Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2241 del 01/02/2010
Cassazione civile sez. III, 01/02/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 01/02/2010), n.2241
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PREDEN Roberto – Presidente –
Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –
Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –
Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –
Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 3800/2009 proposto da:
DITTA DOLCE VITA DI F.A., in persona del titolare,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FOGLIANO 35, presso lo studio
dell’avvocato PIERETTI ALFREDO, rappresentata e difesa dall’avvocato
PANE CIRO, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
ITALIAN FASHION COMPANY SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del suo
legale rappresentante e liquidatore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA CARLO MIRABELLO 14, presso lo studio dell’avvocato
MENDICINI MARIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
NANNELLI ROBERTO, giusta procura speciale a margine del
controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 355/2008 del TRIBUNALE di FIRENZE, SEZIONE
DISTACCATA di EMPOLI, depositata il 10/11/2008;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
16/12/2009 dal Consigliere Relatore Dott. MASSERA Maurizio;
udito l’Avvocato Pane Ciro, difensore della ricorrente che si riporta
agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. SCARDACCIONE Eduardo
Vittorio che nulla osserva rispetto alla relazione scritta;
La Corte:
Letti gli atti depositati.
Fatto
OSSERVA
E’ stata depositata la seguente relazione:
1 – Con ricorso notificato il 9 febbraio 2009 la Ditta Dolce Vita di F.A. ha chiesto la cassazione della sentenza, notificata il 18 dicembre 2008, depositata in data 10 novembre 2008 dal Tribunale di Firenze – Sezione distaccata di Empoli, confermativa della sentenza del Giudice di Pace di Castelfiorentino, che l’aveva condannata a pagare Euro 1.700.000 (rectius: 1.700,00) oltre IVA in favore della Italian Fashion Company S.r.l. in liquidazione.
L’intimata ha resistito con controricorso.
2- I quattro motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366- bis c.p.c..
Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360 c.p.c., per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.
Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella dei 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione. In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.
Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).
3. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia con riferimento al vizio di ultrapetizione lamentato nell’atto d’appello ma non sottopone all’esame della Corte il momento di sintesi formulato secondo il paradigma sopra delineato.
Con il secondo motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
La violazione dell’art. 112 c.p.c. costituisce un error in procedendo che deve essere fatto valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (non del n. 3).
Inoltre il quesito finale implica necessariamente l’esame degli atti e, in particolare, delle domande proposte dalla parte risultata vittoriosa. Giova ricordare al riguardo che il Tribunale ha negato che la sentenza del Giudice di Pace fosse viziata di ultrapetizione sul rilievo che questi aveva accolto parzialmente le domanda e che l’opposta aveva addotto i fatti che giustificavano l’applicazione della penale. Con il terzo motivo la ricorrente ipotizza erronea interpretazione della sentenza di primo grado e vizio di motivazione circa un punto decisivo della controversia. Anche questa censura risulta priva del momento di sintesi già rilevato a proposito del primo motivo. Inoltre denuncia un vizio non suscettibile di esame in sede di legittimità.
Con il quarto motivo la ricorrente lamenta incongruità o illogicità della motivazione per mancata valutazione delle deposizioni testimoniali in ordine alla spiegata domanda riconvenzionale.
La censura è inammissibile per la stessa ragione (mancanza di quesito) esposta a proposito del primo e del terzo motivo.
E’ appena il caso di aggiungere che, al riguardo, il Tribunale ha fatto leva sul mancato espletamento (o, comunque) acquisizione della prova testimoniale che sarebbe stato necessario valutare.
La ricorrente sostanzialmente contesta questa affermazione ma, in ogni caso, si verterebbe, semmai, in tema di errore revocatorio.
4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti.
Le parti hanno presentato memorie e la ricorrente ha chiesto d’essere ascoltata in camera di consiglio;
Le argomentazioni addotte con la memoria dalla ricorrente non sono condivisibili e non scalfiscono i rilievi contenuti nella relazione circa l’inappropriata formulazione dei quesiti e il carattere fattuale delle censure;
5.- Ritenuto:
che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;
che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;
visti gli artt. 380-bis e 385 c.p.c..
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 700,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2010