Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22388 del 06/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 06/09/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 06/09/2019), n.22388

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26906-2018 proposto da:

I.B., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ENNIO CERIO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. 1699/2018 del TRIBUNALE di CAMPOBASSO,

depositato il 10/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. IOFRIDA

GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Campobasso, con decreto n. 1699/2018, ha respinto la richiesta di I.B., cittadino della Nigeria, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria.

In particolare, il Tribunale ha osservato che la vicenda personale narrata dal richiedente (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine per sfuggire alla setta degli Ogboni, la quale aveva provocato la morte del padre, che ne faceva parte, per un attacco cardiaco, e lo aveva successivamente aggredito e picchiato) era del tutto inverosimile, confusa e contraddittoria (il richiedente non aveva dimostrato neppure di avere un’effettiva conoscenza di tale setta); quanto alla protezione sussidiaria, la regione di provenienza del richiedente (il Delta State) non era interessata da conflitti armati interni (come riferito dall’ultimo rapporto di Amnesty International 2017-2018; infine, quanto alla protezione umanitaria, i timori di persecuzione politica personale risultavano del tutto astratti e congetturali ed il richiedente non aveva evidenziato nè legami familiari in Italia nè particolari patologie, oggetto di cure necessariamente da effettuarsi in Italia.

Avverso il suddetto decreto, I.B. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge attività difensiva).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, non avendo il giudice di merito attivato l’obbligo di cooperazione istruttoria in relazione alla richiesta di protezione sussidiaria ed alla verifica delle condizioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); con il secondo motivo, si lamenta poi, in relazione alla richiesta di protezione umanitaria, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, nonchè della Circolare Commissione Nazionale per il Diritto di Asilo n. 3716 del 2015, non avendo il Tribunale approfondito la situazione di insicurezza del paese d’origine.

2. La prima censura è inammissibile.

Il Tribunale ha ritenuto che le dichiarazioni del ricorrente, in merito alle motivazioni che l’avrebbero costretto a lasciare il paese di origine, fossero inidonee a giustificare il riconoscimento di una misura di protezione, in quanto del tutto non credibili (per genericità e contraddittorietà del racconto).

In sostanza, il Tribunale ha ritenuto del tutto generico il rischio allegato di trattamenti inumani o degradanti, valutato anche il contesto attuale del paese d’origine.

Vero che nella materia in oggetto il giudice abbia il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534); ma il Tribunale ha attivato il potere di indagine nel senso indicato.

Inoltre, come già rilevato da questa Corte (Cass. 19197/2015; conf. Cass. 7385/2017; Cass. 30679/2017), “il ricorso al tribunale costituisce atto introdutttvo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore”, cosicchè “i fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale”. Da ultimo si è ulteriormente chiarito (Cass. 27593/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicchè “la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (cfr. anche (Cass. 27503/2018 e Cass. 29358/2018).

In sostanza, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la cooperazione istruttoria consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, dovendo, anzi, l’allegazione essere adeguatamente circostanziata, cosicchè solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Cass. 17069/2018).

Inoltre, come chiarito da questa Corte (Cass. 29358/2018), una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, e quindi di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente.

In ogni caso, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica e, per conseguenza, priva di decisività: non solo il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso, ma fa riferimento, sempre generico, alla necessità di acquisire informazioni sullo stato e tutela dei diritti umani in Nigeria, senza spiegare neppure l’incidenza di tali fatti nella fattispecie in esame.

3. Il secondo motivo è del pari inammissibile.

Il ricorrente censura il rigetto della richiesta di protezione umanitaria, senza neppure spiegare quali sarebbero i presupposti fondanti la richiesta. Il ricorrente lamenta, sempre in relazione alla richiesta di protezione umanitaria, che la Corte territoriale non avrebbe vagliato la condizione di particolare vulnerabilità cui sarebbe esposto il richiedente, in caso di rientro nel Paese.

Ma il Tribunale ha ritenuto che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali, non potendo giustificare la concessione della protezione la mera aspirazione a condizioni di vita o lavorative migliori.

6. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2019

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