Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22385 del 15/10/2020

Cassazione civile sez. I, 15/10/2020, (ud. 28/09/2020, dep. 15/10/2020), n.22385

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 15401/19 proposto da:

A.F.F., elettivamente domiciliato a Macerata, v.

Goffredo Mameli n. 66, presso l’avvocato Andrea Petracci, che lo

difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona 10.12.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28.9.2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.F.F., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese per sfuggire alle minacce di morte rivoltegli dagli appartenenti ad una setta animistica, in conseguenza del suo rifiuto di entrare a farne parte.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento A.F.F. propose, ai sensi

del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Ancona, che la rigettò con ordinanza 24.2.2018.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla

Corte d’appello di Ancona con sentenza 10.12.2018.

Quest’ultima ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non potessero essere concessi perchè il racconto del richiedente era inattendibile;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa, perchè nel Paese d’origine del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non potesse essere concessa in quanto il richiedente non aveva dimostrato specifiche circostanze idonee a qualificarlo come “persona vulnerabile”.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da A.F.F. con ricorso fondato su cinque motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, perchè pongono questioni fra loro strettamente connesse.

Con ambedue tali motivi il ricorrente censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha reputato inattendibile il racconto posto a fondamento della domanda di protezione.

Nella illustrazione dei motivi si sostiene, da un lato, che la sentenza impugnata avrebbe trascurato di esaminare alcuni aspetti del racconto; dall’altro che avrebbe violato il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per non aver rispettato i criteri di formulazione del giudizio di attendibilità previsti da tale norma.

1.1. Ambedue i motivi sono infondati, in quanto con motivazione niente affatto stereotipata (al contrario di quanto denunciato dal ricorrente) la Corte d’appello ha dato conto delle ragioni per le quali il richiedente asilo doveva ritenersi inattendibile; nè tale motivazione appare discostarsi dai precetti dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

La Corte d’appello ha infatti rilevato che il racconto del richiedente era privo di dettagli; che il ricorrente non era stato grado di descrivere i luoghi e gli spostamenti effettuati dalla Nigeria alla Libia; che non aveva saputo spiegare come potesse essere stato compiuto, dai suoi ipotetici persecutori, il tentativo di avvelenamento da lui riferito; che non aveva saputo riferire, se non in modo del tutto generico, del proprio rapporto con la matrigna, indicata come la presunta autrice del tentativo di avvelenamento ai suoi danni.

Dopo avere rilevato ciò, la Corte d’appello ha concluso che sulla base dei suddetti rilievi il racconto doveva ritenersi “totalmente inattendibile”: il che costituisce un tipico accertamento di fatto, riservato al giudice di merito ed insindacabile in questa sede.

Nè il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, può dirsi violato sol perchè il giudice di merito abbia ritenuto inattendibile un racconto od inveritiero un fatto; quella norma potrà dirsi violata solo se il giudice, nel decidere sulla domanda di protezione, non compia gli accertamenti ivi previsti: ad esempio, accogliendo la domanda di protezione senza avere previamente accertato la sussistenza di tutti e cinque i requisiti previsti dalla norma suddetta.

Per contro, lo stabilire se la narrazione, fatta dall’interessato, delle circostanze che giustificano la concessione della protezione internazionale od il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, sia stata verosimile e credibile oppur no, non costituisce una valutazione di diritto, ma è un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità (Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 27503 del 30/10/2018, Rv. 651361 – 01).

Nel caso di specie, la Corte d’appello per quanto già detto ha dato esaustivo conto della ragione per la quale il racconto del richiedente doveva ritenersi inverosimile, con motivazione plausibile e coerente, nè il ricorrente indica a quale diversa valutazione la Corte d’appello sarebbe potuta pervenire, se avesse preso in esame analiticamente le altre circostanze elencate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Ed infatti l’inattendibilità derivante dalla genericità e dalle irrazionalità rilevate dalla Corte d’appello non sarebbe venuta meno nè prendendo in esame gli sforzi compiuti dal richiedente per circostanziare la domanda; nè indagando se questi non abbia potuto fornire ulteriori prove senza colpa; nè prendendo in esame la data di presentazione della domanda di protezione.

Lo stabilire, poi, se le dichiarazioni del ricorrente potevano essere interpretate in modo difforme rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito è ovviamente questione di puro fatto, incensurabile in sede di legittimità.

2. Col terzo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Osserva al riguardo il ricorrente che “la situazione nella parte meridionale del paese è diversa da quella erroneamente dipinta dalla corte anconetana”, e che nella regione di sua provenienza esiste una situazione di conflitto armato.

2.1. Il motivo è inammissibile per la sua genericità.

La Corte d’appello ha ritenuto che nella regione nigeriana di Edo State “non risulta riscontrata, anche facendo riferimento alle stesse fonti citate dall’appellante, una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato”.

Stabilito ciò, la Corte d’appello aggiunge altresì che il ricorrente “non fa mai alcun riferimento alla situazione di conflittualità interna asseritamente presente nel territorio nigeriano”.

La Corte dorica, in definitiva, ha posto a fondamento della propria decisione due rilievi: a) che il ricorrente non aveva mai allegato, a fondamento della domanda di protezione, l’esistenza di una guerra; b) in ogni caso che le stesse fonti internazionali da lui invocate dimostravano l’insussistenza di una situazione di conflitto armato nell’Edo State.

Il motivo di ricorso qui in esame non si confronta però con queste due rationes decidendi, limitandosi a sostenere “che la situazione della Nigeria integra senza dubbio la nozione di conflitto armato”, senza tuttavia indicare donde risulti tale circostanza; senza contestare che l’assenza di conflitto armato risultasse dalle stesse fonti da lui invocate nei gradi di merito; e soprattutto senza impugnare la statuizione con cui la Corte d’appello ha ritenuto che lo stesso ricorrente “non ha fatto mai alcun riferimento”, negli atti di parte, ad una situazione di conflittualità interna in Nigeria.

3. Col quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

Sostiene che la Corte d’appello è venuta meno al dovere di cooperazione istruttoria, e non ha approfondito la effettiva situazione sociopolitica della Nigeria.

3.1. Con riferimento alle domande di asilo e di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), il motivo è inammissibile perchè irrilevante: ed infatti la ritenuta inattendibilità soggettiva del richiedente asilo esonerava la Corte d’appello dal dovere di cooperazione istruttoria.

3.2. Con riferimento alla domanda di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il motivo è inammissibile per le medesime ragioni sopra indicate con riferimento al terzo motivo: e cioè l’estraneità del motivo di ricorso alle due effettive rationes decidendi poste dalla Corte d’appello a fondamento del rigetto della domanda di protezione sussidiaria.

4. Col quinto motivo il ricorrente censura il rigetto della sua domanda di protezione umanitaria. Deduce che su questo punto la sentenza d’appello sarebbe erronea perchè:

a) ha trascurato il motivo di impugnazione “inerente la provenienza del richiedente dalla Libia”;

b) ha trascurato di considerare che, in caso di rimpatrio, l’odierno ricorrente “vedrebbe indubbiamente lesi i propri fondamentali diritti, andando incontro a morte certa per mano degli animisti”;

c) ha trascurato di dare rilievo alla circostanza che l’odierno ricorrente aveva “ottenuto un contratto di lavoro”.

4.1. Il motivo è inammissibile in tutte le censure in cui si articola. Con tale motivo il ricorrente infatti, pur formalmente prospettando anche il vizio di violazione di legge, nella sostanza lamenta l’omesso esame di tre circostanze di fatto, e quindi prospetta un vizio di omesso esame di fatti decisivi, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Tale censura tuttavia nel caso di specie è inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., in quanto i due gradi di merito si sono conclusi con una doppia pronuncia conforme.

In ogni caso non sarà superfluo ricordare:

a) per quanto attiene l’omessa considerazione del transito del ricorrente attraverso la Libia, che il ricorrente non indica perchè mai tale circostanza sarebbe rilevante, posto che la Libia non è il suo paese di origine, nè dovrà farvi ritorno;

b) per quanto attiene le altre censure, che il ricorrente da un lato trascura di considerare che le vicende narrate circa le minacce ricevute dalla setta degli animisti sono state ritenute inattendibili dalla Corte d’appello, la quale giustamente perciò non ne ha tenuto conto nell’esaminare la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari; dall’altro lato che nemmeno nel ricorso il ricorrente è in grado di indicare una sola circostanza di fatto, diversa dalla sola provenienza dalla Nigeria, dimostrativa di una condizione di vulnerabilità.

Il motivo, in sostanza, si traduce in un tautologico censeo quia censeo, ed è perciò inammissibile anche sotto questo profilo.

5. Non è luogo a provvedere sulle spese, non avendo il Ministero dell’Interno svolto attività difensiva.

Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17,), se dovuto.

PQM

la Corte di Cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 28 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2020

 

 

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