essere accolto” fissata dall’art. 348 bis c.p.c. (questione sulla quale, peraltro, utili indicazioni emergono dalla sentenza di questa Sezioni Unite n. 31113/17, là dove, in tema di forma dell’appello ex art. 342 c.p.c., si chiarisce che il rinvio alle regole del codice di procedura civile contenuto nel R.D. n. 1775 del 1933, art. 208 deve essere inteso di natura non già recettizia, bensì formale, e, quindi, dinamicamente riferito alle corrispondenti norme del codice vigente che regolano il giudizio di gravame, comprese le modifiche alle stesse apportate dal decreto legge n. 83 del 2012). In questa sede è infatti necessario esaminare solo la questione se anche nei ricorsi per cassazione avverso le sentenze pronunciate in grado di appello dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche trovi applicazione la regola secondo la quale la sentenza di appello fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (c.d.: “doppia conforme”) non è censurabile in cassazione con il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

L’indicata questione va risolta in senso affermativo.

La regola della non censurabilità della “doppia conforme” con il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, discende dal combinato disposto dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5. Il comma 5, infatti, estende (fuori dei casi di cui all’art. 348 bis, comma 2, lettera “a”) anche alle sentenze d’appello che abbiano confermato la decisione di primo grado la regola dell’esclusione della ricorribilità per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 dettata da comma 4 per le ordinanze di inammissibilità dell’appello ex art. 348 ter c.p.c., comma 1, fondate “sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata”; tale regola ancorchè emergente da disposizioni contenute in un articolo rubricato.”Pronuncia sull’inammissibilità dell’appello”,.inserito in un capo dedicato alla disciplina dell’appello (capo 2 del titolo 3 del secondo libro del codice di rito).- concerne non il giudizio di appello ma giudizio di cassazione. Questa. Sezioni Unite, nella sentenza n. 8053/14, hanno infatti già avuto modo di rilevare, non senza sottolinearne la “non felice collocazione “topografica.””, che l’art. 348 ter c.p.c., comma 5 “attiene non all’appello, ma alle condizioni (e ai limiti). di ricorribilità per cassazione avverso una sentenza d’appello, che avrebbe avuto forse maggior senso prevedere come comma aggiuntivo all’art. 360 c.p.c.” (p. 11, pag. 12).

E’ dunque agevole concludere che detta regola opera nei giudizio di cassazione pur quando la sentenza gravata sia stata emessa in grado appello dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, alla stregua del consolidato insegnamento di queste Sezioni Unite che ricorso alle medesime proposto avverso le sentenze del Tribunale Superiore delle Acque pubbliche è disciplinato dalle norme del vigente codice di procedura civile che regolamentano l’ordinario ricorso per cassazione, atteso che il rinvio operato dal R.D. n. 1775 del 1933, art. 202 alla disciplina del codice processuale dei 1865 non deve intendersi come recettizio; ma come rinvio formale, ossia non alle specifiche norme richiamate, bensì al contenuto di esse come mutato nel tempo (SSUU 34/01, SSUU 26127/16).

Quanto alla denuncia di violazione di legge, pure menzionata nella rubrica del primo motivo, il Collegio rileva che la stessa non risulta supportata da alcuna specifica argomentazione in diritto. Il primo motivo di ricorso si risolve, in sostanza, in una mera critica dell’apprezzamento delle risultanze processuali (ed in particolare della relazione di consulenza tecnica di ufficio) operato nella sentenza gravata; critica che attinge il giudizio di fatto compiuto dal Tribunale Superiore delle Acque pubbliche e non l’applicazione che, sulla base di tale giudizio di fatto, detto Tribunale abbia dato del disposto degli artt. 2043,1223 e 2697 c.c..

Col secondo motivo di ricorso (riferito al vizio di violazione di legge, con riferimento agli artt. 2043 e 1223 c.c., artt. 40 e 41 c.p. e art. 2697 c.c.) si introducono diverse di questioni di fatto – con la trascrizione di ampi stralci dell’atto di appello dell’odierna ricorrente e della relazione del suo tecnico di parte, ing. Moretti – che nuovamente attingono l’apprezzamento operato dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche in ordine alle risultanze istruttorie e, specialmente, alla relazione del consulente tecnico di ufficio. Tali questioni sono inidonee a supportare una denuncia di violazione di legge che avrebbe dovuto essere svolta specificando quale regola di diritto esplicitamente enunciata o anche soltanto implicitamente applicata nella sentenza impugnata si porrebbe in contrasto con le disposizioni delle quali si denuncia la violazione e in cosa detto contrasto si sostanzierebbe (cfr. Cass. 24298/16, Cass. 5353/07).

In definitiva il ricorso va rigettato in relazione ad entrambi i motivi in cui esso si articola.

Le spese seguono la soccombenza.

Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere al contro ricorrente Comune di Milano le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000, oltre Euro 200 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2018

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