Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22422 del 04/11/2016


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Cassazione civile sez. trib., 04/11/2016, (ud. 11/07/2016, dep. 04/11/2016), n.22422

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1470-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.I. SRL in persona del Consigliere autorizzato con

delibera del C.d.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA SARDEGNA

38, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO MICHELE CAPORALE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANGELA MARIA

ODESCALCHI giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 124/2009 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 25/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/07/2016 dal Consigliere Dott. LUCIOTTI LUCIO;

udito per il ricorrente l’Avvocato GUIZZI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato ROVEDA con delega

dell’Avvocato ODESCALCHI che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE SERGIO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La società contribuente impugnava la cartella di pagamento di sanzioni ed interessi conseguenti al ritardato versamento dell’IRPEG dovuta per l’anno 2002 dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano che, ritenendo provato l’invio alla predetta contribuente della comunicazione di irregolarità prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3 e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, comma 3, accoglieva parzialmente il ricorso riducendo equitativamente le sanzioni del 10% sostenendo che la richiesta in tal senso avanzata dalla ricorrente non era stata opposta dall’Amministrazione finanziaria.

2. L’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, che contestava la ritenuta non opposizione alla riduzione delle sanzioni e che evidenziava la contraddittorietà della decisione di primo grado, veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che con sentenza n. 124 del 25 novembre 2009 accoglieva l’appello incidentale proposto dalla società contribuente dichiarando la nullità dell’iscrizione a ruolo perchè non preceduta dalla notifica dell’avviso bonario, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, e riducendo ad un terzo le sanzioni applicate.

3. Avverso detta statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replica la società intimata con controricorso, in cui vengono sollevate eccezioni di inammissibilità del ricorso in relazione a diverse disposizioni processuali tra cui l’art. 360 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di impugnazione è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver statuito ultra petitum, dichiarando la nullità dell’iscrizione a ruolo in assenza di specifica domanda avanzata dalla società contribuente, appellante incidentale.

2. Con il secondo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, comma 3, e della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, censurando la sentenza impugnata per aver fatto discendere la nullità dell’iscrizione a ruolo dal mancato previo invio della comunicazione di irregolarità nella specie non dovuta, vertendosi in ipotesi di ritardato versamento di somme risultanti dalla dichiarazione presentata dalla società contribuente.

3. Nelle controdeduzioni l’intimata solleva diverse eccezioni di inammissibilità del ricorso e dei motivi di impugnazione, che vanno esaminate preliminarmente.

3.1. Nella prima sostiene che la difesa erariale, in violazione del disposto di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, aveva omesso di depositare la cartella di pagamento su cui si fonda il ricorso.

Premesso che con riferimento alla prima censura, con cui è dedotta la violazione del principio tra il chiesto ed il pronunciato, l’Agenzia ricorrente elenca nel ricorso e deposita gli atti necessari alla decisione (ricorso introduttivo della società e controdeduzioni con appello incidentale), con la conseguenza che almeno limitatamente a tale censura non è prospettabile alcun vizio. l’eccezione è infondata anche con riferimento alla seconda censura, cui fa espresso riferimento la controricorrente, giacchè con il secondo mezzo è censurata la sentenza della CTR per avere ritenuto necessario l’invio della comunicazione di irregolarità prima di procedere all’iscrizione a ruolo e, pertanto, ai fini della decisione, la cartella di pagamento emessa a seguito di quell’iscrizione è documento la cui produzione è del tutto superflua.

3.2. La seconda eccezione, formulata ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., è manifestamente infondata.

Dispone tale norma, al comma 1, n. 2, che il ricorso è inammissibile quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa.

Questa Corte ha precisato (cfr. Cass. n. 23586 del 2015) che la norma dell’art. 360 – bis c.p.c., ha innestato, sul meccanismo operativo della definizione camerale, una nuova griglia valutativa di ammissibilità, in luogo di quella selettiva anteriore costituita dalla enunciazione del quesito di diritto (art. 366 – bis c.p.c.). Tale griglia è oggi correlata alla messa in relazione degli argomenti spesi nei motivi di ricorso con i precipitati degli orientamenti giurisprudenziali esistenti, tenuto conto della valutazione di conformità della decisione impugnata e della conseguente prevedibilità della statuizione che si richiede. La disposizione in esame, in buona sostanza, pone a carico del ricorrente l’onere di offrire elementi idonei a giustificare una modifica dei principi giurisprudenziali di legittimità, solo se la sentenza impugnata si sia ad essi conformata, non quando ci si trovi, come nel caso in esame, nella situazione opposta e, segnatamente, di statuizione di merito che non si sia attenuta alla giurisprudenza di questa Corte, peraltro espressamente citata dalla ricorrente nell’esposizione del secondo motivo. Al riguardo deve poi osservarsi che detta norma pone a carico del ricorrente l’onere di dare conto delle ragioni di consenso o dissenso nei confronti di un orientamento giurisprudenziale di legittimità sulla questione posta nel motivo di ricorso, il cui inadempimento, però, non può di per sè solo costituire motivo di inammissibilità del ricorso, come sembra prospettare la società controricorrente. essendo compito della Corte verificare in concreto l’esistenza di un orientamento consolidato. la conformità ad esso della statuizione impugnata, la mancata enucleazione, da parte del ricorrente, di argomentazioni valide a superarlo.

4. In relazione al primo motivo, con cui viene censurata la sentenza impugnata per vizio di ultra petizione, va preliminarmente esaminata l’ulteriore eccezione sollevata dalla controricorrente che ne deduce l’inammissibilità in quanto implicante un giudizio di merito inammissibile dinanzi al giudice di legittimità, richiedendo a questa Corte l’inammissibile interpretazione delle domande proposte nei precedenti gradi di giudizio che costituisce operazione riservata al giudice di merito non censurabile in sede di legittimità quando sia motivato in maniera congrua ed adeguata (cfr. Cass. n. 4597 del 2008; n. 14751 del 2007; n. 2916 del 2004).

4.1. L’eccezione è palesemente infondata in quanto secondo la giurisprudenza di questa Corte il principio per cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) od a quello del tantum devolutum quantum appellatum (artt. 345 e 437 c.p.c.), trattandosi in tal caso della denuncia di un error in procedendo, che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare. delle istanze e deduzioni delle parti (cfr., Cass., n. 11755 del 2004; n. 17109 del 2009, n. 21421 del 2014, n. 11738 del 2016).

5. Il motivo è comunque infondato nel merito.

5.1. L’Agenzia ricorrente censura la sentenza impugnata per avere il giudice di appello dichiarato la nullità dell’iscrizione a ruolo in assenza di specifica domanda avanzata dalla società contribuente, appellante incidentale.

La tesi è invero smentita dal contenuto del ricorso proposto originariamente dalla società contribuente e dall’atto di controdeduzioni ed appello incidentale della medesima, che risultano trascritti nel motivo di ricorso in esame, ma che la Corte può esaminare direttamente in ragione del tipo di vizio denunciato, e dai quali si apprende che in effetti la società contribuente quella domanda l’aveva espressamente avanzata nel secondo dei predetti atti, ma che ad analoga conclusione deve pervenirsi in via di interpretazione anche con riferimento al ricorso originario.

Nell’appello incidentale la controdeducente ha molto chiaramente dedotto (pag. 5 del ricorso) in aggiunta alle argomentazioni svolte a sostegno della domanda di annullamento della cartella per omessa comunicazione del c.d. avviso bonario, che la giurisprudenza più recente si è orientata nel considerare addirittura nullo il ruolo non preceduto dal prescritto avviso bonario di pagamento, in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3 e dalla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5 (statuto del contribuente).

Quanto al ricorso originario, la domanda di annullamento della cartella di pagamento perchè non è stato ricevuto l’avviso bonario è chiaramente interpretabile come domanda di annullamento del ruolo in quanto diretto a censurare non un vizio proprio della cartella ma l’omesso adempimento di un atto preliminare alla sua emissione, coma tale incidente sulla legittimità stessa della formazione del ruolo.

Il primo mezzo di impugnazione proposto dall’Agenzia ricorrente è, quindi, infondato e va rigettato.

5. In relazione al secondo motivo, al cui esame deve ora passarsi e con cui viene censurata la pronuncia di nullità dell’iscrizione a ruolo sull’erroneo presupposto del mancato previo invio della comunicazione di irregolarità, la controricorrente solleva l’eccezione di inammissibilità del motivo sostenendo che con esso sia stato introdotto un tema di indagine nuovo e, segnatamente. l’inapplicabilità al caso di specie delle disposizioni che prevedono l’obbligo di invio della predetta comunicazione, in quanto mai dedotto dall’Amministrazione finanziaria nei precedenti giudizi di merito.

5.1. L’eccezione è infondata mentre è fondato e va accolto nel merito il motivo in esame.

Invero, quello dell’obbligo di invio della comunicazione di irregolarità delle dichiarazioni presentate dalla società è questione che è stata introdotta dalla stessa contribuente cosicchè non può ritenersi nuova la doglianza dell’Agenzia ricorrente circa l’insussistenza sub specie dei presupposti cui le disposizioni di legge censurate subordinano quell’adempimento. A ciò aggiungasi che l’applicabilità al caso in esame dell’art. 6, comma 5, dello Statuto dei diritti del contribuente (L. n. 212 del 2000) è stata affermata dalla CTR in via generale ed astratta, per la semplice ragione che la norma era già vigente nell’anno di imposta 2002, cui si riferisce la cartella impugnata, senza alcuna valutazione della situazione di fatto che, secondo quanto risultante dalla narrativa della sentenza impugnata ma anche dalle stesse deduzioni delle parti (non avendo peraltro costituito motivo di impugnazione della cartella esattoriale), è pacificamente circoscritta al ritardato pagamento dell’IRPEG dovuta dalla società contribuente per l’anno 2002.

5.2. E quindi evidente che nel caso di specie, vertendosi in ipotesi di ritardato versamento di imposte dichiarate dalla stessa contribuente e non essendovi stata alcuna rettifica delle stesse, l’Amministrazione finanziaria, diversamente da quanto ritenuto dalla CTR, non aveva alcun obbligo di far precedere la notifica della cartella di pagamento dall’invio della comunicazione di irregolarità, essendo perfettamente inutile comunicare al dichiarante i risultati del controllo automatico e interloquire con lui, se questi coincidono col dichiarato, ossia se non emerga alcun errore (cfr. Cass. n. 17396 del 2010; conf. n. 3154 del 2015).

6. Da ultimo occorre rilevare l’infondatezza anche delle altre eccezioni sollevate dalla controricorrente (p. 4 e 5 del controricorso), e cioè quella di genericità del motivo di ricorso (risultando dalla lettura dello stesso chiaramente specificata la questione posta dall’Agenzia ricorrente), quella della sua dubbia formulazione (dovendosi escludere qualsiasi incertezza nella prospettazione cumulativa del vizio come di violazione di norma di legge e di sua falsa applicazione, quando tale incertezza debba essere esclusa – come nel caso di specie – dal contenuto delle argomentazioni sviluppate nel motivo, cui deve farsi riferimento secondo l’insegnamento di Cass. S.U. n. 9100 del 2015) e quella dell’errata indicazione del vizio denunciato (invero insussistente atteso che nella specie non viene richiesta una rivalutazione delle risultanze di causa, che sono incontestate, ma viene correttamente denunciata l’erronea applicazione al caso di specie delle norme censurate).

7. Conclusivamente, quindi, va dichiarato infondato il primo motivo ed accolto il secondo con conseguente cassazione della sentenza impugnata e, non essendovi necessità di ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c., con il rigetto dell’originario ricorso proposto dalla società contribuente, la quale, in applicazione della regola della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, mentre, negli esiti dei giudizi di merito sì ravvisano giusti motivi per compensare le spese di quei gradi.

PQM

La Corte dichiara infondato il primo motivo, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della società contribuente che condanna al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 7.500,00 oltre spese prenotate a debito, compensando le spese dei giudizi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 5^ sezione civile, il 11 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2016

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