Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22390 del 05/08/2021

Cassazione civile sez. VI, 05/08/2021, (ud. 16/02/2021, dep. 05/08/2021), n.22390

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20609-2019 proposto da:

O&M GREEN SERVICE SOCIETA’ COOPERATIVA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato MATTEO MORICHI;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO n. 5/2017 di (OMISSIS) SRL, in persona dei curatori

fallimentari pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA C.

COLOMBO 436, presso lo studio dell’avvocato BIANCA MARIA CARUSO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIANPAOLO SICURO;

– controricorrente –

avverso il decreto n. R.G. 1316/2019 del TRIBUNALE di ANCONA,

depositato il 24/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 16/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FALABELLA

MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – O & M Green Service soc. coop. proponeva ricorso in opposizione allo stato passivo del fallimento (OMISSIS) s.r.l.: il giudice delegato, infatti, aveva integralmente escluso il credito da essa insinuato per Euro 81.624,28.

Il Tribunale di Ancona accoglieva parzialmente l’opposizione ammettendo in via chirografaria il credito di Euro 12.738,89 e, sempre in chirografo, ma con riserva, l’ulteriore credito di Euro 18.300,00. Il giudice dell’opposizione osservava che l’insinuazione al passivo risultava documentata in modo insoddisfacente e che gran parte delle somme richieste erano state pagate dalla società in bonis o comunque regolate da rapporti di compensazione; dava atto di come fosse stato accertata giudizialmente, con sentenza appellata, la compensabilità di un credito di (OMISSIS) nei confronti dell’opponente per il nominato importo di Euro 18.300,00: credito che veniva ammesso – come accennato – con riserva. Negava potersi riconoscere il privilegio ex art. 2751 bis c.c., n. 5, dal momento che, sulla scorta della documentazione prodotta, doveva escludersi che la società opponente fosse da qualificare impresa a mutualità prevalente.

2. – O & M Green Service ricorre per cassazione contro il decreto del Tribunale di Ancona, reso in data 24 maggio 2019: fa valere, al riguardo, tre motivi di impugnazione. Il fallimento resiste con controricorso e ha depositato memoria.

3. – Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo oppone violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento all’art. 132 c.p.c., n. 4, omessa pronuncia e nullità della sentenza per mancanza per vizio di motivazione, con specifico riferimento alla questione relativa alla prova della sussistenza del credito oggetto di insinuazione al passivo. Assume, in sintesi, che il giudice dell’opposizione avrebbe reso una motivazione apparente ed obiettivamente incomprensibile richiamando, del tutto acriticamente, il carteggio allegato dalla curatela, “senza spendere neppure una parola sulla rilevante, pacifica e incontrovertibile documentazione dimessa dall’opponente a sostegno del proprio credito”.

Il secondo mezzo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 115,116 e 112 c.p.c., nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti con specifico riferimento alla questione relativa al presunto, contestato, saldo delle fatture emesse dalla ricorrente e regolate con rapporti di compensazione. Secondo l’istante, il Tribunale aveva fondato la propria conclusione circa le vicende estintive dei crediti fatti valere con motivazione “censurabile, in quanto insufficiente, erronea e manifestamente illogica”, oltre che apodittica e palesemente generica. Rileva, in proposito, che nella fase di verifica del passivo il credito della società opponente era stato “pienamente riconosciuto come sussistente dalla curatela”.

Col terzo motivo viene lamentata la violazione o falsa applicazione dell’art. 2751 bis c.c., n. 5, in relazione all’art. 2512 c.c., e in subordine degli artt. 115 e 116 c.p.c.. Sostiene che il mancato riconoscimento del rango privilegiato del credito si fonderebbe su di un ragionamento viziato, dal momento che il Tribunale aveva mancato di considerare che nel costo del personale, assunto quale parametro di riferimento per negare il detto privilegio, erano ricompresi i costi dei soci lavoratori, ovvero di coloro le cui prestazioni consentivano al credito di essere soddisfatto in via preferenziale.

2. – Il ricorso è infondato.

Non meritano accoglimento i primi due motivi.

L’istante, con essi, fa anzitutto questione di un vizio motivazionale. E’ da ricordare che nella nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, risultante dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, è mancante ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054). L’apparato argomentativo della pronuncia impugnata non presenta, però, alcuna di tali, radicali carenze; è da osservare, in particolare, che il Tribunale ha fondato il proprio convincimento circa i pagamenti e le compensazioni di crediti su documenti specificamente indicati nel corpo del provvedimento (cfr. pag. 3 del decreto) e che la ricorrente nemmeno assume che tale richiamo sarebbe inidoneo a dar conto delle conclusioni cui è pervenuto il giudice dell’opposizione: la motivazione della sentenza per relationem è del resto pienamente ammissibile, ben potendo il giudice far riferimento ad altri documenti acquisiti agli atti, a meno che dalla giustapposizione del testo redatto dal giudice e di quello cui quest’ultimo fa rinvio sia impossibile cogliere con sufficiente chiarezza e precisione il suo ragionamento (Cass. 17 febbraio 2011, n. 3920): ma, si ripete, la società istante non deduce ciò.

Per quanto attiene alla documentazione prodotta dall’opponente, la censura è anzitutto carente di autosufficienza, in quanto la ricorrente si limita a un generico richiamo degli scritti che asserisce di aver versato in atti, senza riprodurli nel ricorso e senza fornire le indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione stessa, come pervenuta presso la Corte di cassazione (cfr. Cass. Sez. U. 27 dicembre 2019, n. 34469). Mette solo conto di aggiungere non essere risolutivo il fatto che detti documenti siano stati, in ipotesi, depositati nella fase di verifica dei crediti, avanti al giudice delegato, dal momento che in tale evenienza, l’opponente, a pena di decadenza L. fall. ex art. 99, comma 2, n. 4), avrebbe dovuto specificamente indicare al giudice dell’opposizione i documenti in questione (per tutte: Cass. 13 novembre 2020, n. 25663; Cass. 14 giugno 2018, n. 15627): sicché, ove gli scritti menzionati nel ricorso per cassazione fossero stati oggetto di acquisizione da parte del giudice delegato, la parte istante avrebbe dovuto comunque precisare, in questa sede, che essi vennero poi richiamati nel ricorso in opposizione.

La doglianza è inoltre, e comunque, non conducente, dal momento che – come si è detto – il vizio di motivazione deve emergere dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Non ha consistenza nemmeno la deduzione basata sull’iniziale riconoscimento del credito da parte della curatela in sede di verifica dello stato passivo. In tema di verificazione del passivo, infatti, il principio di non contestazione non comporta affatto l’automatica ammissione del credito allo stato passivo solo perché non sia stato contestato dal curatore (o dai creditori eventualmente presenti in sede di verifica), competendo al giudice delegato (e al tribunale fallimentare) il potere di sollevare, in via ufficiosa, ogni sorta di eccezioni in tema di verificazione dei fatti e delle prove (Cass. 24 maggio 2018, n. 12973; Cass. 8 agosto 2017, n. 19734; Cass. 6 agosto 2015, n. 16554).

Il terzo motivo è inammissibile.

I requisiti essenziali perché una cooperativa di produzione e lavoro sia ammessa, in sede di accertamento del passivo fallimentare, al privilegio previsto dall’art. 2751 bis c.c., n. 5, sono, per un verso, che il credito risulti pertinente ed effettivamente correlato al lavoro dei soci e, per altro verso, che l’apporto lavorativo di questi ultimi sia prevalente rispetto al lavoro dei dipendenti non soci (Cass. 2 novembre 2016, n. 22147; Cass. 30 maggio 2014, n. 12136). Ciò detto, il Tribunale ha accertato che l’apporto lavorativo dei dipendenti è prevalente rispetto a quello dei soci e tale accertamento di fatto non può essere posto in discussione in questa sede, giacché la prospettazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta mediante le risultanze di causa inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 11 gennaio 2016, n. 195). La censura si fonda, peraltro, su di un documento (“verbale di revisione” della Lega nazionale cooperative e mutue), che non è stato prodotto in precedenza e che non può certamente avere ingresso in questa sede — giacché esso non ha attinenza alla nullità della sentenza impugnata o all’ammissibilità del ricorso (art. 372 c.p.c.) e su non meglio precisate risultanze di un bilancio che non si indica se e quando venne acquisito al giudizio di merito.

3. – Le spese processuali seguono la soccombenza.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 6a Sezione Civile, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2021

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