Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22403 del 15/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 15/10/2020, (ud. 20/07/2020, dep. 15/10/2020), n.22403

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19169-2016 proposto da:

L.R., A.S., G.A., M.I.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 123,

presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO SPINOSA, che li rappresenta

e difende;

– ricorrenti –

contro

SOGEI – SOCIETA’ GENERALE d’INFORMATICA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

POMPEO MAGNO 23/A, presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO PROIA,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato SIMONE PIETRO

EMILIANI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 6635/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/01/2016, R. G. N. 3656/2011.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

– con sentenza in data 28 settembre 2015, la Corte d’Appello di Roma, confermando la decisione di primo grado, ha respinto l’appello proposto da L.R., A.S., G.A. e M.I., nei confronti della SOGEI S.p.A., avverso la sentenza che aveva accolto l’opposizione della società e revocato i decreti ingiuntivi concessi ai lavoratori in virtù del ricorso monitorio fondato su tre sentenze con le quali era stata dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra la società e i lavoratori, nonchè il ripristino del rapporto con le decorrenze indicate e con le mansioni svolte;

– in particolare, la Corte ha ritenuto che la mancata conferma in appello dei titoli posti a fondamento del giudizio monitorio inducesse a reputare infondata la pretesa vantata con il ricorso per decreto ingiuntivo in quanto attinente ad un periodo successivo privo del titolo fondante l’istanza monitoria;

– per la cassazione della sentenza propongono ricorso L.R., G.A., A.S. e M.I. affidandolo ad un motivo;

– resiste, con controricorso, la SOGEI S.p.A.;

– entrambe le parti hanno presentato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con l’unico articolato motivo di ricorso, si censura la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 336 e 112 c.p.c., in relazione al disposto degli artt. 1453,1456,1460 c.c., nonchè 1206 c.c. e artt. 2077, 2099 e 2103 c.c. deducendosi, in particolare, l’incompleta pronuncia sulla domanda da parte della Corte territoriale;

– quest’ultima, invero, ha ritenuto infondata la pretesa retributiva avanzata dai ricorrenti – e oggetto di procedimento monitorio – afferente al periodo agosto 2009/febbraio 2010, sul presupposto che la stessa, essendo successiva alla data di emissione delle sentenze (9 luglio 2009) che riconoscevano il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con diverse decorrenze ed essendo stata riformata in appello per non essere confermato il titolo posto a base del monitorio;

– la Corte ha ritenuto infatti che la domanda non potesse essere accolta in quanto attinente ad un periodo successivo, privo del titolo fondante l’istanza avanzata con il ricorso per decreto ingiuntivo;

– secondo parte ricorrente, tuttavia, essendo stato richiesto l’adempimento, si sarebbe dovuta applicare la disciplina degli artt. 1453 e 1460 c.c. con conseguente difetto di pronuncia su tutta la domanda avanzata;

– essa afferma che la situazione di mora della datrice deriverebbe, pacificamente, dal fatto di non aver consentito al debitore la possibilità di eseguire la prestazione offerta;

– orbene ritiene questa Corte che il motivo, così come formulato, debba reputarsi inammissibile;

– parte ricorrente, infatti, deduce di aver richiesto l’adempimento e che la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunziarsi sul punto dell’an (la retribuzione) e anche del quantum, relativo all’inquadramento contrattuale dei lavoratori, così violando le disposizioni normative indicate nel motivo di ricorso;

– è evidente, tuttavia, che non appare possibile stabilire se vi sia stato il lamentato difetto di pronunzia, atteso che non è noto se e come sia stata posta la relativa domanda e, pertanto, ci si trova di fronte ad una violazione del disposto di cui all’art. 366 c.p.c.;

– in particolare, hanno precisato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 34469 del 27/12/2019), non solo che sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure afferenti a domande di cui non vi sia compiuta riproduzione nel ricorso, ma anche quelle fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità;

– d’altra parte, è consolidato il principio secondo cui i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso (ex plurimis, Cass. n. 29093 del 13/11/2018);

– parte ricorrente non indica in alcun modo dove e quando avrebbe formulato4 la richiesta di adempimento e come, quindi, si sarebbe verificato il difetto di pronuncia lamentato in ricorso;

– la piana lettura della sentenza della Corte territoriale induce ad escludere, in assenza di puntuale allegazione di segno contrario da parte ricorrente, che vi fosse stata apposita istanza diretta a far valere l’inadempimento della società datrice a fronte della messa a disposizione da parte dei dipendenti delle proprie energie lavorative talchè è impedito al giudice di legittimità di valutare la dedotta omissione di pronunzia;

– alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, dalla parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater e comma 1 -bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 4000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 20 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2020

 

 

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