Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22410 del 15/10/2020

Cassazione civile sez. II, 15/10/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 15/10/2020), n.22410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20636-2019 proposto da:

N.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 86, presso

lo studio dell’avvocato ANDREA MELUCCO, rappresentato e difeso

dall’avvocato SONIA RAIMONDI;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS) rappresentato e difeso ope legis

dall’AVVOCATURA GENERALE STATO;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il

23/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/07/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Bologna, con decreto pubblicato il 23 maggio 2019, respingeva il ricorso proposto da N.D., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il Tribunale rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che il racconto del richiedente non era credibile. Questi aveva raccontato di essere fuggito dal (OMISSIS) per timore di essere costretto a sposare la cognata e di prendersi una malattia denominata (OMISSIS) che aveva già ucciso il fratello. La narrazione circa i motivi che avevano costretto il richiedente all’espatrio era, infatti, troppo generica, priva di qualsivoglia dettaglio o circostanza che potesse dare un minimo di valore al racconto, nonchè piena di contraddizioni e di inesattezze.

Secondo il Tribunale, il ricorrente non aveva lasciato il proprio paese per ragioni di natura persecutoria e, dunque, non poteva riconoscersi la protezione richiesta, non essendoci alcun fondato rischio di atti persecutori in caso di rimpatrio, nè di condanna a morte o di esecuzione di una condanna già emessa o di tortura o di altra forma di trattamento inumano e degradante. Non ricorrevano, pertanto, neanche i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

Sulla base di fonti di conoscenza aggiornate, il (OMISSIS) non versava in una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato.

Quanto alla protezione umanitaria non emergevano ulteriori elementi di vulnerabilità che potessero essere positivamente valutati in favore del ricorrente e tantomeno i presupposti di cui al combinato disposto del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19 tali da far ritenere sussistenti le condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. In particolare, non rilevavano l’attestato di frequenza a corsi di lingua o lo svolgimento di attività di lavoro a tempo determinato.

3. N.D. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. ovvero dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 (vizio di omessa pronuncia su un capo della domanda o di motivazione apparente) in ordine all’inattendibilità del ricorrente.

La censura attiene al giudizio di non credibilità espresso dal Tribunale senza tener conto che dalle fonti emerge l’uso in (OMISSIS) di matrimoni forzati anche nei confronti degli uomini. Il ricorrente contesta anche il giudizio circa la non dimostrata pericolosità della malattia cosiddetta (OMISSIS).

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, lett. a) e c), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La censura si incentra nuovamente sul giudizio di inattendibilità del racconto senza l’attivazione dei poteri istruttori e di cooperazione previsti dalla norma citata senza la ricerca di fonti adeguate essenza una nuova audizione del richiedente.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286, art. 5, comma 6 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, nonchè D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, Art. 2 Cost. e art. 8 CEDU omessa motivazione del decreto su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5.

La censura si incentra sulla erronea esclusione della situazione di vulnerabilità effettuata dal tribunale senza tener conto della grave situazione di pericolo in cui richiedente rischierebbe di trovarsi nel paese di origine e del livello di inserimento sociale e lavorativo raggiunto dal medesimo in Italia.

A parere del ricorrente mancherebbe, nel provvedimento impugnato, il giudizio comparativo necessario ad accertare la condizione di vulnerabilità, presupposto per il riconoscimento della protezione umanitaria.

4. I tre motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

In particolare, quanto alla valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente, essa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ord. n. 3340 del 2019).

La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito.

Il Tribunale ha anche motivato sia in relazione alla situazione soggettiva del ricorrente sia in ordine alla situazione complessiva del (OMISSIS), sicchè è del tutto evidente che non vi è stata alcuna violazione di legge o omessa motivazione nell’accezione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Ne consegue che la censura si risolve in una richiesta di nuova valutazione dei medesimi fatti.

Il ricorrente, inoltre, deduce genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo alla sua vicenda personale ed alla situazione generale del paese di origine, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta quanto all’insicurezza del (OMISSIS) difforme da quella accertata nel giudizio di merito. Come si è detto il Tribunale ha esaminato, richiamando varie fonti di conoscenza, la situazione generale del paese di origine del ricorrente, precisando che, in base alle fonti, deve escludersi una situazione di violenza indiscriminata in conflitto armato.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del paese, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile (Cass. n. 14283/2019, a meno che la non credibilità investa il fatto stesso della provenienza da un dato Paese). Invece l’esercizio di poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva, in relazione alle fattispecie previste dal citato art. 14, lett. a) e b), si impone solo se le allegazioni di costui al riguardo siano specifiche e credibili, il che non è nella specie, per quanto già detto.

Inoltre, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, anche alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

5. In conclusione il ricorso è inammissibile. Nulla sulle spese per non aver svolto attività difensiva il Ministero intimato.

6. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2020

 

 

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