Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 224 del 05/01/2011

Cassazione civile sez. II, 05/01/2011, (ud. 16/11/2010, dep. 05/01/2011), n.224

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12651-2005 proposto da:

M.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA G. PISANELLI 2, presso lo studio dell’avvocato MARIANI

MARCELLA, rappresentato e difeso dall’avvocato VECCHIO GIOVANNI

SISTO;

– ricorrente –

contro

D.C.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DOMENICO CUCCHIARI 46, presso lo studio dell’avvocato CARE’

GIUSEPPE NAZARENO, rappresentato e difeso dall’avvocato DRAGO

GERARDO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 211/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 01/04/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/11/2010 dal Consigliere Dott. MANNA Felice;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.C.L., proprietario di un appezzamento di terreno e di un fabbricato abitativo in agro del comune di (OMISSIS), conveniva davanti al Tribunale di Vibo Valentia (in riassunzione di un procedimento di nuova opera) M.G., proprietario di un fondo finitimo, per sentirlo condannare alla demolizione delle parti non a distanza legale dal confine di un fabbricato che quest’ultimo aveva costruito, nonchè al risarcimento dei danni.

Il convenuto contestava la violazione delle distanze, come previste dalle disposizioni integrative di cui allo strumento urbanistico del comune di Ricadi.

Il Tribunale accoglieva la domanda, ma condannava il convenuto al solo risarcimento dei danni per equivalente, quantificato in L. 12.740.000, giudicando che la reintegrazione in forma specifica, con demolizione della porzione del fabbricato non a distanza legale, avrebbe pregiudicato la stabilità complessiva della restante parte dell’edificio di proprietà (OMISSIS).

Impugnata da entrambe le parti, la decisione di primo grado era riformata dalla Corte d’appello di Catanzaro, che con sentenza dell’1.4.2004 riduceva il risarcimento per equivalente, ma nel contempo condannava il M. a demolire la parte del piano terra del fabbricato, nonchè la scala d’accesso ai piani superiori distanti dalla parete finestrata dell’edificio (OMISSIS) e dal confine, rispettivamente, meno di 10 e meno di 5 mt, in quanto realizzate in contrasto con il regolamento edilizio comunale.

In particolare, e per quanto ancora rileva in questo giudizio, la Corte d’appello riteneva illegittimo il bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti operato dal giudice di prime cure, lì dove questi aveva escluso il risarcimento in forma specifica, osservando che ciò non era consentito dall’art. 1178 c.c. (rectius, 1171), che non poneva alcun rapporto di alternatività tra i rimedi, di guisa che, domandati cumulativamente entrambi, il giudice doveva in primo luogo ordinare la rimozione dell’opera illegittimamente realizzata.

Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorre M. G., con tre motivi d’impugnazione.

La parte intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo il ricorrente deduce “omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”, nonchè “violazione e/o falsa applicazione della norma di diritto e di un principio metodologico”.

Sostiene al riguardo che dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che conformemente a quanto previsto dall’art. 2058 c.c., la facoltà di scelta tra la reintegrazione in forma specifica e il risarcimento per equivalente spetta al danneggiato, salvo le ipotesi di impossibilità o eccessiva onerosità della prima opzione, nel qual caso il giudice può disporre d’ufficio il solo risarcimento per equivalente.

Nello specifico, sostiene parte ricorrente, lo stesso c.t.u. ha concluso nel senso che la riduzione in pristino non è operabile, atteso che l’abbattimento delle opere non a distanza comporterebbe uno squilibrio con inidoneità statica del restante fabbricato.

1.1. – 11 motivo è infondato.

1.2. – Secondo il fermo e costante orientamento di questa Corte, l’art. 2058 c.c., comma 2, che prevede la possibilità di ordinare il risarcimento del danno per equivalente anzichè la reintegrazione in forma specifica, in caso di eccessiva onerosità di quest’ultima, non trova applicazione nelle azioni intese a far valere un diritto reale la cui tutela esige la rimozione del fatto lesivo, come quella diretta ad ottenere la riduzione in pristino per violazione delle norme sulle distanze, atteso il carattere assoluto del diritto leso (Cass. nn. 7124/91, 5113/99, 11744/03, 2398/09).

Non vi è ragione per discostarsi da tale consolidato indirizzo, in relazione al quale il motivo non offre spunti di ripensamento.

2. – Con la seconda censura si deduce la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e l’omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Sotto un primo profilo, il ricorrente deduce che la sentenza della Corte d’appello non ha considerato che secondo la costante giurisprudenza di legittimità ai fini della demolizione occorre considerare se le norme dello strumento urbanistico violate siano o non integrative dei codice civile, essendo consentita la riduzione in pristino solo in caso affermativo, che non ricorre nella specie.

Sotto altro aspetto, deduce che la violazione di norme non integrative del c.c. non soltanto esclude la possibilità della rimessione in pristino, ma altresì richiede la prova del danno reintegrabile per equivalente.

Nel caso di specie, il danno non solo non è stato provato, ma non poteva essere liquidato in via equitativa, mancando la prova della sua obiettiva esistenza. Esso non è in re ipsa, mancando un asservimento di fatto del fondo e un’obiettiva riduzione della sua amenità, comodità e tranquillità. La stessa sentenza impugnata conferma che non vi è prova sulla riduzione di aria, luce e vista, per cui manca qualsiasi riferimento al modo e alla ragione per cui si sarebbe verificato il pregiudizio, sicchè la disposta liquidazione equitativa è basata su affermazioni tautologiche, contraddittorie e comunque insufficienti.

2. – Il motivo è inammissibile.

2.1. – E’ orientamento costante (a confutazione del quale nulla argomenta la censura in esame) di questa Corte che le norme dei regolamenti comunali edilizi e i piani regolatori sono, per effetto del richiamo contenuto negli artt. 872 e 873 cod. civ., integrative delle norme del codice civile in materia di distanze tra costruzioni, sicchè il giudice deve applicare le richiamate norme locali indipendentemente da ogni attività assertiva o probatoria delle parti, acquisendone conoscenza, o attraverso la sua scienza personale o attraverso la collaborazione delle parti, o attraverso la richiesta di informazioni ai comuni (Cass. nn. 4372/02, 12561/02, 2563/02, 17692/09 e 14446/10).

2.2. – Per contro, la parte ricorrente che, come nella specie, neghi tale carattere del regolamento locale, ha l’onere di specificare e riprodurre nel ricorso le norme, tra quelle applicate dal giudice di merito, che siano state dettate per finalità diversa da quella di integrare le disposizioni civilistiche. In difetto, proprio in quanto la stessa parte nega la funzione integrativa del regolamento locale, non può più ritenersi operante il principio iura novit curia, con la conseguenza che occorre che il motivo, per il principio di autosufficienza, contenga sia l’allegazione specifica, sia la riproduzione completa del contenuto della disposizione applicata di cui si contesta la natura integrativa dell’art. 873 c.c..

2.2.1. – Nella specie, nulla di tutto ciò si legge nel ricorso, che si limita ad una deduzione affatto generica, che non soddisfa alcuno dei requisiti anzidetti per identificare ed apprezzare natura e funzione del regolamento di cui parte ricorrente lamenta l’applicazione in suo danno.

3. – Il terzo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, nonchè omessa e/o insufficiente motivazione, sostenendo che:

a) la sentenza è viziata perchè “non vi è alcuna motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), n. 4) e 5)”, e varie sarebbero le insufficienze della relazione del c.t.u. giacchè (1) il fabbricato (OMISSIS) non preclude la vista al fabbricato (OMISSIS);

e pertanto (2) “la valutazione effettuata dal c.t.u. è oltremodo eccessiva nel suo ammontare”; (3) i parametri utilizzati dal c.t.u.

per quantificare il danno sono eccessivi in rapporto all’epoca dei fatti ((OMISSIS)) e ai luoghi; (4) non vi è prova della provenienza dei parametri utilizzati dal c.t.u. e la quantificazione operata non ha riscontro probatorio. Conseguentemente, sia il Tribunale, sia la Corte non erano in possesso “di tutti gli elementi utili, anche solo indiziali, che dessero una adeguata prova di quanto asserito dal D. C.”. La distanza media della costruzione di proprietà (OMISSIS) dal confine è di mt. 8,30 – 8,50, e quindi, essendovi violazione della distanza solo per un metro e mezzo, la quantificazione del danno appare eccessiva;

b) alla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno la Corte d’appello ha erroneamente applicato interessi e rivalutazione monetaria, non richiesti dalla parte attrice.

3.1. – Il motivo è inammissibile quanto alla censura di cui alla lettera a) che precede – riqualificata ai sensi del solo n. 5 dell’art. 360 c.p.c., non essendo indicata alcuna norma di diritto violata o alcuna causa di nullità processuale in cui sarebbe incorso il giudizio d’appello -, e infondato in ordine alla doglianza sub b).

3.1.1. – Sotto il primo profilo, è sufficiente richiamare il costante indirizzo di questa Corte, in base al quale il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico -formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. S.U. n. 5802/98 e successive conformi tra cui, da ultimo, Cass. n. 15264/07). In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass. nn. 2272/07 e 14084/07).

3.1.2, – Sotto il secondo aspetto, deve rilevarsi che l’affermazione del ricorrente contrasta con l’altrettanto fermo orientamento per cui la rivalutazione monetaria e gli interessi costituiscono una componente dell’obbligazione di risarcimento del danno e possono essere riconosciuti dal giudice anche d’ufficio ed in grado di appello, pur se non specificamente richiesti, atteso che essi devono ritenersi compresi nell’originario petitum della domanda risarcitoria, ove non ne siano stati espressamente esclusi (Cass. nn. 12234/98, 13666/03 e 20943/09).

4. – In conclusione il ricorso va respinto.

5. – Nulla per le spese, state la mancata attività difensiva della parte intimata nel presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2011

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