Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22401 del 27/10/2011

Cassazione civile sez. III, 27/10/2011, (ud. 28/09/2011, dep. 27/10/2011), n.22401

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – rel. Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20580/2009 proposto da:

COMUNE DI GENOVA (OMISSIS) in persona del Sindaco V.

M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14 A-

4, presso lo studio dell’avvocato PAFUNDI GABRIELE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MORIELLI ANNA giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO INTERNO in persona del Ministro pro tempore, PREFETTURA

GENOVA in persona del Prefetto p.t., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, da cui sono difesi per legge;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 761/2008 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 21/06/2008, R.G.N. 899/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/09/2011 dal Consigliere Dott. ANGELO SPIRITO;

udito l’Avvocato GABRIELE PAFUNDI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Comune di Genova, quale ente destinatario dei proventi devoluti a seguito di procedure sanzionatorie amministrative, citò in giudizio il Ministero dell’Interno, imputando alla Prefettura di Genova di avere colpevolmente ritardato la formazione dei ruoli e la notificazione delle cartelle esattoriali, con conseguente produzione di effetti estintivi, nonchè di aver proceduto allo sgravio totale, rinunciando ad esigere la riscossione coattiva nei confronti di tutti i debitori, benchè non avessero eccepito la prescrizione. Chiese, dunque, la condanna del Ministero a pagargli le somme corrispondenti all’ammontare totale degli sgravi.

Il Tribunale di Genova respinse la domanda, con sentenza poi confermata dalla Corte d’appello della stessa città. Propone ricorso per cassazione il Comune di Genova attraverso tre motivi.

Risponde con controricorso il Ministero dell’Interno. Il Ricorrente ha depositato memoria per l’udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il quesito annesso al primo motivo chiede di sapere se possa essere riconosciuta tutela risarcitoria aquiliana al diritto di credito del Comune, quale destinatario ex lege dei proventi delle sanzioni amministrative irrogate dalla Prefettura, laddove la riscossione delle somme non sia stata possibile per intervenuta prescrizione del credito sanzionatorio, conseguente alla mancata attivazione da parte del titolare del procedimento della procedura di riscossione nel termine quinquennale di legge, e laddove, una volta avviata tardivamente la procedura di riscossione, sia stato disposto dal titolare del procedimento uno sgravio generalizzato delle partite creditorie, a prescindere dalla proposizione da parte dei debitori dell’eccezione di prescrizione.

Il secondo motivo censura il vizio della motivazione della sentenza impugnata per non avere essa argomentato in ordine al riconoscimento della legittimazione attiva e processuale al creditore (e non al titolare del procedimento di riscossione) nei procedimenti di opposizione a cartella esattoriale.

Il quesito correlato al terzo motivo chiede di sapere se configuri illecito aquiliano il comportamento omissivo della Prefettura che non ha avviato nel termine prescrizionale di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 28, il procedimento di riscossione delle sanzioni amministrative, provocando la generalizzata prescrizione del credito del Comune, nonchè per avere, dopo la formazione dei ruoli e la notifica delle cartelle esattoriali, operato autonomamente lo sgravio di tutte le partite creditorie pendenti, a prescindere dalla proposizione, da parte dei debitori, dell’eccezione di prescrizione, senza coinvolgere nella decisione il Comune, titolare dei proventi delle sanzioni in argomento e gravato da oneri procedimentali per funzioni delegate dalla Prefettura stessa.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.

La difesa del Comune, come ha già fatto nel corso dei due gradi di merito, continua a definirsi creditore delle somme provenienti dal procedimento sanzionatorio amministrativo ed a definire il soggetto sanzionato come suo debitore. Bisogna, allora, rappresentarle (come hanno già fatto i giudici del merito) che l’ente territoriale in questione non ha natura imprenditoriale a fini di lucro e che il procedimento sanzionatorio disciplinato dalla L. n. 689 del 1981, non è finalizzato, appunto, ad assicurare la realizzazione di alcun credito all’ente stesso.

La pretesa, così come svolta dal Comune, può essere, infatti, inquadrata in quella particolare vicenda che giurisprudenza e dottrina definiscono come tutela risarcitoria da lesione del credito o da lesione dell’integrità del patrimonio, in cui possono rientrare diverse ipotesi comunque riconducibili ad attività di terzi che interferiscano nella mancata realizzazione di vantaggi economici collegati a posizioni contrattuali o, più generalmente, creditorie, procurando, appunto, una diminuzione patrimoniale.

Per ormai acquisita esegesi giurisprudenziale dell’art. 2043 c.c., (risalente alla fondamentale pronunzia di cui a Cass. n. 174 del 1971, resa nel c.d. “caso Meroni”) – il “danno ingiusto” suscettibile di risarcimento, secondo il paradigma della suddetta norma, è anche quello derivante dalla lesione esterna di un diritto di credito (abbandonata ormai da decenni la teoria che pretendeva la tutela stessa come dipendente solo dalla lesione di un diritto assoluto), da una lesione cioè, riferibile ad un terzo diverso dall’obbligato, il quale abbia impedito l’adempimento di quest’ultimo o abbia, comunque, pregiudicato l’esistenza di quel diritto.

Tuttavia, siffatta tutela presuppone che un credito esista e sia correlato ad un rapporto obbligatorio intercorrente tra creditore ed obbligato.

Circostanza, quest’ultima, che non è dato riscontrare nella fattispecie in esame, posto che, per sua stessa origine storica, l’obbligazione creditoria presuppone l’interrelazione giuridica tra il soggetto attivo (creditore) della prestazione dovuta e soggetto passivo (debitore) della stessa. Nel caso in trattazione siffatta interrelazione non esiste, in quanto il procedimento sanzionatorio amministrativo è diretto alla repressione (e, dunque, alla prevenzione) di condotte illecite (molte delle quali punite nel passato in via penale) commesse a danno della collettività e la sanzione pecuniaria inflitta non costituisce la prestazione che assoggetta il debitore al creditore, bensì la punizione alla quale viene assoggettato il trasgressore (nella specie, dei precetti del codice della strada). Così come sarebbe impensabile ritenere che le sanzioni pecuniarie penali costituiscano un debito del reo in favore dello Stato.

Nè rileva, rispetto a quanto finora argomentato, che il Comune sia il beneficiario finale delle somme riscosse all’esito del procedimento sanzionatorio e che l’ente stesso sia parte nel processo d’opposizione all’ordinanza ingiunzione. Questi aspetti si collegano al fatto che le somme riscosse debbano essere destinate a determinati fini che rientrano, appunto, nella sfera d’attribuzione del Comune e che al Comune stesso è demandato l’accertamento della trasgressione.

A questo risultato sono già pervenute le sentenze di merito rese nella vicenda. Tuttavia, con estrema puntualità, la sentenza d’appello s’è fatta carico di affrontare un aspetto ancora più approfondito della questione. Postasi al cospetto dei principi scaturenti dalla fondamentale Cass. S.U. n. 500 del 1999, è andata a verificare se, comunque, il comportamento attribuito dal Comune alla Prefettura possa essere ritenuto lesivo di un interesse giuridicamente rilevante, meritevole di tutela risarcitoria, così come il menzionato arresto ebbe a stabilire. Ne ha correttamente dedotto che quello rappresentato dal Comune è un interesse di mero fatto, non differenziato dagli interessi generali, diretto all’osservanza da parte di un altro soggetto di doveri la cui violazione non vulnera posizioni soggettive specificamente determinate, ma soltanto l’ordinamento, ivi compreso anche il dovere degli organi amministrativi di attenersi, nell’esercizio del potere, ai canoni della buona amministrazione.

In conclusione deve essere espresso il principio in ragione del quale:

“In tema di risarcimento da fatto illecito, il Comune non vanta un diritto di credito avente ad oggetto le somme riscosse o da riscuotere all’esito del procedimento per l’applicazione delle sanzioni amministrative di cui alla L. n. 689 del 1981, nè una posizione differenziata, giuridicamente protetta rispetto alle attività demandate al Prefetto nel corso del procedimento stesso. Ne consegue che non è tutelabile in via aquiliana la pretesa del Comune di essere risarcito dal Ministero dell’Interno per la perdita degli introiti pecuniari derivanti dalla riscossione delle sanzioni pecuniarie amministrative; perdite che l’ente stesso ritiene attribuibili a colpose omissioni o ritardi nell’adempimento dei compiti attribuiti al Prefetto nel corso del menzionato procedimento”.

Il ricorso deve essere, dunque, respinto, con condanna del ricorrente a rivalere la controparte delle spese sostenute nel giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 14200,00, di cui Euro 14000 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2011

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