Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22390 del 15/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 15/10/2020, (ud. 07/07/2020, dep. 15/10/2020), n.22390

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3564/2019 proposto da:

G.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA,

71, presso lo studio dell’avvocato WALTER FELICIANI, rappresentata e

difesa dagli avvocati MARIO PINELLI, DANIELE PROVINCIALI;

– ricorrente –

contro

ASUR MARCHE – AREA VASTA (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 117/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 17/07/2018 r.g.n. 44/2017;

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Ancona ha confermato la sentenza del Tribunale di rigetto della domanda proposta da G.B. volta ad ottenere il rimborso delle spese sostenute per cure di altissima specializzazione, non reperibili in Italia ai sensi del D.M. 3 ottobre 1989, somministrate presso l’Istituto pubblico di Microchirurgia dell’occhio dell’Accademia (OMISSIS), in quanto affetta dalla malattia rara di Stargardt.

Secondo la Corte anche la CTU svolta in appello aveva confermato che non vi erano evidenze scientifiche che documentassero un qualche riscontro positivo o negativo a seguito dei trattamenti effettuati presso la clinica russa.

La Corte territoriale ha osservato, inoltre, che la terapia somministrata a (OMISSIS) si fondava su ipotesi scientifiche datate e scientificamente obsolete e che non era contestabile seriamente che la valutazione clinica attuale della ricorrente, qualificata dai CTU come terminale, fosse sostanzialmente sovrapponibile a quella in cui si trovava la G. nell’ultima fase del trattamento eseguito all’estero ((OMISSIS)).

Ha rilevato, infine, con riferimento alla circostanza che l’autorità sanitaria aveva concesso la provvidenza per oltre 20 anni, che oggetto del processo era l’accertamento del diritto della ricorrente a tale forma di assistenza e non la legittimità del provvedimento di diniego dell’assistenza o le ragioni che avevano indotto l’autorità sanitaria a negare una provvidenza concessa per oltre 20 anni.

2. Avverso la sentenza ricorre la G. con 5 motivi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.. L’Asur Marche è rimasta intimata. La Procura generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

3. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 441 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 157 c.p.c., comma 2 e art. 196 c.p.c., in tema di norme sul tempo di deposito del parere peritale e sulla rinnovazione della CTU.

Deduce che la CTU era stata depositata fuori termine il 6/2/2018; che la Corte ne aveva disposto la rinnovazione con ordinanza del 15/2/2018 e che, tuttavia, senza revocare l’ordinanza di rinnovazione, la Corte aveva utilizzato la CTU già depositata sebbene fosse irrimediabilmente nulla.

Il motivo è infondato atteso che l’inosservanza, da parte del consulente tecnico d’ufficio, del termine giudizialmente assegnatogli per il deposito della consulenza non comporta di regola nullità non prevista da alcuna norma (cfr Cass. 6195/2014, n. 10157/2010, n. 22708/2010.). Va rilevato, inoltre, che la ricorrente neppure deduce alcun effettivo e concreto pregiudizio che le sarebbe derivato dal ritardo e che la Corte ha implicitamente revocato l’ordinanza con cui aveva disposto la rinnovazione, e ciò in assenza di alcuna preclusione non rientrando un tale provvedimento tra le ordinanze non modificabili o revocabili ex art. 177 c.p.c..

4. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia nullità, ex art. 360 c.p.c., n. 4, della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c. e art. 2697 c.c., per omessa pronuncia in ordine alla domanda relativa al regolamento dell’onere della prova. Osserva che la Corte aveva posto a carico della ricorrente l’onere di provare l’efficacia della terapia dovendo,invece, ella solo dimostrare l’erroneità delle valutazioni diagnostiche sulla cui base la Commissione aveva negato il rimborso. Deduce che l’efficacia delle cure doveva ritenersi già acclarata considerato che era stata ammessa al beneficio per oltre 20 anni; cha a distanza di quasi 30 anni non era divenuta cieca sebbene secondo la letteratura scientifica tale malattia conduceva alla cecità al massimo in un decennio; che non era malata terminale, contrariamente a quanto affermato dal Dott. M., dell’ospedale di (OMISSIS), avendo lo stesso CTU accertato che essa aveva letto, sia pure con difficoltà, la riga dell’ottotipo corrispondenza a 2/10; che lo stesso giudice di primo grado aveva potuto rendersi conto in udienza che era ancora ben lontana dalla cecità totale e che, non avendo fatto ricorso ad altre terapie, era provata l’efficacia della terapia eseguita a (OMISSIS).

Il motivo è infondato. Premesso che la censura di nullità in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, non riguarda il criterio di ripartizione dell’onere della prova, va, inoltre, precisato che un’autonoma questione di malgoverno dell’art. 2697 c.c., può porsi soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece ove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (cfr. Cass. n. 15107/2013, n. 13395/2018).

Nella specie la Corte territoriale non ha in alcun modo violato la norma in esame ponendo a carico di parte ricorrente l’onere probatorio, ma ha ritenuto che non fosse stata accertata l’efficacia della terapia svolta a (OMISSIS) e l’assenza di tecniche di alta specializzazione praticate nel centro russo e che dunque la domanda fosse infondata nel merito.

5. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia l’omesso esame,in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, di fatti decisivi con riferimento ai quesiti a chiarimento chiesti dal CTP a cui i CCTTUU non avevano dato risposta o essa era lacunosa. La Corte si era adeguata alle consulenze in violazione dell’obbligo di motivazione.

Anche tale motivo è infondato. L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (conv. con L. n. 134 del 2012), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione che è relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel quale paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. n. 14802 del 2017).

La Corte territoriale manifesta, comunque, che le osservazioni del CTP erano state esaminate dando atto che le conclusioni dei CCTTUU erano state assunte nel contraddittorio con i CTP.

6. Con il quarto motivo si denuncia violazione D.M. 3 novembre 1989, in attuazione della L. n. 595 del 1985, art. 3, comma 5 e D.Lgs. n. 502 del 1992. La Corte ha omesso di accertare la sussistenza dei presupposti indicati nella normativa.

Rileva che la commissione aveva rigettato la domanda in quanto, “considerando lo stadio evoluto della malattia”, non era utile la terapia all’estero; che tale affermazione era illegittima ed errata in quanto, a prescindere dall’arresto del decorso della malattia, l’adeguatezza della cura sussisteva anche in caso di cure palliative o di un certo grado di miglioramento sia pure temporaneo; la cura era stata negata senza fornire alcuna alternativa o centri di assistenza in Italia e il centro di (OMISSIS) era di alta specializzazione considerato che la stessa ASL aveva autorizzato la ricorrente per 25 anni.

7. Con il quinto motivo denuncia omessa esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti per non aver indicato le strutture nazionali capaci di erogare la stessa prestazione.

8. I due motivi, congiuntamente esaminati stante la loro connessione, sono infondati.

La L. 23 ottobre 1985, n. 595 (recante “Norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario triennale 1986-88”) prevede all’art. 3, comma 5: “Con decreto del Ministro della sanità, sentito il Consiglio sanitario nazionale, previo parere del Consiglio superiore di sanità, sono previsti i criteri di fruizione, in forma indiretta, di prestazioni assistenziali presso centri di altissima specializzazione all’estero in favore di cittadini italiani residenti in Italia, per prestazioni che non siano ottenibili nel nostro Paese tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico. Con lo stesso decreto sono stabiliti i limiti e le modalità per il concorso nella spesa relativa a carico dei bilanci delle singole unità sanitarie locali. Non può far carico al fondo sanitario nazionale la concessione di concorsi nelle spese di carattere non strettamente sanitario”.

Il D.M. 3 novembre 1989, adottato in esecuzione della delega, fissa (art. 2) le tipologie delle prestazioni erogabili, precisando che devono possedere “specifiche professionalità del personale, non comuni procedure tecniche o curative o attrezzature ad avanzata tecnologia” e non debbono essere “ottenibili tempestivamente o adeguatamente presso i presidi e i servizi di alta specialità italiani”, specificando che “considerata prestazione non ottenibile tempestivamente in Italia la prestazione per la cui erogazione le strutture pubbliche o convenzionate con il servizio sanitario nazionale richiedono un periodo di attesa incompatibile con l’esigenza di assicurare con immediatezza la prestazione stessa, ossia quando il periodo di attesa comprometterebbe gravemente lo stato di salute dell’assistito ovvero precluderebbe la possibilità dell’intervento o delle cure”; delinea (art. 5) la definizione di “centro di altissima specializzazione” nella “struttura estera, notoriamente riconosciuta in Italia, che sia in grado di assicurare prestazioni sanitarie di altissima specializzazione e che possegga caratteristiche superiori paragonate a standard, criteri e definizioni propri dell’ordinamento sanitario italiano”.

9. Le caratteristiche di cui sopra sono state escluse dalle due CTU svolte in primo grado ed in appello.

In particolare la Corte ha rilevato che non vi erano evidenze scientifiche che documentassero un qualche riscontro positivo o negativo a seguito dei trattamenti effettuati presso la clinica russa; che la terapia somministrata a (OMISSIS) si fondava su ipotesi scientifiche datate e scientificamente obsolete e che non era contestabile seriamente che la valutazione clinica attuale della

ricorrente, qualificata dai CTU come terminale, fosse sostanzialmente

sovrapponibile a quella in cui si trovava la G. nell’ultima fase del trattamento eseguito all’estero ((OMISSIS))

La Corte ha dunque escluso che il centro di (OMISSIS) fosse di alta specializzazione “la terapia somministrata a (OMISSIS) si fondava su ipotesi scientifiche datate e scientificamente obsolete”, e ne ha escluso l’efficacia terapeutica osservando che,pur muovendo da un concetto di idoneità del trattamento inteso in senso ampio, era pur sempre necessario che il trattamento fosse di concreta utilità, circostanza che nella specie non risultava affatto provata.

10. Nel ricorso si è poi sottolineato che la G. non era pervenuta ad una cecità totale a distanza di quasi trenta anni sebbene, in base alla letteratura scientifica, a tale situazione si perviene dopo circa 10 anni; che non era malata terminale, contrariamente a quanto affermato dal Dott. M. dell’ospedale di (OMISSIS), avendo lo stesso CTU accertato che essa aveva letto, sia pure con difficoltà, la riga dell’ottotipo corrispondenza a 2/10; che lo stesso giudice di primo grado aveva potuto rendersi conto in udienza che la G. era ancora ben lontana dalla cecità totale e che, non avendo fatto ricorso ad altre terapie, era provata l’efficacia della terapia eseguita a (OMISSIS).

11. A riguardo va rilevato che la ricorrente oppone alle valutazioni tecniche dei CTU accolte dalla Corte, le proprie diverse conclusioni manifestando in definitiva un mero dissenso diagnostico. Costituisce principio affermato più volte da questa Corte (Cfr ord. n. 1652/2012; ord. n. 22707/2009; sent. N. 9988/2009) che “in materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute dell’assicurato, il difetto di motivazione, denunciabile in cassazione, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali secondo le predette nozioni non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura anzidetta costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale traducendosi, quindi, in un’inammissibile critica del convincimento del giudice”.

Nella specie la ricorrente si è limitata ad invocare una diversa valutazione scientifica delle prove raccolte senza evidenziare lacune negli accertamenti svolti o eventuali affermazioni illogiche o scientificamente errate.

La Corte ha, comunque, esaminato la questione rilevando che “la CTP Ga., infatti, contrasta le conclusioni dei CTU pescando tra le diverse certificazioni in atti solo quelle che misurano il visus in modo conveniente alla propria tesi. Ma come rilevato dai CCTTUU la notevole variabilità anche soggettiva di queste misurazioni, ne impone l’esame complessivo e, a tale stregua, la condizione attuale del visus, inferiore ad 1/20 in entrambi gli occhi, non appare sostanzialmente divergente da quella che era nel (OMISSIS), quando l’istante fu visitata dal Dott. M.”.

10. Le conclusioni di cui sopra hanno indotto la Corte a non esaminare gli altri requisiti quali la sussistenza di un centro di alta specializzazione in Italia già avendo accertato la mancanza degli altri presupposti previsti dalla normativa per ottenere il rimborso delle spese sanitarie sostenute all’estero.

11. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato. Non deve provvedersi sulla liquidazione delle spese non avendo la controricorrente svolto attività difensiva. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2020

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