Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22397 del 27/10/2011

Cassazione civile sez. VI, 27/10/2011, (ud. 05/10/2011, dep. 27/10/2011), n.22397

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato

COGLITORE EMANUELE, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato DOLCINI PIER GIUSEPPE, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

COOPERATIVA EDITORIALE GIORNALI ASSOCIATI CSPA (infra CEGA)

(OMISSIS) in persona del legale rappresentante pro-tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. BAFILE 5, presso lo studio

dell’avvocato FIORMONTE LUCA, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MARESI MICHELE, giusta mandato alle liti a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 968/2009 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del

26.5.09, depositata il 06/08/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito per la ricorrente l’Avvocato Carlo Albini (per delega avv.

Emanuele Coglitore) che si riporta agli scritti.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. ANTONIETTA

CARESTIA che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., regolarmente comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti:

“1. – B.V. ricorre, con atto notificato il 29.10.10, per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stato respinto il suo appello avverso la sentenza del Tribunale di Forlì del 19.11.04, di rigetto della sua domanda, dispiegata contro la Cooperativa Editoriale Giornalisti Associati a r.l., di risarcimento del danno da pubblicazione di articolo contenente le sue generalità in relazione ad un episodio di intossicazione alimentare dopo un pasto in un ristorante.

2. – Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio -ai sensi degli artt. 375, 376 e 380 bis cod. proc. civ., essendo oltretutto soggetto alla disciplina dell’art. 360 bis cod. proc. civ. (inserito dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, ett. a)) – per essere ivi dichiarato inanimissibile, per quanto appresso indicato.

3. – La ricorrente sviluppa tre motivi: un primo, di “violazione dell’art. 360, n. 3 per violazione o falsa applicazione della disposizione di cui all’art. 345 c.p.c.”, deducendo che non poteva qualificarsi domanda nuova – come invece fatto dai giudici di appello e rispetto a quella di pubblicazione senza previo consenso – quella fondata sulla violazione del diritto alla riservatezza; un secondo, di “omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, individuato appunto nella dedotta violazione del diritto alla riservatezza; un terzo, di “violazione dell’art. 360, n. 3 per violazione e falsa applicazione della L. n. 675 del 1996, art. 25″, per la sussistenza di un divieto o di una limitazione alla pubblicazione di notizie riguardanti la salute delle persone, anche prima dell’adozione del codice deontologico.

4. – Resiste con controricorso la Cooperativa Editoriale Giornalisti Associati a r.l., lamentando sia l’inammissibilità che l’infondatezza dei motivi di ricorso.

5. – I primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono sviluppati in violazione del principio di autosufficienza:

dinanzi alla chiara affermazione della corte di appello (pag. 7 della gravata sentenza), per la quale nell’atto di citazione era stata addotta, quale fatto costitutivo della pretesa, la lesione del diritto alla riservatezza consistente esclusivamente nell’omesso previo consenso del diretto interessato, nonchè a quella (pag. 8) della mancata deduzione del mancato rispetto, da parte del giornalista, di uno o più degli altri parametri per l’esercizio del diritto di cronaca (ad es. la pertinenza), era onere della ricorrente quello di riportare integralmente i passaggi degli atti del giudizio di primo grado in cui invece a suo dire tali specifici aspetti erano stati addotti e posti a fondamento di analitiche richieste di risarcimento.

Al contrario, la ricorrente si limita (pag. 7 del ricorso) a riportare sei righe dell’atto introduttivo di lite, dal tenore assai generico per il carattere onnicomprensivo e quasi ellittico del riferimento ivi contenuto al diritto alla riservatezza, senza indicare la sede in cui essi, all’interno dell’atto introduttivo, si trovano, chiaramente indicati quali causa petendi diversa dalla sola espressamente indicata come azionata, cioè la pubblicazione senza il previo consenso: infatti, quanto prospettato nel tenore testuale di dette sei righe non fonda affatto una specifica lesione dei canoni di pertinenza e degli altri poi sicuramente sviluppati in secondo grado (evidentemente proprio dopo il rilievo, da parte del primo giudice, dell’omessa deduzione di tali ben più pregnanti profili). A questa Corte di legittimità è così precluso l’esame della questione, in dipendenza della concreta formulazione del ricorso; e tanto esime dall’ulteriore rilievo dei profili di inammissibilità dei motivi, del primo in ordine all’addotta violazione della norma processuale dell’art. 345 cod. proc. civ. come generica violazione di legge e del secondo per incongruente riferimento all’omessa disamina di una questione che era stata ritenuta come non mai ritualmente prospettata in primo grado.

6. – Del pari inammissibile è il terzo motivo: la parte, stavolta, non indica neppure – e tanto meno riproduce o trascrive i relativi passaggi – in quale sede processuale nei gradi di merito avrebbe sollevato la questione, così impedendo a questa Corte di verificare che non si tratti di una questione nuova ed in quali termini, se correttamente di quella investita, la avrebbe pretermessa o malamente affrontata la gravata sentenza.

7. – In conclusione, si propone la declaratoria, di inammissibilità del ricorso”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. Non sono state presentate conclusioni scritte; tuttavia, tanto la ricorrente che la controricorrente hanno presentato memoria ai sensi del terzo comma dell’art. 380 bis cod. proc. civ. ed i loro difensori sono comparsi in camera di consiglio per essere sentiti.

3. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, ritiene il Collegio di dovere fare proprio il contenuto della sopra trascritta relazione, visto che le repliche alla stessa, contenute nella memoria depositata dalla ricorrente, benchè esprimano la soggettiva opinione della parte in ordine ai vizi motivazionali in cui sarebbe incorso il giudice a quo, non giustificano il superamento delle considerazioni svolte nella relazione medesima. Infatti, del tutto assorbente è la valutazione del principio di autosufficienza, che questa Corte ritiene applicabile anche dopo la riforma di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, come reso manifesto dalla consolidata giurisprudenza formatasi successivamente, che ha anzi individuato in quella una sorta di codificazione o positivo riconoscimento del principio stesso. Alla stregua di quello, va confermata, in ordine ai primi due motivi di ricorso, la valutazione – operata dal relatore – di genericità ed insufficienza delle sole sei righe dell’atto di citazione, nelle quali parte ricorrente reputa essere dispiegata anche l’ulteriore causa petendi ritenuta invece nuova dalla Corte di appello; e va pure confermata, avendo del resto parte ricorrente ammesso che è mancata la trascrizione dei passaggi in cui la questione era stata eccepita, la valutazione di violazione del principio di autosufficienza in ordine al terzo motivo.

Pertanto, ai sensi degli artt. 380 bis e 385 cod. proc. civ., il ricorso va dichiarato inammissibile; e le spese del giudizio di legittimità conseguono, secondo la liquidazione reputata equa come in dispositivo, alla soccombenza di parte ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna V. B. al pagamento, in favore della Cooperativa Editoriale Giornalisti Associati cspa, in pers. del leg. rappr.nte p.t., delle spese di lite del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 5 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2011

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