Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22412 del 27/10/2011

Cassazione civile sez. III, 27/10/2011, (ud. 13/10/2011, dep. 27/10/2011), n.22412

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FILADORO Camillo – Presidente –

Dott. AMATUCCI Alfonso – rel. Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12543 – 2009 proposto da:

G.A., ITALKALI S.P.A. (OMISSIS) in persona del suo

Amministratore Delegato e legale rappresentante pro tempore Dott.

C.D., GA.RE., B.G.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PESCAGLIA 71, presso lo 2011

studio dell’avvocato FERRARA CARMELO FABRIZIO, 2254 rappresentati e

difesi dall’avvocato INFANTINO LORENZO SALVATORE giusta delega in

atti;

– ricorrenti –

contro

MILANO ASSICURAZIONI S.P.A. (OMISSIS) in persona del Procuratore

Dott. M.O., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

LEONE IV 99, presso lo studio dell’avvocato FERZI CARLO, che la

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

I.G., CA.RO., I.A.,

I.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 18/2009 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 24/01/2009, R.G.N. 225/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2011 dal Consigliere Dott. ALFONSO AMATUCCI;

udito l’Avvocato FABRIZIO FERRARA per delega;

udito l’Avvocato CARLO FERZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Per la morte di I.P., travolto nel (OMISSIS) da un blocco di roccia mentre lavorava nella miniera di (OMISSIS), il tribunale di Enna, con sentenza n. 9 del 2005, liquidò il danno non patrimoniale in Euro 109.200 al figlio C. (nato nel (OMISSIS)) e in Euro 101.500 a ciascuno degli altri due figli A. (nato nel (OMISSIS)) e G. (nata nel (OMISSIS)) e alla moglie C. R. (nata nel (OMISSIS)), condannando solidalmente al pagamento i convenuti, detratto l’importo di L. 35.000.000 versato dall’assicuratrice La Previdente (poi incorporata dalla Milano Assicurazioni s.p.a.) a seguito della condanna dei responsabili per omicidio colposo.

La Milano Assicurazioni fu condannata a tenere indenni i convenuti fino alla concorrenza di complessivi Euro 83.857,65, sul rilievo che il massimale per infortunato ascendeva a L. 200.00.000.

2. – Con sentenza n. 18 del 24.1.2009 la corte d’appello di Caltanissetta ha accolto l’appello dei responsabili “solo in punto di risarcimento del danno (di tipo) esistenziale”, che ha escluso, riducendo ad Euro 70.000 la somma dovuta a ciascuno dei danneggiati.

3. – Avverso la sentenza ricorrono per cassazione Italkali s.p.a., Ga.Re., G.A. e B.G. (quale erede di c.a.), affidandosi a quattro motivi, illustrati anche da memoria.

Resiste con controricorso la Milano Assicurazioni s.p.a., che ha depositato anche memoria illustrativa.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo è denunciata omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo in ordine alla quantificazione del danno morale subito dai congiunti per la morte del marito e del padre, riconosciuto determinabile nella misura di Euro 85.087,68 per ciascuno dei quattro danneggiati (considerato il concorso causale della stessa vittima per il 30%), ma liquidato in Euro 70.000 per difetto di appello incidentale dei danneggiati in ordine a tale minor somma riconosciuta dal tribunale.

1.1. – La censura è infondata.

Il motivato riferimento della corte al più diffuso dei criteri tabellari adottati per la liquidazione del tipo di danno in questione costituisce motivazione sufficiente a sorreggere la decisione, tanto più se si consideri che la determinazione quantitativa è stata effettuata in una somma inferiore (rispetto ai possibili due terzi) di quanto sarebbe spettato per danno morale al defunto in caso di invalidità totale.

Il profilo di censura relativo alla mancata personalizzazione non coglie nel segno per le medesime ragioni, avendo il danneggiato possibile motivo di doglianza quante volte il giudice si orienti immotivatamente verso il massimo del valori tabellari e non anche quando la liquidazione (per qualunque ragione) si attesti, come nella specie, intorno a valori medi.

Il fatto che sia stato liquidato lo stesso importo a figli di età diversa non è più significativo della mancata considerazione della differenza di quanto non sia sintomatico della notoria maggiore incidenza soggettiva della perdita del padre su ragazzi in età adolescenziale o appena superiore.

2. – Col secondo motivo sono dedotte violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., e artt. 1226, 2056, 2697, 2727 e 2728 c.c., per essere stato il danno liquidato benchè gli attori non avessero allegato alcun elemento teso a dimostrare l’entità del danno morale soggettivo asseritamente patito; allegazione in difetto della quale non potrebbe “procedersi alla quantificazione del citato danno” (così il quesito di diritto, a pagina 21 del ricorso).

2.1. – Il motivo è manifestamente infondato.

La circostanza che un marito e padre di due minori di 15 e 5 anni (e di un diciottenne) muoia per fatto imputabile a terzi è sufficiente a giustificare in sede risarcitoria la presunzione di danno morale soggettivo per i congiunti, nella specie tra l’altro liquidato dal giudice di primo grado in misura notevolmente inferiore ai massimi tabellari (come posto in rilievo dalla corte d’appello a pagina 24), a meno che siano prospettate straordinarie circostanze tali da indurre ad escluderlo o a fortemente ridimensionarlo.

Circostanze, peraltro, che in quanto estranee ai criteri di regolarità causale, vanno provate da chi le adduca come fatti ostativi ad una liquidazione da effettuarsi secondo i criteri ordinar.

3. – Col terzo, quarto e quinto motivo – denunciando violazione e falsa applicazione e gli artt. 1362, 1370 e 1917 c.c., nonchè motivazione omessa e contraddittoria su fatti controversi e decisivi – i ricorrenti si dolgono che la corte d’appello abbia ritenuto che il limite di massimale di L. 200.000.000 “per ogni infortunato” fosse applicabile anche al danno subito da più sopravvissuti del lavoratore infortunato che agissero iure proprio per il risarcimento da morte del congiunto. Sostengono, invece, che il limite di L. 200.000.000 avrebbe se mai dovuto operare per ciascuno dei superstiti danneggiati e che, del resto, se nessuno di loro fosse stato implicitamente considerato “infortunato” si sarebbe addirittura dovuta negare qualsiasi copertura assicurativa.

In ogni caso – affermano ancora – Italkal avrebbe dovuto essere tenuta interamente indenne ai sensi dell’art. 1, sub A, del contratto, concernente l’assicurazione della responsabilità civile verso terzi (RCT), per la quale il massimale per ogni persona lesa era di L. 1.000.000.000.

3.1. – I tre motivi, che possono congiuntamente esaminarsi per la connessione delle questioni poste, sono infondati.

Va preliminarmente chiarito che non sono applicabili al caso di specie i principi enunciati dapprima da Cass., n. 2653 del 2005, richiamata dai ricorrenti (“in tema di assicurazione obbligatoria ex L. n. 990 del 1969, gli stretti congiunti di una persona deceduta a seguito di incidente automobilistico, che agiscano iure proprio per il risarcimento del danno loro derivato dalla morte della vittima in ragione dello stretto rapporto di parentela che alla stessa li legava, prospettano la lesione di un diritto proprio derivato dallo stesso fatto che ha provocato la morte e ad esso casualmente collegato ex art. 1223 c.c., sicchè il limite del risarcimento non è, in tal caso, cumulativamente per tutti quello previsto per una sola persona danneggiata, ma, distintamente per ciascuno di loro, quello previsto per ciascuna persona danneggiata”) e poi dalle Sezioni unite che, con sentenza n. 15376 del 2009, hanno composto il contrasto affermando che “in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante da circolazione di veicoli e di natanti, relativamente a fatto antecedente all’1.5.1993, per persona danneggiata, ai sensi della L. n. 990 del 1969, art. 21, deve intendersi non solo la vittima diretta dell’incidente, ma anche i prossimi congiunti o gli aventi causa della stessa, così che i conseguenti danni non devono necessariamente essere soddisfatti tutti nell’ambito del massimale previsto per ogni singola persona, ma il limite del risarcimento è, distintamente per ciascun danno, quello previsto per ciascuna persona danneggiata, fermo nel complesso il massimale per singolo sinistro (cd. massimale catastrofale)”.

L’espressione “persona danneggiata” è, infatti, usata dalla L. n. 990 del 1969, art. 21, mentre nel caso di specie sì verte in tema di interpretazione di un contratto che, nella parte relativa alla “responsabilità civile verso prestatori di lavoro” (RCO), stabilisce “per gli infortuni da loro sofferti in conseguenza di reato …

commesso dall’assicurato stesso o da suo dipendente del quale egli debba rispondere ai sensi dell’art. 2049 c.c.,” fissa il massimale di “L. 1.000.000.000 per ogni sinistro con il limite di L. 200.000.000 per ogni infortunato”.

Ora, escluso che in siffatto contesto sia irragionevole che la corte d’appello abbia ritenuto che si vertesse nell’ipotesi concernente gli infortuni sofferti da un prestatore di lavoro (infatti deceduto), sotto il profilo della sufficienza e della non contraddittorieta della motivazione non appare censurabile neppure che abbia escluso che “infortunato” potesse considerarsi ciascuno dei congiunti del lavoratore (appunto solo lui) infortunato e, per l’infortunio, deceduto.

Fondatamente la società controricorrente rileva poi che il riferimento all’infortunato indica soltanto il limite della garanzia prestata dall’assicuratore al datore di lavoro e non già i legittimati a chiedere il risarcimento, sicchè non ha i pregio neppure l’argomento induttivo dei ricorrenti secondo il quale, se i congiunti non fossero stati anche “infortunati”, allora non avrebbe dovuto essere loro riconosciuto alcunchè.

Non è conclusivamente censurabile l’individuazione del significato del contratto effettuata dalla corte d’appello in sede ermeneutica con apprezzamento di fatto, evidentemente non reiterabile in questa sede ed immune dai vizi denunciati.

4. – Il ricorso è conclusivamente respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, che liquida in Euro 5.200, di cui 5.000 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Cosi deciso in Roma, il 13 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2011

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