Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22421 del 04/11/2016


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Cassazione civile sez. trib., 04/11/2016, (ud. 11/07/2016, dep. 04/11/2016), n.22421

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29278-2010 proposto da:

RICCELLI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA ANGELO SECCHI 9, presso lo

studio dell’avvocato VALERIO ZIMATORE, che lo rappresenta e difende

giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 52/2010 della COMM.TRIB.REG. di CATANZARO,

depositata il 27/04/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/07/2016 dal Consigliere Dott. LUCIO LUCIOTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato ZIMATORE che deposita n. 1 avviso

di ricevimento di avvenuta notifica e nel merito si riporta al

contenuto del ricorso e chiede l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 52 del 27 aprile 2010 la Commissione Tributaria Regionale della Calabria rigettava l’appello proposto dalla Riccelli s.r.l., come pure quello incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate, avverso la sentenza di primo grado che aveva a sua volta rigettato il ricorso della società contribuente avverso l’avviso di accertamento di maggiori ricavi ai fini IRAP ed IVA per l’anno di imposta 2005, emessa dall’Amministrazione finanziaria a seguito del rilevato scostamento tra quanto dichiarato dalla contribuente in relazione all’attività esercitata (di intonacatura, tinteggiatura, rivestimenti di muri) rispetto a quanto risultante dall’applicazione degli studi di settore di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 427 del 1993.

Nella predetta sentenza, per quanto ancora qui di interesse, i giudici di appello sostenevano che la società contribuente non aveva fornito, nè in sede amministrativa nè in quella contenziosa, elementi concreti idonei ad inficiare le risultanze degli studi di settore, essendosi limitata ad esporre considerazioni di carattere generale che pur tuttavia avevano indotto l’Amministrazione finanziaria, all’esito del contraddittorio, a ridurre le pretese tributarie di una percentuale poi non accettata dalla contribuente.

2. Ricorre per cassazione la società contribuente che deduce tre motivi, variamente articolati, cui replica l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente, deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 69 sexies, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 427 del 1993, sotto due diversi profili: a) per avere la CTR legittimato l’applicazione degli studi di settore nonostante l’insussistenza delle gravi incongruenze tra il reddito dichiarato e quello risultante dai predetti studi, nella specie inferiore al 10%-b) per avere confermato l’avviso di accertamento ancorchè lo stesso fosse basato solo ed esclusivamente sulle risultanze degli studi di settore, quindi, su presunzioni semplici non suffragate da ulteriori elementi probatori.

2. Tale ultimo profilo di censura è stato dedotto anche come violazione dell’art. 2729 cod. civ. nel secondo mezzo di impugnazione proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

3. I due motivi, che vanno esaminati congiuntamente per essere strettamente connessi tra loro e che – seppur non previsto, trattandosi di sentenza emessa in data 27 aprile 2010, successivamente all’abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c. (intervenuta ad opera della L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. “d”, con la decorrenza prevista nell’art. 58, comma 5), sono corredati da quesito di diritto analogo per entrambe le censure (così formulato: dica la Corte che vi è violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies – in relazione al primo motivo – e dell’art. 2729 c.c. – in relazione al secondo motivo nel caso in cui l’avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle entrate sia basato esclusivamente sulle risultanze degli studi di settore e lo scostamento tra l’importo dichiarato dal contribuente e l’importo accertato dall’Ufficio sia di live entità), sono infondati.

4. Le Sezioni unite di questa Corte nella pronuncia richiamata dalla stessa ricorrente (n. 26635 del 2009) hanno affermato il principio in base al quale il procedimento di accertamento standardizzato trova fondamento nell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, che consente l’adeguamento degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, determinando il passaggio dalla fase statica (gli standard come frutto dell’elaborazione statistica) alla fase dinamica dell’accertamento (l’applicazione degli standard al singolo destinatario dell’attività accertativa). Contraddittorio procedimentale il cui svolgimento nella specie è fatto incontestato avendone dato atto sia la società ricorrente nel ricorso, allorquando riferisce dell’invito a comparire ricevuto dall’Agenzia delle entrate (pag. 2 e nel terzo motivo, sub. 3c), sia la difesa erariale (pag. 2 e 4 del controricorso). sia la CTR nella sentenza impugnata. Lo svolgimento del contraddittorio ha dunque propiziato la formazione di un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sè considerati, ma, appunto, dalla valutazione delle controdeduzioni del contribuente cui essi sono applicati (in termini, Cass. n. 5146 del 2016, n. 17646 del 2014; n. 2223 del 2014; n. 11633 del 2013).

4.1. Nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, invero, nè l’Amministrazione finanziaria ha basato l’accertamento nè la CTR ne ha confermato la legittimità sulla base del mero scostamento tra il reddito dichiarato e quello desumibile dallo studio di settore applicato, avendo entrambi fatto riferimento a quanto era emerso nel corso del contraddittorio endoprocedimentale, come si desume dal contenuto dell’avviso di accertamento trascritto nel ricorso (pag. 15), da cui risulta che l’ufficio aveva ritenuto di ridurre la pretesa erariale di una percentuale pari al 30% in relazione all’elemento territoriale in cui opera la società, e dal contenuto della sentenza impugnata, che di detta riduzione, per effetto delle pur generiche considerazioni esposte dalla contribuente in sede di contraddittorio, dà comunque atto.

I giudici di appello. pertanto, si sono attenuti al principio di diritto più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel mero rilievo dello scostamento dai parametri, ma deve essere integrata (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio e sono state comunque valutate le osservazioni addotte dalla parte contribuente, solo così emergendo la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui suddetti parametri e la giustificabilità di un onere della prova contraria (ma senza alcuna limitazione di mezzi e di contenuto) a carico del contribuente (tra le tante, Cass. n. 27822 del 2013, n. 15633 del 2014).

5. Quanto alla gravità dello scostamento, che la ricorrente ritiene nella specie insussistente perchè inferiore al 10%, deve premettersi, in diritto, che l’accertamento induttivo fondato sul mero divario, a prescindere dalla sua gravità, tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto risultante dagli studi di settore è legittimo solo a decorrere dal 1 gennaio 2007. in base alla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 23, che non ha portata retroattiva, trattandosi di norma innovativa e non interpretativa, in quanto, con l’aggiunta di un inciso, ha soppresso il riferimento alle “gravi incongruenze”, prima operato tramite il rinvio recettizio al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-sexies, comma 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427 (in termini, Cass. 17 dicembre 2014, n. 26481; ord. 29 ottobre 2013, n. 24364). Di qui la conseguenza che, con riferimento ad annualità di imposta precedenti come nella specie. in cui l’accertamento riguarda l’anno 2005 l’amministrazione finanziaria non è legittimata a procedere all’accertamento induttivo, al di fuori delle ipotesi tipiche previste dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, allorchè si verifichi un mero scostamento non significativo tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore, ma solo quando sia ravvisata una grave incongruenza, nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva.

5.1. Ciò precisato, osserva il Collegio che nel caso qui vagliato la differenza tra l’importo dei ricavi dichiarati dalla società contribuente (Euro 1.140.318,00) e quello risultante dall’applicazione degli studi di settore (Euro 1.237.640,00) restituisce un valore di quasi centomila Euro che integra senz’altro il requisito della grave incongruenza di cui all’art. 62 sexies più volte citato.

5.2. E’ ben vero che la CTR ha affermato che i ricavi dichiarati non si discostino di molto da quelli calcolati con lo studio di settore, ma è anche vero che tale affermazione ha fatto solo ed esclusivamente ai fini del rigetto dell’appello incidentale proposto dall’Ufficio finanziario in relazione alla statuizione di primo grado sulla regolamentazione delle spese processuali e che. nell’esaminare nel merito le ragioni della società appellante, ha dato atto della necessità che il divario tra i ricavi dia luogo a gravi incongruenze, trascrivendo l’art. 62 sexies cit. e richiamando all’uopo la copiosa giurisprudenza di questa Corte, ma si è ben guardata dal trarne le conseguenze volute dalla società contribuente, di cui invece ha chiaramente disatteso le ragioni, implicitamente ritenendo grave quel divario.

6. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di motivazione sotto tre diversi profili.

6.1. Il primo, per omessa pronuncia della CTR sul difetto di motivazione dell’avviso di accertamento eccepito con riferimento alla mancata esposizione delle ragioni che avevano indotto l’Amministrazione finanziaria sia ad adottare il valore puntuale dei ricavi indicati dallo studio di settore rispetto al valore minimo previsto, sia a dichiarare non sufficienti le indicazioni fornite dalla ricorrente società.

6.2. Il secondo, per contraddittorietà della sentenza impugnata avendo la CTR, da un lato, confermato l’avviso di accertamento sul presupposto dell’esistenza delle gravi incongruenze fra i valori dichiarati e quelli attesi e, dall’altro, invece affermato che i ricavi dichiarati non si discostano molto da quelli calcolati con lo studio di settore.

6.3. Il terzo, infine, per contraddittorietà ed insufficienza della motivazione in relazione alla valutazione delle risultanze del contraddittorio svoltosi nella fase amministrativa, per avere la CTR dapprima affermato che la società contribuente non aveva fornito elementi concreti idonei ad inficiare le risultanze degli studi di settore, nonostante quelle stesse risultanze avessero indotto l’Amministrazione finanziaria a ridurre (del 30%) le pretese tributarie, e poi per non avere adeguatamente giustificato le ragioni che l’avevano indotta a ritenere generiche le osservazioni della contribuente.

7. Pare opportuno osservare che, nonostante nella rubrica del motivo si denunci il vizio di motivazione con riferimento a tutte le ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e cioè l’omessa motivazione congiuntamente all’insufficienza ed alla contraddittorietà della stessa, va esclusa la sua inammissibilità in quanto il motivo è stato sviluppato sotto tre profili, tra loro autonomi e diversi, in cui la ricorrente ha censurato soltanto l’omissione nel primo profilo e soltanto la contraddittorietà della motivazione nel secondo mentre nel terzo ha addotto differenti ragioni di contraddittorietà e di insufficienza motivazionale (arg. da Cass. S.U. n. 9100 del 2015).

8. Il primo profilo di censura (sub 3a del ricorso) è inammissibile, per difetto di autosufficienza, avendo la ricorrente del tutto omesso di riportare il valore puntuale dei ricavi indicati dallo studio di settore, il valore minimo previsto e le indicazioni fornite in sede di contraddittorio amministrativo.

8.1. E’ altresì inammissibile per difetto di decisività dei fatti dei quali lamenta l’omessa valutazione da parte della CTR e non ultimo perchè deduce al fine (pag. 17) un’omessa pronuncia su un’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento, che avrebbe dovuto dedurre come error in procedendo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

9. Il secondo profilo di censura (sub 3b del ricorso) è infondato per le ragioni già esposte al precedente par. 5.2.

10. Il terzo profilo di censura (sub 3c del ricorso) è inammissibile ed infondato perchè non risulta che siano stati gli elementi concreti indicati dalla contribuente – ma non trascritti nel ricorso, in violazione del principio di autosufficienza del medesimo (che è ragione di inammissibilità anche della censura di insufficienza della motivazione, pure dedotta) – ad indurre l’ufficio finanziario a ridurre le pretese tributarie, che invece, stando al contenuto dell’avviso di accertamento, a ciò sembra essersi determinato sulla base di considerazioni di carattere generale sull’elemento territoriale di svolgimento dell’attività societaria.

11. Conclusivamente, quindi, vanno dichiarati infondati il primo ed il secondo motivo di ricorso, nonchè il secondo profilo del terzo motivo (sub 3b del ricorso, di cui al precedente par. 9), inammissibili tutti gli altri.

12. In applicazione del principio della soccombenza la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo ai sensi del D.M. Giustizia n. 55 del 2014, nonchè al rimborso delle spese eventualmente sostenute dall’intimata e prenotate a debito.

PQM

La Corte rigetta il ricorso dichiara infondati il primo ed il secondo motivo di ricorso, nonchè il secondo profilo del terzo motivo, ed inammissibili tutti gli altri. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dall’intimata, che liquida in Euro 4.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 5 Sezione Civile, il 11 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2016

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