Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22398 del 05/08/2021

Cassazione civile sez. I, 05/08/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 05/08/2021), n.22398

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina Anna R. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

I.R., elettivamente domiciliato in Maglie, Corso Cavour, n.

38, presso lo studio dell’avv. Sergio Santese, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositato il 16/4/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/12/2020 dal Cons. Dott. PACILLI GIUSEPPINA ANNA ROSARIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 16 aprile il Tribunale di Lecce ha respinto la domanda di I.R., nativo del (OMISSIS), volta al riconoscimento della protezione internazionale o di quella umanitaria.

In estrema sintesi, il Tribunale pugliese ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato in favore del richiedente, non integralmente credibili le sue dichiarazioni e, comunque, i motivi, addotti a sostegno delle sue richieste, inidonei a consentirne l’accoglimento.

Avverso il descritto decreto I.R. ricorre per cassazione affidandosi a due motivi, mentre il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e dell’art. 4, comma 3 direttiva 2004/83/CE;

II) violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, e vizi della motivazione con riguardo al mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

2. Entrambi i motivi sono inammissibili.

Con il primo motivo il ricorrente assume che il tribunale non avrebbe rispettato il dovere di cooperazione istruttoria e non avrebbe valutato la documentazione allegata nel fascicolo di parte, da cui emerge che il richiedente lavora e abita in una casa concessagli in locazione mentre nel paese d’origine vivrebbe in condizioni di povertà, con conseguente rischio di non vivere un’esistenza libera e dignitosa.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce che la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe disancorata dalla documentazione prodotta.

Deve rilevarsi che il Tribunale leccese ha osservato che “i fatti narrati dal richiedente non attengono a persecuzioni per motivi di razza, nazionalità, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale ma piuttosto a timori e ragioni di carattere privatistico e, pertanto, non integrano gli estremi per il riconoscimento dello status di rifugiato”. Ha aggiunto che i fatti narrati non integravano neanche i presupposti per il riconoscimento della protezione D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. a) e b).

Il ricorrente, infatti, ha dichiarato di essere fuggito dal proprio Paese per motivi di povertà e di temere, in caso di rimpatrio, perché non ha nulla nel suo paese e vorrebbe un futuro migliore. E’ evidente che, in presenza di siffatte dichiarazioni, non era sussistente il dovere di cooperazione.

Difatti, in base ad un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice si concretizza in presenza di allegazioni del richiedente precise, complete, circostanziate e credibili, e non invece generiche, non personalizzate, stereotipate, approssimative e, a maggior ragione, non credibili. Compete insomma all’interessato innescare l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria attraverso – in primis – l’allegazione di situazioni sussumibili in quelle previste dalla normativa (vedi, per tutte: Cass. 12 giugno 2019, n. 15794). Nella specie, come si è detto, il Tribunale ha affermato che neppure sul piano delle allegazioni il ricorrente aveva indicato di versare in una situazione meritevole dell’invocata protezione, sicché nessun dovere di cooperazione può dirsi innescato.

Deve poi ricordarsi che questa Corte (n. 4009 del 20/03/2001 Rv. 544949) ha già avuto modo di affermare che, ai fini del sindacato di legittimità, in relazione alla censura di omesso esame di documenti è necessario che tra la documentazione, che si afferma non esaminata, e la soluzione data alla controversia dalla sentenza impugnata sussista un rapporto di causalità logico – giuridica tale da far ritenere, attraverso un giudizio di certezza, che detta documentazione – che il ricorrente ha l’onere di indicare esplicitamente nella sua consistenza, identità ed efficienza – possa comportare, se esaminata, una decisione diversa.

Tale onere non è stato adempiuto dal ricorrente, che non ha indicato specificamente la documentazione il cui esame non sarebbe stato effettuato dal giudice di merito, né la sua decisività al fine della disamina della domanda in questione.

2.1 Il Tribunale leccese poi – con incensurabile apprezzamento di fatto – ha spiegato le ragioni per le quali non ha riscontrato l’esistenza di condizioni di vulnerabilità idonee a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria, avendo rimarcato, conclusivamente, che non risultava documentata una sufficiente integrazione sul territorio dello Stato e non risultava fornita la prova dello svolgimento di attività lavorativa; né risultavano patologie di rilievo o situazioni familiari che potessero integrare profili di vulnerabilità in caso di rientro nel suo Paese.

Al cospetto di siffatte argomentazioni del ricorrente avrebbe dovuto specificamente indicare il documento da cui risultavano circostanze contrarie. Il che non è avvenuto, con conseguente inammissibilità della doglianza formulata.

3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di legittimità. Sussistono i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore contributo, così come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2021

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