Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22387 del 06/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 06/09/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 06/09/2019), n.22387

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29571-2017 proposto da:

IAR SILTAL SPA IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona dei

Commissari Straordinari in carica, elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato DANIELE PORTINARO;

– ricorrente –

contro

COVESTRO INTERNATIONAL SA, in persona dei legali rappresentanti pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MAR ROSSO 61, presso

lo studio dell’avvocato ROBERTO FERRANTI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE MILANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1781/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata l’01/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. IOFRIDA

GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Torino con sentenza n. 1781/2017, pubblicata il 01.08.2017, ha respinto il gravame promosso dalla IAR SILTAL avverso sentenza del Tribunale di Vercelli.

A seguito dell’aggravamento dello stato di crisi della IAR SILTAL, la stessa domandava ed otteneva dal Tribunale di Casale Monferrato, con decreto del 23.04.2005, l’ammissione alla procedura di amministrazione controllata per la durata di due anni. In data 17.02.2006, con sentenza, veniva dichiarato lo stato di insolvenza, con la conseguente ammissione all’aministrazione strordinaria e nomina dei Commissari straordinari. La IAR SILTAL intratteneva rapporti commerciali con la Bayer International S.A. ed, a fronte di propri inadempimenti, aveva concordato con quest’ultima, riconoscendo il proprio debito pari ad Euro 1.383.617,60, un piano di rateizzazione (in 24 rate, dal 15/3/2005 al 15/1/2007) per il pagamento delle somme dovute, stipulato in data 10.03.2005, accordo poi non adempiuto dalla debitrice. I pagamenti effettuati nel periodo sospetto erano oggetto di contestazione della IAR Siltal in amministrazione straordinaria, che ne domandava l’inefficacia L. Fall. ex art. 67, comma 2, davanti al Tribunale di Vercelli. In particolare, la procedura deduceva che i pagamenti eseguiti dalla debitrice, nel periodo compreso tra il 27.10.2004 e l’8.04.2005 (semestre anteriore al deposito della domanda di ammissione all’amministrazione controllata), per un totale di Euro 1.191.504,60, fossero da considerare inefficaci poichè la Bayer International era edotta (scientia decoctionis) circa lo stato di insolvenza della società debitrice.

La Corte d’Appello, confermando quando asserito dal giudice di primo grado, all’esito anche di istruttoria orale, negava la sussistenza di una prova oggettiva della scientia decoctionis da parte della Bayer International, tenendo conto che l’onere probatorio incombeva sulla IAR Siltal. In particolare, la Corte territoriale rilevava che non era stata raggiunta la prova di una conoscenza effettiva da parte della creditrice Bayer della situazione di decozione della Iar Siltal, sia sulla base degli indici interni (vale a dire l’ingente debito riconosciuto dalla debitrice nel piano di rientro, stipulato “un mese prima della dichiarazione di insolvenza” (rectius, dell’ammissione all’amministrazione controllata), la cui composizione non era tuttavia nota, “non essendo state prodotte dalla Procedura le fatture oggetto del piano di rientro”, avendo la pattuizione in questione un mero valore indiziario della conoscenza da parte di Bayer della situazione economica e finanziaria di Iar Siltal ma non anche dell’irreversibilità del dissesto della debitrice ed essendo state effettuate solo sei rimesse successive alla sottoscrizione del piano di rientro, rilevanti ai fini del decidere, senza che fosse stata data prova delle forniture oggetto di detti pagamenti e senza che fosse stata dimostrata una “modifica delle modalità di pagamento delle forniture”, ad es. con pagamento diretto al momento della consegna o con termini più brevi del consueto) ed esterni (quali l’esistenza, peraltro neppure provata, di procedure monitorie o esecutive o di notizie di stampa o i bilanci della debitrice, della cui conoscenza da parte di Bayer non vi era prova) allegati dalla procedura sia sulla base delle deposizioni testimoniali.

Avverso suddetta sentenza presenta ricorso per cassazione la IAR Siltal spa, affidandolo ad un unico motivo; resiste la Bayer International S.A. (ora Covestro International S.A.) con controricorso.

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta, con il primo ed unico motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2727 c.c. e dei principi in materia di presunzioni, dell’art. 2697 c.c. e dei principi in materia di valutazione delle prove, per non avere la Corte d’Appello, erroneamente, ritenuto la conoscenza dello stato d’insolvenza della società in amministrazione straordinaria o scientia decoctionis da parte della Bayer International S.A., provata tramite presunzioni gravi, precise e concordanti.

2. La controricorrente aveva inizialmente eccepito l’inammissibilità del ricorso per tardività e la proposta del relatore la accoglieva, ritenendo la tardività della notifica del ricorso. La sentenza n. 1781/2017 della Corte d’Appello di Torino è stata notificata dalla controricorrente alla ricorrente in data 03.10.2017 ed termine per proporre ricorso per cassazione scadeva il giorno 02.12.2017, ma, essendo un sabato, l’ultimo giorno utile per la notifica slittava al lunedì 04.12.2017.

La giurisprudenza della Suprema Corte era ormai granitica nel ritenere che le notifiche effettuate in modalità telematica, effettuate successivamente alle ore 21.00 della giornata, si considerano perfezionate alle ore 7.00 del giorno successivo (Cass. 4588/2019; Cass. 10628/2018; Cass. 33168/2018; Cass. Ord. N. 7079/2018, Cass. Sent. n. 31207-8-9/2017). Nel caso in esame, è allegata come prova della notifica una PEC di avvenuta accettazione che reca la data del 04.12.2017 (ultimo giorno utile per la notifica), ma con orario che indica le 21.25, il che avrebbe comportato il perfezionarsi della notifica nel giorno seguente, il 05.12.2017, oltre il termine di legge. Tuttavia, nelle more del presente giudizio, è intervenuta la pronuncia n. 75/2019 della corte Costituzionale, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-septies, convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, inserito dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 45-bis, comma 2, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 11 agosto 2014, n. 114, a norma del quale “(l)a disposizione dell’art. 147 c.p.c. si applic(hi) anche alle notificazioni eseguite con modalità telematiche. Quando è eseguita dopo le ore 21, la notificazione si considera perfezionata alle ore 7 del giorno successivo”, nella parte in cui, per l’appunto, prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anzichè al momento di generazione della predetta ricevuta. In memoria, la controricorrente ha dichiarato di rinunciare all’eccezione pregiudiziale sollevata.

L’eccezione risulta pertanto infondata.

3. Tanto premesso, il ricorso è inammissibile sotto altro profilo.

Questa Corte, con orientamento consolidato (Cass. 13960/2014), ha chiarito che “in tema di ricorso per cassazione, la deduzione della violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonchè, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è consentita ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5″, con conseguente “inammissibilità della doglianza che sia stata prospettata sotto il profilo della violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.”.

In sostanza, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 27000/2016; Cass. 23940/2017)

La circostanza che il giudice, invece, abbia male esercitato il prudente apprezzamento della prova è censurabile solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 26965/2007) ed ormai, nei limiti della attuale formulazione del suddetto vizio (omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti).

Nella specie, viene invece dedotto un vizio di violazione di legge degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento all’asserita erronea valutazione delle risultanze probatorie.

Con riguardo alla violazione dei principi di diritto in materia di prova per presunzioni in ambito di revocatoria fallimentare, questa Corte ha da tempo chiarito che “in tema di revocatoria fallimentare, la conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo contraente deve essere effettiva, ma può essere provata anche con indizi e fondata su elementi di fatto, purchè idonei a fornire la prova per presunzioni di tale effettività. La scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione ed il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l’esistenza del fatto ignoto costituiscono un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimità” (Cass. 3336/2015; Cass. 3854/2019). In tema di revocatoria fallimentare, la conoscenza dello stato d’insolvenza dell’imprenditore da parte del terzo contraente, che deve essere effettiva e non meramente potenziale, può essere provata dal curatore, su cui incombe il relativo onere, tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, ex artt. 2727 e 2729 c.c. (Cass. 526/2016).

In generale, sulla prova presuntiva per presunzioni semplici, si è poi osservato che l’art. 2729 c.c. ammette solo le presunzioni che abbiano i connotati della gravità, precisione e concordanza, laddove “la “precisione” va riferita al fatto noto (indizio) che costituisce il punto di partenza dell’inferenza e postula che esso non sia vago, ma ben determinato nella sua realtà storica; la “gravità” va ricollegata al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto che, sulla base della regola d’esperienza adottata, è possibile desumere da quello noto; la “concordanza” richiede che il fatto ignoto sia, di regola, desunto da una pluralità di indizi gravi e precisi, univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza” (Cass. 2482/2019), dovendosi tuttavia precisare, al riguardo, che tale ultimo requisito è prescritto esclusivamente nell’ipotesi di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi, atteso che gli elementi assunti a fonte di prova non debbono essere necessariamente più d’uno, ben potendo il giudice fondare il proprio convincimento su uno solo di essi, purchè grave e preciso (Cass. 23153/2018; Cass. 656/2014).

Ora, la Corte d’appello non ha, come sostiene la ricorrente, misurato gli indici asseritamente rivelatori dello stato di decozione con il metro della “certezza assoluta”, avendo invece valutato gli elementi indiziari prima singolarmente e poi complessivamente, al fine di accertare se essi fossero anche concordanti.

La Corte d’appello ha motivatamente ritenuto insufficiente a dimostrare la consapevolezza della Bayer dello stato di decozione della debitrice, quanto agli indici interni, la sola sottoscrizione del piano di rientro, un mese prima dell’ammissione all’amministrazione controllata, in quanto solo sei rimesse erano avvenute successivamente al piano di rientro e non erano state prodotte le fatture oggetto del piano, cosicchè non era neppure dimostrato che la Bayer avesse continuato ad effettuare forniture alla Iar Siltal nè che erano variate le modalità di pagamento.

Ora, la ricorrente, con il presente ricorso di cassazione, fa richiamo ad una scheda contabile da essa prodotta sub doc.to 18 in primo grado, da cui si evincerebbe la prova che dopo la stipula del piano di rientro sarebbero state emesse fatture da pagarsi “a vista”.

Ma la Corte d’appello non ha fatto riferimento a tale documento, avendo anzi basato la sua decisione sulla mancata produzione delle fatture correlate al piano di rientro, e quindi la ricorrente, nel rispetto del principio di autosufficienza, avrebbe dovuto allegare come la questione della rilevanza probatoria della suddetta scheda contabile aveva formato oggetto di discussione nel giudizio di merito e quale fosse il contenuto effettivo di tale document; altrimenti, si rientrerebbe nell’ipotesi dell’errore revocatorio.

Riguardo poi agli indici esterni, la Corte d’appello ha motivatamente rilevato che di essi (esistenza di procedure di esecuzioni individuai o di procedure monitorie avviate dai creditori; i bilanci della società; notizie di stampa) non era stata provata l’esistenza e la decisività ai fini della prova della conoscenza in capo a Bayer dello stato di insolvenza della debitrice.

In riferimento alle deposizioni testimoniali, le stesse sono state poi analiticamente vagliate dalla Corte d’appello, che ha escluso che dalle stesse emergesse la prova della consapevolezza in capo a Bayer, nel corso delle trattative per la sottoscrizione del piano di rientro, di un vero e proprio stato di dissesto della debitrice.

Quanto dedotto dal ricorrente non configura in effetti violazioni di diritto sostanziale o processuale presenti nella decisione impugnata, cosicchè il riferimento alle diverse norme civili, processuali e sostanziali, risulta palesemente inconferente, giacchè quel che viene in discussione è unicamente il modo in cui la corte di merito, cui competeva farlo, ha valutato le risultanze documentali acquisite agli atti. Si è trattato, dunque, di una valutazione di merito, come tale di stretta competenza della corte territoriale, che il riferimento alla documentazione prodotta rende adeguatamente motivata.

Nè rileva il precedente citato dalla ricorrente in memoria (Cass. 24935/2017), che riguardava diversa revocatoria fallimentare promossa dalla stessa procedura nei riguardi di altra società creditrice, in relazione ad altri pagamenti avvenuti nel semestre sospetto, anteriore all’ammissione della debitrice all’amministrazione controllata. Non risultano, nel precedente suddetto di questa Corte, richiamati principi di diritto difformi (avendo questa Corte rilevato che la valutazione circa l’elemento psicologico della creditrice era “basata sulle fatture richiamate nella motivazione e sui relativi pagamenti, ossia su atti processuali dei quali non è contestata la tempestiva produzione in giudizio”). Nel presente giudizio, la Corte d’appello ha rilevato essenzialmente che non erano state prodotte le fatture oggetto del piano di rientro contestato e non era stata dimostrata l’effettuazione di forniture da parte di Bayer.

4. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 10.000,00, a titolo di compensi, oltre Euro 100,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2019

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