Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22413 del 06/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 06/09/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 06/09/2019), n.22413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21475-2018 proposto da:

Z.K., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato BARBARA CATTELAN;

(Ndr testo originale non comprensibile)

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO 80185690585, PROCURATORE GENERALE presso la

CORTE di CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 498/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 16/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO

FALABELLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Torino, pubblicata il 16 marzo 2018, con cui è stato respinto il gravame proposto da Z.K. nei confronti del Tribunale del capoluogo piemontese. Con quest’ultima pronuncia era stato negato che al ricorrente potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed era stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese. Il ricorrente ha depositato memoria.

Il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in folina semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi di ricorso si riassumono come segue.

Il primo oppone la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3, art. 27, comma 1 bis, D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6, e art. 16 dir. 2013/32/UE. L’istante si duole della violazione dei criteri legali previsti per la valutazione della credibilità del richiedente; rileva che la detta credibilità non possa essere esclusa sulla base di mere discordanze o contraddizioni su elementi secondari; lamenta, inoltre, che la Corte di merito abbia mancato di svolgere approfondimenti istruttori sulla situazione del paese di origine di esso istante.

Il secondo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 351 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g), art. 14, comma 1, lett. b) e art. 15 dir. 2013/32/UE.

Rileva il ricorrente che la Corte di appello aveva omesso di considerare che responsabili della persecuzione o del grave danno possano essere anche soggetti non statuali ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 6, comma 2; deduce, altresì, che nella fattispecie lo stesso ricorrente aveva riferito di non essersi recato alla polizia in quanto era sprovvisto di mezzi, mentre, di contro, i familiari della ragazza che aveva messo incinta avrebbero potuto farlo arrestare, avendo i medesimi disponibilità economiche.

Il terzo mezzo censura la sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Il ricorrente lamenta che il giudice distrettuale non abbia preso in considerazione la diffusa illegalità presente in Ghana, paese che era teatro di una situazione di emergenza sociale e civile che le forze governative e l’autorità giudiziaria non erano in grado di fronteggiare; l’istante si duole, inoltre, del fatto che la Corte dei merito abbia omesso di procedere a un giudizio comparativo tra le condizioni di vita del ricorrente nel paese di provenienza e in Italia.

2. – Reputa il Collegio che gli esposti motivi non siano accoglibili e che le considerazioni svolte dall’istante nella propria memoria non modifichino il giudizio di manifesta infondatezza espresso nella proposta ex art. 380 bis c.p.c..

La vicenda narrata dal ricorrente, riprodotta nella sentenza impugnata, è basata sul tentato suo avvelenamento da parte della seconda moglie del padre – proprietario di alcuni terreni, una parte dei quali erano stati oggetto di richiesta da parte dell’istante -, sulla successiva relazione dello stesso Z.K. con una donna, che rimaneva incinta, sulle percosse e minacce ricevute dai di lei fratelli e sul successivo ritorno del richiedente presso la madre, la quale gli aveva poi fornito il denaro per espatriare. La Corte di appello ha ravvisato plurime incongruenze nel detto racconto, che ha perciò reputato inverosimile: il giudice distrettuale ha diffusamente argomentato riguardo alle suddette contraddittorietà e ha poi precisato che esse non potevano in alcun modo attribuirsi alla mancata scolarizzazione dello stesso richiedente.

Questa Corte ha precisato che in tema di protezione internazionale, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, le lacune probatorie del racconto del richiedente asilo non comportano necessariamente inottemperanza al regime dell’onere della prova, potendo essere superate dalla valutazione che il giudice del merito è tenuto a compiere delle circostanze indicate alle lettere da a) ad e) della citata norma (Cass. 10 luglio 2014, n. 15782, e in precedenza Cass. 18 febbraio 2011, n. 4138, secondo cui ove il richiedente non abbia fornito prova di alcuni elementi rilevanti ai fini della decisione, le allegazioni dei fatti non suffragati da prova devono essere ritenuti comunque veritieri se ricorrano le richiamate condizioni).

Nel caso in esame il giudice del merito ha però motivatamente escluso che le dichiarazioni del richiedente potessero ritenersi coerenti e plausibili, come invece è richiesto dalla lett. c) dell’art. 3 cit., comma 5. Ne discende che rettamente il giudice del merito ha negato ad esse valore sul piano probatorio.

Nè l’istante può dolersi del giudizio formulato, in proposito, dalla Corte di merito, giacchè la valutazione di non credibilità del racconto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503). Tanto meno lo stesso ricorrente ha motivo di richiamare il principio per cui, nel quadro del detto giudizio, è improprio valorizzare mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento narrato (cfr. Cass. 14 novembre 2017, n. 26921), giacchè la sentenza impugnata dà conto di incongruenze che minano nella radice la plausibilità dei fatti su cui è incentrata la vicenda descritta.

Tale rilievo è evidentemente assorbente: esclusa, per le ragioni anzidette, la genuinità del racconto, la Corte di merito non aveva alcun motivo per riconoscere al ricorrente lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria di cui alle prime due lettere del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. Si rileva, in proposito, che la prima forma di tutela esige che si dia conto di una personalizzazione del pericolo di essere fatto oggetto di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica: ciò che nel caso in esame deve evidentemente escludersi. Con riguardo alle fattispecie tipizzate dall’art. 14, lett. a) e b), è necessario invece osservare che l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve pur sempre rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr.: Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass. 20 marzo 2014, n. 6503): il che, nel caso in esame va negato proprio ragione della mancanza di riscontri quanto a una vicenda personale che conferisca specificità e reale consistenza a un tale rischio. In tal senso, non assume decisività la deduzione, senz’altro corretta in diritto, ma per l’appunto ininfluente sulla sostanza della pronuncia, per cui i responsabili della persecuzione o del grave danno possano essere anche soggetti non statuali. E parimenti irrilevante si rivela, in tale prospettiva, il dato della mancata spendita, da parte del giudice, dei noti poteri di cooperazione istruttoria che devono trovar spazio nelle controversie in tema di protezione internazionale: non vi è difatti motivo di accertarsi di profili che interessano, in via generale, l’operato delle autorità pubbliche del paese di provenienza del richiedente se la vicenda da questi narrata rispetto alla quale assumerebbe importanza l’attività (o, l’inerzia, giusta il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. c)) di dette autorità sul piano della persecuzione, o del rischio del grave danno che dà titolo alla protezione sussidiaria – non possa reputarsi veritiera secondo i criteri di cui al D.Lgs. cit., art. 3, comma 5. In siffatta fattispecie una tale indagine si manifesta in altri termini inutile proprio in quanto il rischio prospettato dall’istante, siccome correlato a fatti non dimostrati, difetta di concretezza e non potrebbe comunque mai presentare il richiesto grado di personalizzazione.

Da disattendere sono, da ultimo, le doglianze sollevate con riguardo al tema della protezione umanitaria.

L’accertamento della vulnerabilità, rilevante per il riconoscimento della protezione umanitaria, va condotto prendendo in considerazione elementi legati alla vicenda personale del richiedente, apprezzata nella sua individualità e concretezza: diversamente si finirebbe per valorizzare la situazione del paese d’origine di detto soggetto in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455). La proposizione del ricorso nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae, del resto, all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197; in senso conforme: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336). Ciò posto, l’istante non si è mostrato in grado di superare l’affermazione della Corte di merito secondo cui era mancata una puntuale allegazione di “particolari rischi o pregiudizi” riferiti alla sua persona, e tanto vale ad escludere che la censura sulla protezione umanitaria sia ammissibile: vana risulta essere, in conseguenza, ogni discettazione sul grado di integrazione dello stesso richiedente in Italia.

3. – Nulla deve statuirsi in punto di spese processuali.

L’ammissione della parte ricorrente al gratuito -patrocinio determina l’insussistenza dei presupposti per il versamento dell’importo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, stante la prenotazione a debito in ragione dell’ammissione al predetto beneficio (Cass. 22 marzo 2017, n. 7368).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6′ Sezione Civile, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2019

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