Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22421 del 15/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 15/10/2020, (ud. 23/10/2019, dep. 15/10/2020), n.22421

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 466/2015 R.G. proposto da:

Ghetaldi s.r.l., in persona dei l.r.p.t., rappresentata e difesa

dall’avv. Massimo Basilavecchia, presso cui è elettivamente

domiciliata in Roma alla via F. Paulucci dè Calboli n. 9, presso

l’avv. Piero Sandulli;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2847/38/14 della Commissione Tributaria

Regionale del Lazio, emessa il 5/3/14, depositata l’8/5/14 e non

notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 ottobre

2019 dal Consigliere Giudicepietro Andreina.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la società Ghetaldi s.r.l. ricorre con sei motivi contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 2847/38/14 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio (di seguito C.T.R.), emessa il 5/3/14, depositata l’8/5/14 e non notificata, che ha rigettato l’appello della società contribuente, in controversia concernente l’impugnativa dell’avviso di accertamento per maggiori Ires ed Irap per l’anno di imposta 2005;

2. la controversia trae origine dall’impugnazione dell’avviso di accertamento, con cui l’Amministrazione finanziaria recepiva i rilievi contenuti nel p.v.c. del 17 giugno 2009 della Direzione Centrale Accertamento – Ufficio Centrale Antifrode – relativi ad un’operazione di compravendita immobiliare in Roma Eur – quartiere Laurentino;

l’intera operazione commerciale era stata realizzata attraverso plurimi atti traslativi, stipulati nello stesso giorno (il 14/10/2005), ai quali avevano preso parte la Ghetaldi s.r.l., società costituita solo due giorni prima, facente parte del gruppo Statuto (riconducibile al sig. S.G.), cui appartenevano anche le società collegate, Delrica s.r.l. e Piemonte s.r.l., controllate dalla M.A. s.r.l., a sua volta controllata da S. Lux Holding, società lussemburghese riferibile anch’essa all’imprenditore S.G.;

la vicenda risale al 18 gennaio 2005, data in cui la Delrica s.r.l. aveva formulato una proposta irrevocabile di acquisto del compendio immobiliare alla Immobiliare Asio s.r.l., al prezzo di 33 milioni di Euro più Iva, proposta successivamente reiterata e poi accettata;

nel preliminare di acquisto del 13/10/2005, la Delrica s.r.l. aveva nominato la Ghetaldi s.r.l. promissaria acquirente, a fronte di un corrispettivo di 6 milioni e mezzo di Euro più Iva;

la Ghetaldi s.r.l., avendo acquistato il successivo 14 ottobre 2005 il complesso immobiliare, nello stesso giorno stipulava due contratti, cioè un preliminare di compravendita non registrato con la Piemonte s.r.l. (qualificata utilizzatore) per un corrispettivo di 55 milioni di Euro oltre Iva, che conteneva una clausola di “rendimento minimo garantito” rispetto ai canoni di locazione ricavabili dal fabbricato, ed un contratto di vendita con la Mercantile Leasing S.p.A. al prezzo di 55 milioni più Iva;

nello stesso giorno, la Mercantile Leasing S.p.A. stipulava un contratto di leasing con la Piemonte s.r.l. cedendole in locazione finanziaria il complesso immobiliare;

nei due contratti ai quali prendeva parte la Mercantile Leasing S.p.A. non era più riportata la clausola del rendimento minimo garantito;

in data 13 dicembre 2006, infine, la Piemonte s.r.l. stipulava un contratto preliminare seguito dal definitivo in data 1 gennaio 2007, con cui cedeva il contratto di locazione finanziaria dell’immobile alla società Realty One S.p.A., ancora una volta senza alcuna menzione della clausola di redditività minima garantita, originariamente stabilita con la Ghetaldi con effetto fino al 31 dicembre 2015;

in base alle esposte operazioni commerciali, la Ghetaldi s.r.l. nell’anno 2005 aveva contabilizzato in conto economico alla voce “reddito garantito” l’importo di 15.396.784,27 Euro, calcolato indicizzando il rendimento minimo garantito rispetto ai canoni di locazione gravanti sull’immobile ed esigibili fino al 31 dicembre 2015;

a seguito della verifica fiscale, l’Ufficio, ai sensi del t.u.i.r., art. 109, ha abbattuto i costi contabilizzati alla voce “reddito garantito”, che la società Ghetaldi s.r.l. aveva computato a fronte della realizzata plusvalenza di 22 milioni di Euro, quale differenza tra il prezzo di cessione ed il prezzo di acquisto del complesso immobiliare, perchè non oggettivamente determinabili alla data del 31 dicembre 2005, non correlati ai ricavi effettivamente percepiti e, comunque, neanche certi nella loro esistenza, alla luce dell’intera complessa operazione commerciale;

ai sensi del D.P.R. n. 446 del 1997, art. 25, l’Ufficio rettificava, inoltre, il valore della produzione ai fini dell’Irap;

3. con il ricorso introduttivo, la società Ghetaldi s.r.l. ha impugnato l’avviso di accertamento, deducendone, secondo quanto riportato nella sentenza di appello, l’illegittimità sotto molteplici profili;

la C.T.P. di Roma ha rigettato il ricorso, ritenendo, per quanto ancora di interesse, che l’accertamento fosse fondato sul D.P.R. n. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40, trattandosi di evasione di imposta per la deduzione di costi creati fittiziamente attraverso negozi giuridici simulati;

il giudice di prima istanza rilevava che l’avviso di accertamento, nel riportare i risultati del p.v.c., evidenziava la non deducibilità dei costi, ai sensi del T.u.i.r., art. 109, perchè non determinabili, non di competenza dell’anno 2005, nè obiettivi;

inoltre, rilevava l’incompatibilità dell’intera operazione con una normale logica economica e, sulla base di una serie di indizi, la fittizietà della clausola del cd. rendimento minimo garantito, che aveva comportato per la Ghetaldi s.r.l. un vantaggio fiscale indebito;

con un unico motivo di gravame in appello, variamente articolato, la società contribuente ha lamentato la violazione e falsa applicazione del t.u.i.r., art. 109, avendo i giudici di prime cure erroneamente ritenuto che la rettifica dell’Ufficio fosse fondata;

con la sentenza impugnata, la C.T.R., condividendo le motivazioni già espresse dal giudice di primo grado, ha rigettato l’appello, ritenendo che dall’intera operazione commerciale risultasse evidente la fittizietà dei costi relativi alla clausola di garanzia del rendimento minimo, peraltro neanche oggettivamente determinabili ed imputabili per competenza interamente all’anno 2005;

4. a seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;

5. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 23 ottobre 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;

6. la ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con il primo motivo, la ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per motivazione apparente, in violazione dell’art. 132 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36;

secondo la ricorrente, sebbene la sentenza impugnata contenga un’ampia motivazione, vi sarebbe un contrasto di fondo tra la tesi dell’inesistenza della clausola di garanzia del reddito minimo e le ripetute argomentazioni sull’antieconomicità della stessa e sull’errata imputazione del costo al periodo non di competenza, nonchè sull’assenza dei requisiti di certezza e oggettiva determinabilità del costo stesso, che ne presuppongono l’effettività;

inoltre, la ricorrente sottolinea come erroneamente la sentenza impugnata faccia riferimento alla cifra di 386.535.35 Euro, come componente positiva (ma anche negativa) del reddito della Ghetaldi s.r.l., mentre era da riferirsi alla Piemonte s.r.l.;

con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., dell’art. 96disp. att. c.p.c., e dell’art. 101 c.p.c., atteso che la decisione della controversia è basata sul fatto del mancato pagamento dell’indennità di rendimento minimo, che non è mai stato allegato e contestato dall’Ufficio nell’avviso di accertamento, nè risulta in alcun modo provato nel giudizio;

con il terzo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del T.u.i.r., art. 109, per essere stato ritenuto essenziale, ai fini della deducibilità del costo, un elemento finanziario, quale il pagamento nel medesimo esercizio di competenza economica di tutto il costo dedotto;

secondo la ricorrente, il T.u.i.r., art. 109, nel prevedere il requisito dell’esistenza certa dell’elemento reddituale negativo, non richiede anche la sua immodificabilità e definitività, perchè altrimenti si trasformerebbe il principio di competenza, basato sulla correlazione con i ricavi, in principio di cassa;

inoltre, la ricorrente sottolinea che, anche nell’ipotesi in cui il costo, dilazionato negli anni successivi, non fosse stato interamente pagato, non per questo sarebbe un onere fittizio, relativo ad un’operazione inesistente;

con il quarto motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1414 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non costituendo prova della contestata simulazione della clausola di rendimento minimo garantito il riferimento ad elementi di rilevanza oggettiva, che non sia accompagnato da un’analisi critica degli aspetti soggettivi della negoziazione;

secondo la ricorrente, la C.T.R. è incorsa in un errore di metodo nell’escludere ed omettere qualsiasi indagine sull’esistenza dell’accordo simulatorio assoluto, cioè sul fatto che le parti non avessero alcuna volontà, diversa da quella fittiziamente dichiarata nell’atto;

con il quinto motivo, la ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1321,1362,1363,1367,1401,1322,1470 e 1538 c.c., poichè il giudice di appello avrebbe erroneamente svalutato il contratto preliminare contenente la clausola di rendimento minimo, ritenuta non efficace, perchè non indicata tra i fattori che comportavano un maggior prezzo di vendita;

secondo la ricorrente, inoltre, la C.T.R. avrebbe attribuito rilievo a vicende successive che hanno riguardato parti diverse dalla Ghetaldi s.r.l. e che non potevano influenzare l’interpretazione della clausola contestata;

con il sesto motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del T.u.i.r., art. 109, per avere i giudici di appello interpretato erroneamente i concetti di “certezza” ed “obiettiva determinabilità”;

1.2. preliminarmente, deve rilevarsi che l’appello risulta proposto con atto depositato il 23/7/2013, pertanto al ricorso per cassazione si applica la disciplina della cd. doppia conforme, introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv. in L. n. 134 del 2012, che esclude che possa essere impugnata per vizi della motivazione in fatto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado”;

nel caso di specie, la sentenza impugnata riporta ampiamente e condivide le argomentazioni contenute nella motivazione in fatto del giudice di prime cure, per cui deve ritenersi inammissibile ogni doglianza che, a prescindere dalla sua qualificazione formale, finisca con il censurare l’illogicità, contraddittorietà e mera insufficienza della motivazione in fatto, adottata dal primo giudice e confermata dal giudice di appello;

pertanto, i motivi di ricorso che attengono alla nullità della sentenza per l’illogicità della motivazione sono ammissibili solo se intesi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, come denunzia della totale assenza di una logica e coerente ratio decidendi e del carattere meramente apparente della motivazione adottata;

inoltre, in via di principio, il controllo di logicità del giudizio del giudice di merito non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto tale giudice ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe, pur a fronte di un possibile diverso inquadramento degli elementi probatori valutati, in una nuova formulazione del giudizio di fatto;

di conseguenza, i motivi relativi alla violazione delle norme di ermeneutica contrattuale e, comunque, di specifiche disposizioni normative, sono ammissibili limitatamente alle censure sull’errata interpretazione o applicazione delle norme che si assumo violate, con esclusione di qualsiasi profilo che attenga al merito;

infine, sono inammissibili anche le doglianze della ricorrente, che, pur formalmente volte a contestare una violazione di legge, presuppongono sostanzialmente una diversa ricostruzione in fatto;

1.3. tanto premesso, passando all’esame dei singoli motivi di ricorso, il primo motivo è infondato, poichè non si ravvisa la totale mancanza di motivazione della sentenza impugnata, che non incorre in motivazione apparente;

la sentenza del giudice di appello, nella pluralità delle argomentazioni svolte, è chiara nel ritenere che i molteplici e gravi indizi (tutti ampiamente esaminati nel provvedimento) inducono al “ragionevole convincimento” “della piena legittimità della ripresa fiscale”;

la C.T.R. individua tali indizi nell’appartenenza delle società Ghetaldi e Piemonte allo stesso gruppo, nell’apposizione della clausola di minimo garantito solo nel preliminare non registrato intercorso tra le due società, nella mancata menzione di tale clausola nel contratto definitivo e nelle successive operazioni con altre società, infine nell’andamento temporale dell’intera vicenda (operazioni effettuate nello stesso giorno da società per la gran parte operanti nel medesimo gruppo);

la C.T.R., quindi, rileva che, come accertato dall’Ufficio, i costi relativi all’apposizione della clausola del “minimo garantito” fossero, prima ancora che indeterminabili, privi della certezza in ordine alla loro esistenza, poichè, da tutte le circostanze della complessa operazione commerciale intervenuta tra le diverse società, emergevano indizi univoci sul fatto che fossero stati creati artificiosamente e nel concreto inesistenti, così come contestato alla società nell’avviso di accertamento;

in tale assunto, chiaramente esposto nella sentenza impugnata, deve rinvenirsi la fondamentale ratio posta a base della decisione ed adeguatamente espressa dai giudici di appello;

le ulteriori argomentazioni, che riguardano la non oggettiva determinabilità dell’elemento reddituale ed il mancato pagamento degli oneri nascenti dalla clausola di garanzia del reddito minimo, hanno carattere rafforzativo della decisione adottata, tendono a dare risposta alle eccezioni delle parti e non si pongono in contrasto logico con l’assunto fondamentale, consistente nell’affermazione della assenza di certezza sull’esistenza del costo dedotto;

2.1. anche il secondo motivo risulta infondato, poichè, come rilevato dal giudice di appello con definitivo accertamento in fatto, l’atto di recupero aveva accertato la fittizietà del costo, emergente da una serie di indizi univoci e concordanti, per cui, a fronte della contestazione dell’Agenzia delle Entrate, sarebbe stato onere della società contribuente dimostrare l’effettività della pattuizione contrattuale e degli oneri da essa nascenti a suo carico;

3.1. infondati sono anche il terzo ed il sesto motivo, relativi alla violazione del T.u.i.r., art. 109, perchè, come già visto nell’esame dei precedenti motivi, la sentenza conferma la ripresa a tassazione in primo luogo per la mancata prova sull’esistenza dei costi portati in deduzione e presumibilmente fittizi;

tale conclusione, basata su di un accertamento in fatto non più impugnabile, rende irrilevante l’eventuale astratta imputabilità dei costi per competenza all’esercizio 2005, indipendentemente dal loro effettivo pagamento dilazionato nel tempo, come sostenuto da parte ricorrente;

piuttosto, l’affermazione della mancanza di prova in ordine al loro pagamento costituisce un ulteriore indizio, come tale valutato dai giudici di appello, nel senso della fittizietà della clausola contrattuale;

4.1. il quarto motivo è inammissibile, laddove tende ad una rivalutazione del merito, ed infondato, se inteso come una doglianza contro la mancata considerazione da parte del giudice dell’elemento soggettivo della simulazione, che, invece, la C.T.R. ha ritenuto sussistente in base agli indizi raccolti ed alla ritenuta antieconomicità della clausola nel contesto dell’operazione complessiva, priva di una propria funzione economica e svantaggiosa per la Ghetaldi s.r.l.;

come è stato detto, “in tema di accertamento dei redditi, l’Amministrazione finanziaria può avvalersi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 37 e ss., della prova presuntiva e, pertanto, quale soggetto terzo, anche in mancanza di un riscontro documentale, ricorrendo presunzioni gravi, precise e concordanti, è legittimata ad effettuare una ripresa a tassazione in forza della ritenuta simulazione dei contratti stipulati dal contribuente che è onerato della prova contraria” “Sez. 5, Ordinanza n. 25521 del 12/10/2018”;

5.1. infine il quinto motivo è inammissibile in quanto tende ad una rivalutazione del merito (in particolare contesta il valore indiziario di circostanze, quali la mancata registrazione del preliminare contenente la clausola, la mancata riproposizione della stessa nel definitivo, la difformità delle due versioni del preliminare in possesso delle due società, il mancato riferimento alla clausola nella perizia tecnica di valutazione dell’immobile) piuttosto che alla denunzia delle regole di ermeneutica contrattuale, solo genericamente enunciate, senza essere rapportate alla fattispecie concreta;

il motivo è ulteriormente inammissibile perchè non coglie la ratio della decisione, che non è basata sull’interpretazione contrattuale della clausola di reddito minimo, ma sul riconoscimento, sulla base dei molteplici indizi più volte richiamati, della fittizietà della pattuizione;

pertanto il ricorso va complessivamente rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 20.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; sussistono i requisiti processuali per porre a carico della ricorrente il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2020

 

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