Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2239 del 01/02/2010

Cassazione civile sez. III, 01/02/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 01/02/2010), n.2239

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 3018/2009 proposto da:

F.A., F.F.S., F.

M., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA ANNIBALIANO 18,

presso lo studio dell’avvocato TELESCA CARMEN, rappresentati e difesi

dall’avvocato SGUANCI ALFREDO, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

ENEL SPA, in persona del procuratore della Società, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA F. DENZA 15, presso lo studio dell’avvocato

MASTROLILLI STEFANO, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati DE SANTIS EMILIO e MURANO ANTONIO, giusta procura in calce

al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3821/2007 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, del

6/12/07, depositata il 14/12/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/12/2009 dal Consigliere Relatore Dott. MASSERA Maurizio;

udito per la controricorrente l’Avvocato Murano Antonio che si

riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. SCARDACCIONE Eduardo

Vittorio che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

La Corte:

Letti gli atti depositati.

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 27 gennaio 2009 F.A., F.F.S. e F.M. hanno chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 14 dicembre 2007 dalla Corte d’Appello di Napoli, confermativa della sentenza del Tribunale di Torre Annunziata – Sezione distaccata di Sorrento, che aveva rigettato la loro domanda di risoluzione del contratto di comodato in atto con l’ENEL. L’intimata ha resistito con controricorso.

2- I tre motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366-bis c.p.c..

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360 c.p.c., per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 3 66 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella dei 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione. In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3.- Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 342 e 112 c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Assumono che la sentenza impugnata non ha preso in esame il motivo d’appello con cui essai avevano denunciato il vizio di ultrapetizione.

Il quesito di diritto non postula l’enunciazione di un principio (adde: di diritto) decisivo per il giudizio ma, nel contempo, di applicabilità generalizzata e, invece, si risolve in una richiesta di verifica della motivazione della sentenza, la quale non ha ignorato la censura, ma l’ha risolta in termini diversi, da cui la doglianza prescinde. Analogamente, anche il momento di sintesi prescinde dal contenuto decisorio della sentenza e non specifica in quali parti e per quali ragioni la motivazione si riveli rispettivamente omessa, insufficiente e contraddittoria. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c. in relazione agli artt. 2727, 2729, 1803, 1809 e 1810 c.c..

Un primo quesito di diritto chiede se violi le prime due norme il giudice che, una volta che abbia ritenuto insufficiente la prova di un rapporto di comodato, escluda di fare ricorso alle presunzioni. Un siffatto quesito si rivela assolutamente generico e astratto, quindi inidoneo a soddisfare le esigenze rappresentate dall’art. 366 bis c.p.c..

Gli stessi vizi inficiano il secondo quesito che ipotizza violazioni, non specificate, delle altre norme.

Con il terzo motivo viene denunciata violazione degli artt. 1803, 1809, 1810 e 1811 c.c. in relazione agli artt. 1322, 1362 e 1363 c.c..

Anche in questo caso i ricorrenti formulano due quesiti assolutamente generici e che non specificano le ragioni della violazione delle numerose norme indicate.

4. – La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

Non sono state presentate conclusioni scritte nè memorie; la resistente ha chiesto d’essere ascoltata in camera di consiglio;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380-bis e 385 c.p.c..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 600,00, di cui Euro 400,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2010

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