Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22400 del 15/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 15/10/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 15/10/2020), n.22400

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 844/2019 proposto da:

ROSSETTO TRADE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NOMENTANA 257,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO LIMATOLA, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati CLAUDIO DAMOLI,

ANDREA DELL’OMARINO, GILDA PISA, LORENZO CANTONE, ENZO PISA, OSVALDO

CANTONE;

– ricorrente –

contro

P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA APOLLODORO 26,

presso lo studio dell’avvocato ALBERTO MARIA MANCONI, rappresentato

e difeso dall’avvocato ALBERTO RIGHI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 570/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 24/10/2018 R.G.N. 418/2018.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 570 del 2018, riformando la pronuncia di primo grado, ha annullato il licenziamento intimato il 14 settembre 2015 dalla società Rossetto Trade p.a. al dipendente P.L. e ha ordinato la reintegra dell’appellante nel posto di lavoro, con il riconoscimento di una indennità risarcitoria pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, detratto l’aliunde perceptum, oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

2. Risulta dalla sentenza impugnata che la datrice di lavoro aveva contestato al P., direttore di supermercato, di avere praticato sconti non autorizzati su prodotti ortofrutticoli e di avere consentito ed avvalorato una prassi in tal senso, comportante la “forzatura” del sistema di predisposizione automatica dei prezzi e del sistema di fatturazione.

3. Sempre dalla sentenza di appello risulta che in sede sommaria il lavoratore era stato reintegrato in servizio, ma il giudice della fase dell’opposizione, all’esito di una integrazione istruttoria, aveva ribaltato l’esito del giudizio sulla base del rilievo che la contestazione disciplinare atteneva a sconti praticati su merce integra e non su quella in via di deperimento e che, pur a fronte di una pratica comune dei direttori dei supermercati della catena di praticare sconti, ciò era vietato dalle direttive aziendali sui prodotti integri e di tale situazione il P. era consapevole.

4. La Corte di appello, accogliendo il reclamo proposto dal P., ha osservato che l’istruttoria aveva consentito di “dimostrare che gli sconti su prodotti ortofrutticoli in avanzato stato di maturazione o comunque non perfettamente integri fossero di fatto autorizzati dal datore di lavoro, il quale in questo ambito lasciava ai singoli punti vendita una certa autonomia” (pag. 7-8 sent.).

5. Per quanto riguardava la merce integra, la Corte di appello ha osservato che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice dell’opposizione, non vi era prova che il P. avesse effettuato direttamente o autorizzato o addirittura istruito il personale del proprio punto vendita ad operare sconti non autorizzati dalla direzione. Di tale circostanza addebitata dalla datrice di lavoro avevano riferito solo due testi, da giudicare scarsamente attendibili.

6. In conclusione, la Corte di appello di Venezia ha ritenuto non provato che il reclamante avesse effettuato direttamente o autorizzato sconti su prodotti integri, diversamente da quanto ritenuto dal giudice dell’opposizione.

7. Per la cassazione di tale sentenza la soc. Rossetto Trade ha proposto ricorso affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso P.L.. La società ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

8. Con il primo motivo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), consistente nella circostanza che presso il punto vendita diretto da P.L. gli sconti non autorizzati avvenissero mediante una “forzatura del sistema elettronico di prezzatura della merce”, predisposto a livello centrale dalla Direzione Centrale della società proprio al fine di evitare sconti non autorizzati. Tale “forzatura” avveniva precisamente in due modi: a) scrivendo irregolarmente a penna lo scontrino del prezzo della merce ortofrutticola in luogo dello scontrino emesso automaticamente dal sistema elettronico di pesatura/prezzatura; b) inserendo manualmente nelle fatture di vendita (per gli acquisti soggetti a fatturazione) la descrizione del prodotto e il prezzo.

Si deduce che tali modalità contrastavano con la procedura ordinaria, che prevede in questi casi il solo inserimento del codice del prodotto a cui è collegato automaticamente il prezzo determinato dalla Direzione Centrale della società ricorrente.

La ricorrente lamenta che tale “forzatura” costituisce fatto decisivo, prospettato in tutte le fasi del giudizio e non considerato nella sentenza impugnata, incentrata unicamente sul fatto che la merce venduta con una scontistica non autorizzata sarebbe stata deteriorata.

9. Con il secondo motivo si denuncia motivazione apparente per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella parte in cui la sentenza ha affermato che la presenza sulle bilance del reparto ortofrutta di tasti con prezzi ribassati ad un costo unitario di Euro 0,50 e di Euro 0,99 “poteva avere l’unico significato di consentire al punto vendita di applicare un prezzo unitario scontato anche a prescindere da una reimpostazione del prezzo per codice caricato nelle bilance della sede centrale”.

Si sostiene che è contrario a logica affermare che, se ci sono dei tasti preimpostati per concedere degli sconti quando la merce è in procinto di deteriorarsi o è in fase di avanzato stato di maturazione, si possa procedere comunque a praticare uno sconto senza utilizzarli.

10. Le censure, entrambe riconducibili al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sono infondate.

11. Le S.U. della Corte, con sentenza n. 8053 del 2014 hanno chiarito, con riguardo ai limiti della denuncia di omesso esame di una quaestio facti, che il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consente tale denuncia nei limiti dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

12. Orbene, innanzitutto va rilevato che il ricorso per cassazione non investe, con specifiche e puntuali censure, la sentenza nella parte in cui, riformando la pronuncia di primo grado, ha escluso che fosse stata fornita la prova che gli sconti praticati dall’odierno resistente avessero riguardato anche prodotti integri. Sul relativo accertamento si è formato il giudicato interno, rendendo insussistente il fatto ascritto nella contestazione concernente tale addebito.

13. Al riguardo, è pure significativo che nella stessa memoria ex art. 380 bis c.p.c., la società ricorrente abbia richiamato a sostegno dei propri assunti difensivi (v. pag. 15 memoria) la documentazione che rivelava l’applicazione, da parte del P., di prezzi unitari ben superiori (e non inferiori) a quelli preimpostati sulla bilancia per i prodotti in offerta, il che lascia intendere che l’addebito si riferisse principalmente alla vendita con prezzi scontati di prodotti ancora integri. Proprio la fondatezza di tale addebito, invece, è stata puntualmente esclusa dalla Corte di appello attraverso la disamina della prova testimoniale (v. punto 8 della sentenza impugnata).

14. Ne deriva che, una volta esclusa la prova che fossero stati posti in vendita con prezzi scontati prodotti integri, la restante parte dell’addebito verte sul mancato utilizzo dei tasti preimpostati sulla bilancia (condotta che parte ricorrente definisce, con enfasi terminologica, “forzatura” del sistema) per la vendita di prodotti non perfettamente integri, ossia in fase di più o meno avanzata maturazione o deperimento.

15. Sul punto, tuttavia, è infondata la censura di omesso esame di fatto decisivo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). La scontistica preimpostata sulla macchina prezzatrice è questione che la sentenza ha valutato, ritenendola circostanza non decisiva ai fini del giudizio.

16. La sentenza ha escluso la decisività del fatto accedendo alla tesi che il direttore del supermercato fosse munito di un margine di autonomia nella valutazione del grado di deperimento del prodotto in vendita, non occorrendo a tale fine una autorizzazione scritta della società, come emerso dalla prova testimoniale.

17. Ha altresì tratto argomenti di prova da indizi quale la circostanza che l’emissione di fatture prive di riferimento ad uno specifico codice (e dunque corrispondenti a vendite effettuate a prezzi diversi da quelli preimpostati in bilancia) costituiva una pratica perdurante da diversi anni senza che alcuno ne avesse segnalato l’anomalia e ciò non poteva ritenersi verosimile se non ammettendo che “si trattasse di una condotta in sè lecita, nel ricorrere di determinate circostanze, ovvero a fronte dell’opportunità di una riduzione del prezzo per far fronte all’imminente deterioramento del prodotto”.

18. Dunque, il fatto denunciato non può dirsi neppure omesso, essendo stato valutato in unione ad altri, e dello stesso non è possibile neppure estrapolarne la valenza probatoria dal coacervo degli elementi valorizzati dal giudice di appello.

19. La sentenza ha analizzato le prove testimoniali, distinguendo quelle ritenute (con giudizio non sindacabile in questa sede) attendibili da quelle che non lo erano, concludendo per l’esistenza di una prassi per cui, relativamente alla scontistica da applicare ai prodotti ortofrutticoli non perfettamente integri, era lasciato al direttore un margine di autonomia.

20. Giova pure evidenziare che il giudizio di insussistenza del fatto disciplinare ascritto trova la sua logica sintesi nel passaggio motivazionale della sentenza impugnata secondo cui “la merce di cui si discute è costituita da prodotti ortofrutticoli, tendenzialmente oggetto di veloce deperimento e per la quale è spesso difficile individuare il discrimine tra compiuta maturazione/avanzata maturazione/deterioramento che rende il prodotto non più vendibile, sicchè anche in considerazione di ciò risulta difficile sostenere che si sia acquisita al giudizio non solo la prova di effettuazione di sconti non autorizzati, ma anche la consapevolezza da parte degli operatori e nello specifico anche del direttore P. di avere posto in essere una condotta vietata dall’azienda” (pag. 9 sent.).

21. Il ricorso per cassazione, sotto l’apparente deduzione del vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio mira, in realtà, ad una inammissibile rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr. Cass. S.U. n. 34476 del 2019).

22. Quanto alla censura di “motivazione illogica”, va ribadito che in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. con modif. in L. n. 134 del 2012, è denunciabile in cassazione l’anomalia motivazionale che si concretizza nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, quale ipotesi che non rende percepibile l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, di conseguenza, non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. n. 12096 del 2018).

Non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. n. 23940 del 2017; S.U. n. 8053 del 2014).

Il suddetto obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 22598 del 2018).

23. Nessuna radicale contraddizione logica è ravvisabile nell’affermazione per cui la presenza di una scontistica preimpostata non esclude che possa esservene altra esercitabile in via autonoma dal direttore, in quanto implicitamente autorizzata o validata per prassi, in presenza di determinate condizioni di maturazione del prodotto, da valutare secondo un apprezzamento concreto.

24. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

25. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2020

 

 

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