Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22429 del 27/10/2011

Cassazione civile sez. II, 27/10/2011, (ud. 07/10/2011, dep. 27/10/2011), n.22429

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4524-2006 proposto da:

B.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DI PIETRALATA 320 – D, presso lo studio dell’avvocato MAZZA RICCI

GIGLIOLA, rappresentato e difeso dall’avvocato DE ANGELIS RAFFAELE;

– ricorrente –

e contro

G.C., R.E.;

– intimati –

sul ricorso 8798 – 2006 proposto da:

R.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA VALPADANA 133, presso lo studio dell’avvocato DE SIMONE

ROBERTO, rappresentata e difesa dall’avvocato MASTRANGELO GIUSEPPE;

– controricorrente ricorrente Incidentale –

contro

B.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DI PIETRALATA 320 – D, presso lo studio dell’avvocato MAZZA RICCI

GIGLIOLA, rappresentato e difeso dall’avvocato DE ANGELIS RAFFAELE;

– controricorrene al ricorso incidentale –

e contro

G.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 64/2005 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 09/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/10/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI PICCIALL1;

udito l’Avvocato MASTRANGELO Giuseppe, difensore del resistente che

ha chiesto di riportarsi al controricorso incidentale ed alla

memoria, deposita nota spese;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

R.E., proprietaria in (OMISSIS) di un immobile confinante con il fondo di B.A., sul quale erano in corso lavori costruzione di un fabbricato eseguiti dall’appaltatrice B.T.M. s.r.l., facendo seguito ad un ricorso ex art. 700 c.p.c., proposto al locale pretore, con citazioni del 18.12.91 e del 12.7.93 (riassuntiva del procedimento d’urgenza), convenne i suddetti, l’ing. G. C., direttore dei lavorala curatela del fallimento della s.d.f.

T.M. e C.C., nonchè i soci della stessa, danti causa del B., al giudizio del Tribunale di Foggia, lamentando che la nuova costruzione fosse realizzata a distanza inferiore a quella di m. 10, dalla propria parete finestrata, prescritta dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, nonchè l’avvenuta demolizione di un muro di sua proprietà delimitante il confine tra i fondi; conseguentemente l’attrice chiese la condanna delle controparti all’arretramento della nuova fabbricati la ricostruzione del muro ed al risarcimento dei danni.

All’esito dei conseguenti giudizi,riuniti per connessione,nei quali si erano costituiti il B., la società B.T.M, ed il G., re si stendo per quanto di rispettivo interesse alle domande, con sentenza 22/1-1.6.00 il G.O.A della “sezione stralcio” dell’adito tribunale,sulla scorta delle consulenze tecniche espletate in sede sommaria e di merito, disattese le domande attrici nei confronti di tutti gli altri convenutile accolse, ad eccezione di quella risarcitoria, nei confronti del B., condannando lo alla ricostruzione del muro di confine e ad arretrare la nuova fabbrica al limite di m. 8,90 rispetto a quella dell’attrice, oltre al rimborso delle spese di lite. Proposto dal B. appello, resistito dalla R., proponente gravame incidentale, contumace l’altro appellato, G., la Corte di Bari, dopo aver disposto ed acquisito una relazione a chiarimenti del c.t.u., con sentenza del 19.1.95,accogliendo per quanto di rispettiva ragione le reciproche impugnazioni,in riforma della decisione impugnata,dichiarava cessata la materia del contendere quanto alla domanda di ricostruzione del muro,limitava la condanna all’arretramento della nuova costruzione a partire dall’altezza di m. 7,23 dal suolo ed alla distanza di m. 4,69 dal confine, condannava il B. al risarcimento dei danni in misura di Euro 5.000,00,oltre ai successivi interessi legali,nonchè al rimborso alla controparte dei 3/4 delle spese del doppio grado di giudizio,che per il resto compensava.

Tali, in sintesi e per quanto ancora rileva, le ragioni della suddetta decisione:

a) la domanda proposta dalla R., contrariamente a quanto sostenuto dal B., peraltro con tardive deduzioni esposte soltanto nella seconda comparsa conclusionale, era da qualificarsi,come correttamente ritenuto dal primo giudice, azione a tutela della distanza tra fabbricati, ex art. 873 c.c., e non della servitù di veduta, ex art. 907 c.c., essendo stata la presenza delle finestre dedotta non in funzione della lesione delle facoltà di inspicere et prospicer e, bensì quale presupposto di fatto per l’osservanza della normativa di cui al D.M. n. 1444 del 1968, integrativa di quella civilistica;

b) peraltro ogni questione sulla “corrispondenza o meno a vedute delle aperture suddette” risultava superata, poi che il giudice di primo grado,con statuizione non impugnata incidentalmente dall’attrice,aveva ritenuto di dover applicare non la distanza di m.

10 di cui al suddetto decreto ministeriale,bensì quella prescritta dall’art. 23 bis, del regolamento edilizio comunale,prevedente che le nuove costruzioni si distacchino dai confini mantenendo una distanza non inferiore alla metà della loro altezza;

c) tale statuizione andava tuttavia corretta,non avendo il primo giudice tenuto conto che la fabbrica del B., fino all’altezza di m. 7,23 costituiva una ricostruzione di un precedente edificio, sicchè il prescritto distacco andava limitato alla parte superiore;

d) quanto al muro sul confine, che per l’accertata posizione, insistente sull’uno e sull’altro fondo,era da ritenersi comune alle parti, la relativa riedificazione in corso di giudizio da parte del B. aveva determinato la cessazione della materia del contendere sul punto;

e) il danno,derivante dalla lesione del diritto dominicale dell’attrice per effetto della violazione delle distanze, perdurante fino alla riduzione in pristino,era in re ipsa e poteva come sopra liquidarsi in via equitativa.

Avverso la suddetta sentenza B.M. ha proposto ricorso cassazione affidato a quattro motivi.

Ha resistito R.E. con controricorso,contenente ricorso incidentale con tre motivi. Ha replicato il B. con controricorso ex art. 371 c.p.c.. Il G. neppure in questa sede ha svolto attività difensiva . E’ stata infine depositata una memoria illustrativa per la R..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi ex art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè difetto ed insufficienza di motivazione nella interpretazione della domanda proposta con l’appello,in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5;conseguente nullità della sentenza per vizio di omessa pronuncia sulla censura di extra ed ultra petizione per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Con le diffuse, quanto inutili, censure si lamenta essenzialmente che i giudici di secondo grado, per effetto di fraintendimento dell’effettivo contenuto dell’atto di appello avrebbero erroneamente ritenuto tardiva e preclusa, così non esaminandola, la richiesta con la quale era stato dedotto il vizio di ultra o extra petizione in cui sarebbe incorso il primo giudice, nel disporre l’arretramento del fabbricato in virtù di un fatto costitutivo,la ravvisata violazione della distanza tra i fabbricati prescritta dall’art. 23 del regolamento edilizio comunale, diverso da quello dedotto dalla parte attrice, che avrebbe invece invocato la diversa norma di cui al D.M. n. 1444 del 1968, sul presupposto di inesistente “parete finestrata”, in assenza di diritti di veduta. Il motivo è inammissibile, per difetto di rilevanza, poichè la corte territoriale, pur avendo osservato che con tale doglianza,esposta soltanto “con la seconda comparsa conclusionale”, era stata introdotta “una questione non trattata nell’impugnazione”, ha tuttavia esaminato la stessa,ritenendola non fondata, per le ragioni in narrativa riportate sub a); non vi è stata pertanto alcuna omissione di pronunziane di motivazione,su questione rilevabile di ufficio, atteso che il censurato rilievo di tardività, non avendo impedito il riesame della questione (risolta nei termini poi censurati con il successivo motivo di ricorso), è risultato non essenziale ai fini della decisione di secondo grado.

Con il secondo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9, del R.E. del Comune di San Severo art. 23, e dell’art. 873 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè difetto per insufficienza di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, conseguente nullità della sentenza per vizio di extra ed ultra petizione,violazione dell’art. 112, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Si lamenta che la domanda della controparte,che aveva chiesto l’arretramento del nuovo fabbricato per violazione della citata disposizione del decreto ministeriale, imponente la distanza di m. 10 da pareti finestrate,sarebbe stata accolta sulla base di una diversa disposizione,contenuta nel regolamento edilizio comunale,basata su diversi criteri ed improntata a diversa ratio,così introducendo non solo una causa petendi,ma anche un petitum, diversi da quelli connotanti la proposta azione.

Le censure sono prive di fondamento,alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte,secondo cui in base al principio iura novil curia spetta al giudice,che sia stato investito da una domanda restitutoria ex art. 872 c.c., comma 2, per violazione delle distanze nelle costruzioni, il compito di individuare ed applicare, indipendentemente dalle indicazioni e dalle attività probatorie delle parti, le disposizioni eventualmente integrative di quella civilistica, di cui al successivo art. 873, confacenti al caso (tra le altre, v. Cass. nn. 14446/10,17692/09,2563/09,12561/02). Nella specie l’avvenuta applicazione della norma regolamentare locale, anzichè di quella ministeriale invocata dalla parte attrice, non ha dato luogo ad alcun mutamento della causa petendi, che è rimasta quella della dedotta violazione della distanza da osservare nelle costruzioni, nè del petitum, costituito dalla richiesta di parziale demolizione in arretramento,che peraltro ed in concreto è stato disposto in misura più contenuta rispetto a quanto richiesto (mt.

4,69 dal confine, anziche mt. 10 dalla parete frontistante) e, dunque, senza eccedenza dalla domanda.

Con il terzo motivo si censura, per violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c., e della citata norma regolamentare comunale,la subita condanna all’arretramento della parte superiore del fabbricato,sostenendosi che l’assentita ricostruzione sul confine, senza alcuna variazione della superficie occupata dall’originaria costruzione che sullo stesso sorgeva,avrebbe implicato la possibilità di eseguire,oltre alla parte riedificata, anche la sopraelevazione sullo stesso limite. Al riguardo si sostiene che l’art. 23, comma 6, del citato regolamento, nell’imporre un distacco pari alla metà dell’altezza del nuovo fabbricato, farebbe espressamente salvo il caso in cui quest’ultimo venga ubicato sul confine; il che sarebbe avvenuto nella specie,avendo la stessa corte confermato la comunione, già accertata dal primo giudice, con statuizione peraltro non impugnata, del muro di fabbrica posto sul confine.

Anche tale motivo è privo di fondamento,ponendosi in contrasto con il principio costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, cui quella di merito si è correttamente con formata, secondo il quale nei casi di riedificazione e sopraelevazione di costruzioni preesistenti sulla linea di confine, il diritto al mantenimento del fabbricato su quest’ultima opera soltanto con riferimento alla parte sottostante ricostruita, nel rispetto delle precedenti dimensioni,e non anche per la sopraelevazione, che, nell’ipotesi come nella specie – di sopravvenienza di nuove norme, integrative di quella civilistica, imponenti una determinata distanza dal confine è soggetta alla relativa osservanza,senza poter invocare il diritto di prevenzione (in tal senso,oltre alle pronunzie citate dalla corte di merito,v. Cass. nn. 8420/03,8989/01,3737/94). In buona sostanza,la costruzione “nuova”, ai fini dell’osservanza delle distanze in questione, è costituita soltanto dalla sopraelevazione, che pertanto è soggetta, proprio in ragione della sua novità, all’osservanza delle disposizioni sopravvenute, sicchè il preteso totale esonero, sulla base dell’invocato incipit della citata norma regolamentare qualora il fabbricato non venisse ubicato sul confine”), non è sostenibile,considerato che l’intera disciplina sul distacco dai confini contenuta nella stessa si riferisce alle nuove costruzioni; e tale non può considerarsi la parte inferiore di quella in questione.

Non miglior sorte merita, infine, il quarto motivo, con il quale vengono dedotte violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi sull’onere della prova in materia risarcitoria, segnatamente degli artt. 2697, 2043 e 1226 c.c., e connessa insufficienza di motivazione, con riferimento alla statuizione risarcitoria, censurandosi in particolare la liquidazione equitativa,che sarebbe stata adottata in difetto di alcun elemento di prova in ordine sia all’an, sia al quantum della relativa pretesa.

Anche tali censure si pongono in contrasto con consolidati principi della giurisprudenza di legittimità,secondo cui, nel caso in cui venga accertata la violazione di norme di vicinato, in particolare sulle distanze, il danno subito dal proprietario del fondo, rispetto al quale vi sia stata tale inosservanza, non necessita (si specifica attività probatoria, essendo in re ipsa e concretandosi nella temporanea compressione di fatto delle facoltà di godimento del bene illegittimamente asservito, perdurando fino all’eliminazione della relativa situazione illegittima (v.,oltre alle pronunzie citate in sentenza,Cass. nn 25475/10,11196/10,7972/08). Tale danno,essendone certo l’an debeatur, ma non agevole la precisa determinazione quantitativa, correttamente è stato liquidato in via equitativa ex art. 1226 c.c., dalla corte territoriale,con valutazione di merito,tenente conto della natura del pregiudizio (diminuzione di aria e luce) e della relativa durata,che esente da vizi logici, è incensurabile in questa sede. Il ricorso principale va,conclusivamente,respinto.

Con il primo motivo del ricorso incidentale si censura la declaratoria di cessazione della materia del contendere relativa alla questione del muro di confine,obiettandosi che quella intervenuta in corso di causa non sarebbe stata una ricostruzione dello stesso,secondo le originarie caratteristiche di muro portante per entrambe le proprietà, bensì una costruzione di “nuovo e diverso muro”, strutturalmente inidoneo ad essere utilizzato anche dalla deducente.

Il motivo è fondato,a termini della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui,ai fini della declaratoria in questione,connessa alla sopravvenuta carenza di interesse ex art. 100 c.p.c., alla decisione o ad un relativo capo della stessa,è richiesta la cessazione di ogni ragione di contrasto tra le parti, che fa venir meno la necessità di una pronunzia del giudice al riguardo (tra le altre, v. Cass. nn. 26005/10,10533/09,15705/02).

Tale situazione non era riscontrabile nel caso di specie, nel quale la parte attrice aveva continuato,anche nel corso del giudizio di secondo grado,a dolersi dell’eliminazione del muro di confine,rivendicandone addirittura la proprietà esclusiva e,comunque, lamentando l’inidoneità della ricostruzione a consentirle l’eventuale utilizzazione a fini edificatori. La corte territorialejimitandosi ad una generica presa d’atto della ritenuta conforme ricostruzione del manufatto, successiva alla decisione di primo grado, si è dunque sottratta all’obbligo di pronunziarsi sulla fondatezza o meno,sia pure all’esito delle vicende verificatesi in corso di causa, delle perduranti doglianze attrici, in un contesto nel quale chiaramente persisteva l’interesse delle parti, o quantomeno della R., ad un pronunzia di merito sulle specifiche questioni ancora controverse.

Con il secondo motivo del suddetto ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 23 bis, del regolamento edilizio comunale e degli artt. 872, 873, 875 e 877 c.c., per aver erroneamente ritenuto che la distanza, da osservare nella specie rispetto al confine, fosse pari alla metà dell’altezza della nuova costruzione, mentre invece la norma effettivamente applicabile, in materia di distacco tra costruzioni – e non dai confini- come evidenziato dal c.t.u. e correttamente recepito dal primo giudice, avrebbe fatto riferimento all’intera altezza del fabbricato più alto;tale distacco,inoltre,avrebbe dovuto essere osservato,in quanto costituente nuova costruzione del tutto diversa da quella preesistente, anche dal piano inferiore. Le censure non meritano accoglimento, alla luce di quelle stesse considerazioni, evidenzianti la corretta individuazione ed interpretazione della norma regolamentare confacente al caso, che hanno condotto,sull’opposto versante, alla reiezione del terzo motivo del ricorso principale.

Una volta stabilito,con incensurabile accertamento di fatto, che risulta ampiamente motivato ed esente da vizi logici, che il piano inferiore dell’edificio B. non eccedeva le dimensioni del preesistente fabbricato a confine, correttamente ne è stata tratta la conseguenza che per quella parte non dovesse essere osservata alcuna nuova distanza,mentre per quella superiore,in quanto non fronteggiante alcuna parete del fabbricato R. (limitato ad un piano terra), l’unico distacco da osservare non potesse essere che quello rispetto alla linea confinaria tra i fondi,nella specie stabilita dalla norma integrativa locale in una distanza pari alla metà della complessiva altezza raggiunta.

Quanto all’obiezione, sviluppata nella memoria illustrativa, secondo cui tale soluzione sarebbe stata in contrasto con la disposizione,di rango superiore rispetto al regolamento edilizio, di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, prevedente un maggiore distanza, è sufficiente osservare come la stessa rimetta vanamente in discussione una questione ormai coperta da giudicato interno, come correttamente rilevato dalla corte di merito,quando ha evidenziato come la R., a fronte dell’applicazione da parte del primo giudice del regolamento locale, anzichè del citato D.M. invocato nella iniziale domanda,non avesse interposto alcun gravame. Con il terzo motivo del ricorso incidentale,infme,si denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 5, un errore in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nel fissare l’altezza (corrispondente a quella del preesistente fabbricato B. e del vecchio muro di confine),oltre la quale la nuova costruzione avrebbe dovuto arretrarsi; tale altezza, se pur nominalmente riferita al limite della ringhiera del balcone del primo piano del fabbricato B., in concreto sarebbe stata erroneamente fissata in quella, di m. 7,23, della ringhiera sovrastante, per effetto di confusione tra i dati effettivamente rilevabili “da tutti i grafici presenti ne fascicolo processuale”, dai quali avrebbe dovuto essere invece desunta quella effettiva di m. 3,28.

La censura,che non evidenzia un errore materiale ostativo,in cui la corte sia incorsa nella redazione della sentenza,ma lamenta una svista interpretativa delle risultanze istruttorie,vero e proprio “abbaglio dei sensi” nella lettura della relazione peritale e degli atti allegati, è palesemente inammissibile per la sua chiara natura di merito, a carattere revocatorio, evidenziando un vizio riconducibile alla previsione di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4. In conclusione,per effetto dell’esito delle reciproche impugnazioni, la sentenza impugnata va cassata limitatamente alla censura di cui all’accolto primo motivo del ricorso incidentale, con rinvio sul punto ad altra sezione della corte barese, cui si demanda anche il regolamento delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte,riuniti i ricorsi,rigetta quello principale,accoglie il primo motivo di quello incidentale,che nel resto rigetta,cassa la sentenza impugnata limitatamente alla censura accolta,e rinvia,anche per le spese del presente giudizio,ad altra sezione della Corte d’Appello di Bari.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2011

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