Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22399 del 15/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 15/10/2020, (ud. 08/07/2020, dep. 15/10/2020), n.22399

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2540/2015 proposto da:

M.M.J., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA M.

PRESTINARI 13, presso lo studio dell’avvocato PAOLA RAMADORI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CHRISTINE MAYR;

– ricorrente –

contro

P.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 10,

presso lo studio dell’avvocato ENRICO DANTE, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato IVO WINKLER;

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE – GESTIONE EX

INPDAP, in persona del Presidente e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29,

presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso

dall’Avvocato FILIPPO MANGIAPANE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 7/2014 della CORTE D’APPELLO DI TRENTO SEZ.

DIST. DI BOLZANO, depositata il 05/07/2014 R.G.N. 103/2013.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

La Corte di Appello di Trento Sezione Staccata di Bolzano, con sentenza n. 7 del 5 luglio 2014, riformando in parte la sentenza di primo grado, ha attribuito a M.M.J., quale coniuge divorziata, la quota del 60% ed a P.C., quale coniuge superstite, la quota del 40% della pensione di reversibilità relativa ad R.O.;

la Corte d’appello ha ritenuto di modificare, nella misura del 10 per cento in favore della coniuge divorziata, la misura della ripartizione della pensione di reversibilità con riferimento alla valutazione del criterio della rispettiva durata dei matrimoni, posto che il primo era durato ventisette anni e solo tre il secondo;

avverso tale sentenza ricorre per Cassazione M.M.J., facendo valere due motivi di ricorso: 1) violazione e o falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 9, in quanto la Corte territoriale non avrebbe, ad avviso della ricorrente, posto concretamente a base del calcolo delle rispettive percentuali l’effettiva durata dei rispettivi matrimoni, applicando pertanto in modo errato il citato art. 9; 2) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione cerca un fatto controverso e decisivo per il giudizio che viene ravvisato nella circostanza che la Corte territoriale ha ritenuto che la quota di pensione di reversibilità sia una continuazione dell’assegno divorzile, mentre la legge attribuirebbe a tale assegno solo il ruolo di criterio integrativo rispetto al criterio decisivo della durata del matrimonio;

resiste, con controricorso e successiva memoria, P.C.;

propone controricorso l’INPS il quale rileva di non aver mai preso parte al primo grado del giudizio e di essere stato evocato solo nel giudizio di appello, nel corso del quale l’istituto aveva chiesto il rigetto della pretesa con eventuale riconoscimento della stessa solo a far data dal deposito della sentenza, nulla potendo essere opposto all’Inps per il periodo anteriore al passaggio in giudicato della decisione, titolo costitutivo del diritto controverso;

il ricorso per Cassazione risulta notificato anche alla Procura generale presso la Corte d’appello di Bolzano.

Diritto

CONSIDERATO

che:

in via preliminare, in relazione alle deduzioni svolte dall’INPS in ordine alla propria chiamata in giudizio solo in fase d’appello, va ricordato che costituisce orientamento prevalente quello secondo il quale la controversia tra l'”ex” coniuge e il coniuge superstite per l’accertamento della ripartizione – ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 3, come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 13 – del trattamento di reversibilità deve necessariamente svolgersi in contraddittorio con l’ente erogatore atteso che, essendo il coniuge divorziato al pari di quello superstite titolare di un autonomo diritto di natura previdenziale, l’accertamento concerne i presupposti affinchè l’ente assuma un’obbligazione autonoma, anche se nell’ambito di una erogazione già dovuta, nei confronti di un ulteriore soggetto (Cassazione 18 luglio 2005, n. 15111; n. 25220 del 2009; n. 8266 del 2020);

ciò premesso, va osservato che l’affermazione dell’Istituto circa la mancata partecipazione al primo grado del giudizio non emerge dalla sentenza impugnata ed anzi dal contenuto del controricorso proposto da P.C. si evince che il ricorso in primo grado fu notificato all’INPS che rimase contumace; nè lo stesso Istituto ha dato conto delle proprie affermazioni riportando anche in parte il contenuto degli atti richiamati ed allegando al controricorso la sentenza di primo grado e gli atti di causa dai quali si possa trovare conferma dei fatti denunciati;

pertanto, non vi sono le condizioni affinchè che questa Corte di legittimità possa ravvisare la violazione della regola dell’integrità del contraddittorio fissata dall’art. 102 c.p.c.;

il primo motivo è infondato;

si denuncia la violazione della L. n. 898 del 1979, art. 9, in ragione del fatto che la sentenza impugnata non avrebbe attribuito il giusto peso, nel determinare le quote della pensione di reversibilità, alla durata dei matrimoni rispettivamente intercorsi tra il signor R. e le signore M. e P.;

a questo proposito, va ricordato che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 149 del 1999, ha affermato che la mancata considerazione di qualsiasi correttivo nell’applicazione del criterio matematico di ripartizione renderebbe possibile, paradossalmente, che il coniuge superstite consegua una quota di pensione del tutto inadeguata alle più elementari esigenze di vita, mentre l’ex coniuge potrebbe conseguire una quota di pensione del tutto sproporzionata all’assegno in precedenza goduto, senza che il tribunale possa tener conto di altri criteri per ricondurre ad equità la situazione;

dunque, la Corte Costituzionale ha indicato la diversa interpretazione, già presente sia in giurisprudenza di legittimità che in dottrina, secondo la quale “la ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge superstite e l’ex coniuge deve essere disposta “tenendo conto” della durata dei rispettivi rapporti matrimoniali (L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 3). A questa espressione non può essere tuttavia attribuito un significato diverso da quello letterale: il giudice deve “tenere conto” dell’elemento temporale, la cui valutazione non può in nessun caso mancare; anzi a tale elemento può essere riconosciuto valore preponderante e il più delle volte decisivo, ma non sino a divenire esclusivo nell’apprezzamento del giudice, la cui valutazione non si riduce ad un mero calcolo aritmetico”;

la giurisprudenza di legittimità ha consolidato il principio secondo cui la ripartizione del trattamento di reversibilità, in caso di concorso fra coniuge divorziato e coniuge superstite, aventi entrambi i requisiti per la relativa pensione, deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei rispettivi matrimoni, anche ponderando (alla luce della sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 419 del 1999) ulteriori elementi, correlati alla finalità solidaristica che presiede al trattamento di reversibilità, da individuare facendo riferimento all’entità dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge ed alle condizioni economiche dei due, nonchè alla durata delle rispettive convivenze prematrimoniali. Non tutti tali elementi, peraltro, devono necessariamente concorrere nè essere valutati in egual misura, rientrando nell’ambito del prudente apprezzamento del giudice di merito la determinazione della loro rilevanza in concreto (cfr. fra le molte pronunce conformi di questa Corte Cass. civ., sezione 1, n. 18461 del 14 settembre 2004, n. 6272 del 30 marzo 2004, n. 26358 del 7 dicembre 2011; Cass. n. 16093 del 2012; 5628 del 2020);

la sentenza impugnata ha correttamente applicato tali principi nel determinare le quote rispettivamente spettanti alle odierne parti e ciò secondo il prudente apprezzamento delle concrete circostanze acquisite al processo; tale esercizio del potere giurisdizionale tipicamente attribuito al giudice del merito non è suscettibile di valutazione in sede di legittimità se non nell’ipotesi, qui non ricorrente, in cui incorra nel vizio di motivazione previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

il secondo motivo di ricorso è inammissibile;

si denuncia che la sentenza impugnata risulti fondata su motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria relativa al fatto, che si assume controverso e decisivo, che la sentenza abbia ritenuto che la funzione della quota di pensione di reversibilità sia la stessa in precedenza svolta dall’assegno divorzile, mentre la misura di tale assegno avrebbe solo una incidenza concorrente ed integrativa rispetto agli altri criteri e, quindi, recessiva rispetto al criterio della durata dei rispettivi matrimoni;

è evidente che la formulazione del motivo, incentrata sulla concreta interpretazione ed applicazione dei criteri legali del giudizio, è del tutto avulsa dai contenuti prescritti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; il testo riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis alla presente fattispecie, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;

quanto poi, alla denuncia di sostanziale carenza ed inadeguatezza della motivazione, va ricordato che la giurisprudenza di questa Corte di legittimità è ferma nel ritenere che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (per tutte vd. Cass. Sez. UU. Sentenza nn. 8053 ed 8054 del 07/04/2014; 25216/2014; 9253/2017; 27415/2018);

in definitiva, il ricorso va rigettato e le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo in favore delle parti controricorrenti.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore di P.C. e dell’INPS, delle spese del giudizio di legittimità liquidate, per ciascuna parte, in Euro 2.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2020

 

 

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