Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22425 del 27/10/2011

Cassazione civile sez. II, 27/10/2011, (ud. 05/10/2011, dep. 27/10/2011), n.22425

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4265-2006 proposto da:

L.C.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA SALLUSTIO 9, presso lo studio dell’avvocato SPALLINA

BARTOLO, che lo rappresenta e difende con procura speciale notarile

del 26/92011 rep. 77520;

– ricorrente –

contro

M.P. Perito Industriale, (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 77, presso lo studio dell’avvocato

BARNESCHI GIANLUCA, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato LANDINI DANIELA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1244/2005 del GIUDICE DI PACE di PRATO,

depositata il 14/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2011 dal Consigliere Dott. CESARE ANTONIO PROTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L.C.R. con atto di citazione del 14/3/2003 proponeva opposizione avverso il decreto con il quale il Giudice di Pace di Prato gli ingiungeva il pagamento della somma di Euro 991,44, oltre interessi e spese, a favore di M.P. per prestazioni professionali consistite in un sopralluogo e una indagine peritale per accertare le cause di un infortunio subito all’interno dell’abitazione da B.L., moglie del L.C., per un malfunzionamento di una caldaia.

L’opponente eccepiva la carenza di legittimazione passiva sostenendo di non avere conferito alcun incarico al M.; nel merito, sosteneva che al M. era già stato pagato, direttamente dalla moglie di esso opponente, il compenso dovuto.

La causa era istruita con produzioni documentali, prova testimoniale, libero interrogatorio delle parti; il giudice di pace non ammetteva il giuramento decisorio deferito dall’opponente e con sentenza del 14/7/2005 respingeva l’opposizione a decreto ingiuntivo. Il Giudice di Pace, quanto all’individuazione del soggetto che aveva conferito l’incarico al perito, rilevava che il conferimento dell’incarico risultava dallo stesso interrogatorio libero reso dal L.C.;

quanto all’eccezione di avvenuto pagamento rilevava che la dedotta estinzione del debito non era provata per un duplice motivo:

– non era plausibile che il perito, fosse stato saldato lo stesso giorno del sopralluogo, ossia prima ancora che presentasse la relazione peritale;

il teste Ba. aveva in precedenza affermato di avere visto la B. corrispondere una somma di denaro ad un signore da lei indicato come il M., ma successivamente, sia rendendo informative alla polizia giudiziaria, sia con la testimonianza resa nel processo aveva dichiarato di avere visto qualcuno in casa della B. la quale gli riferiva di avergli dato del denaro;

pertanto la testimonianza non poteva costituire idonea prova dell’estinzione del debito.

L.C.R. propone ricorso per Cassazione fondato su quattro motivi; resiste con controricorso M.P..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, così rubricato “violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5” il ricorrente lamenta l’omessa pronuncia sull’eccezione di difetto di legittimazione passiva; si assume che il giudice di pace avrebbe ritenuto irrilevante l’individuazione del soggetto che avrebbe conferito l’incarico, mentre se tale soggetto fosse stato individuato nella signora B. avrebbe dovuto essere accolta l’eccezione sollevata dal L.C. che a nessun titolo poteva essere condannato a pagare per una incarico che egli non aveva conferito.

2. Il motivo è inammissibile quanto alla violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè il giudice di pace non ha omesso di decidere sull’eccezione, ma sì è limitato a rilevare l’ininfluenza dell’accertamento volto ad individuare quale tra di due coniugi abbia materialmente tenuto i contatti con il perito incaricato.

Quanto alla censura formulata sotto il profilo del vizio della motivazione con la quale il giudice di prime cure avrebbe ritenuto ininfluente accertare quale tra i due coniugi ( L.C. o B.) avrebbe conferito l’incarico si deve osservare, in via preliminare, che dalla sentenza impugnata non emerge ciò che afferma il ricorrente, ma soltanto la seguente motivazione “a prescindere dalle fuorvianti considerazioni su chi dei due coniugi abbia avuto materialmente i contatti con il perito, che non rivestono rilevanza ai fini decisoria appare chiaramente confermato, nell’interrogatorio libero del L.C., l’affidamento dell’incarico peritale al M. e che questo effettuò il sopralluogo presso l’abitazione del L.C….”.

Dalla motivazione, dunque, non risulta la lamentata indifferenza rispetto all’individuazione del soggetto che conferisce l’incarico, ma l’affermazione dell’irrilevanza di una indagine volta ad accertare quale dei due coniugi abbia materialmente tenuto i contatti con il perito incaricato; tale considerazione è immune da censure perchè ciò che rilevava in causa era l’individuazione del soggetto che aveva conferito l’incarico e non del soggetto che, materialmente, si occupava di tenere i contatti con il perito. In ogni caso e in punto di diritto, la censura è inammissibile perchè, trattandosi causa di valore inferiore ai 1.100,00 Euro la sentenza è stata pronunciata secondo equità; non essendo stata denunciata violazione norme processuali, la questione verte esclusivamente sulla motivazione e, quindi, attiene al merito; in tale ipotesi, il ricorso per Cassazione è ammesso solo per violazione di regole costituzionali o comunitarie o dei principi informatori della materia, (nella specie non dedotti) ovvero per nullità della sentenza, derivante dalla inesistenza assoluta di motivazione o da motivazione meramente apparente, equiparabile alla mancanza, o, infine, quando la motivazione sia affetta da contraddizioni insanabili che non consentano di individuare il percorso logico seguito dal giudice (Cass. 9/10/2007 n. 21087; Cass. 28/3/2007 n. 7581; Cass. S.U. 14/1/2009 n. 564); ma nella fattispecie, per le considerazioni sopra svolte, tale vizio non sussiste.

3. Con il secondo motivo, così rubricato “violazione dell’art. 295 c.p.c., in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5” il ricorrente lamenta che il giudice di pace avrebbe omesso di decidere sull’istanza di sospensione del giudizio civile in attesa della definizione di un procedimento penale che sarebbe stato attivato a seguito di querela presentata nei confronti del teste Ba. per falsa testimonianza per divergenza tra quanto dallo stesso in precedenza dichiarato alla P.G. e quanto dichiarato come teste.

4. Il motivo è infondato sia per carenza di interesse, perchè il giudice è libero di valutare le testimonianze e non sussiste pregiudizialità necessaria del processo per falsa testimonianza, sia perchè la sospensione del procedimento civile presuppone la pendenza di un procedimento penale e tale pendenza non risulta documentata (e neppure affermata), non potendosi ritenere pendente un procedimento penale sulla base della semplice denunzia di falsa testimonianza, ma solo quando il P.M. esercita l’azione penale.

5. Con il terzo motivo così rubricato “violazione degli artt. 233 e ss. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5″ lamenta che il giudice di pace non avrebbe ammesso il giuramento decisorio, ritualmente deferito, senza dare motivazione.

Al riguardo richiama giurisprudenza di questa Corte per la quale il giuramento decisorio dovrebbe essere sempre ammesso anche quando i fatti che ne formano oggetto possano ritenersi già provati.

6. L’assunto del ricorrente è astrattamente corretto perchè il giuramento decisorio, ha natura di prova legale in ordine alla quale è esclusa qualsiasi discrezionalità da parte del giudice e pertanto è ammissibile anche quando verta su fatti già accertati o esclusi dalle risultanze di causa (v. Cass. 9912/1998). Correlativamente la mancata ammissione si risolve in un error in procedendo, sindacabile in Cassazione anche quando, come nella specie, la sentenza è stata pronunciata secondo equità.

Tuttavia, per il principio di autosufficienza del ricorso, questa Corte avrebbe dovuto essere messa nelle condizioni di valutare ex actis la rituale formulazione della richiesta di giuramento decisorio mediante la trascrizione dei capitoli sui quali era deferito il giuramento.

Viceversa il ricorrente ha genericamente affermato di avere deferito giuramento decisorio ” sulle circostanze così come capitolate a verbale di udienza e relative, in sostanza, al conferimento dell’incarico da parte della sig.ra B. e all’avvenuto saldo delle sue spettanze per l’attività svolta”.

La genericità e la mancanza di autosufficienza della deduzione comporta l’inammissibilità del motivo perchè non consente valutare l’interesse a dolersi della mancato accoglimento della richiesta.

7. Con il quarto motivo così rubricato “violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5” il ricorrente lamenta che il giudice di pace provare la natura e la consistenza della prestazione eseguita e la congruità della somma richiesta non essendo sufficiente il solo parere rilasciato dal Collegio dell’Ordine dei periti.

Sotto il profilo della violazione dell’art. 2697 c.p., la censura è inammissibile perchè le sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2, come già esposto nel decidere sul primo motivo di ricorso, sono ricorribili in cassazione per violazione delle norme processuali, delle norme della Costituzione e di quelle comunitarie, nonchè per violazione dei principi informatori della materia e per nullità attinente alla motivazione, che sia assolutamente mancante o apparente, o fondata su affermazioni in radicale ed insanabile contraddittorietà; ne consegue che la violazione dell’art. 2697 c.c., sull’onere della prova, che pone una regola di diritto sostanziale, da luogo ad un “error in iudicando” non deducibile con il ricorso per cassazione avverso le sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità (v. Cass. 7581/2007 cit.; Cass. S.U. 564/2009 cit.).

8. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con la condanna della ricorrente, in quanto soccombente, al pagamento delle spese di questo giudizio di Cassazione liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna L.C.R. a pagare a M.P. le spese di questo giudizio di cassazione che si liquidano in complessivi Euro 1.100.00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2011

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