Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22383 del 26/09/2017
Cassazione civile, sez. VI, 26/09/2017, (ud. 15/02/2017, dep.26/09/2017), n. 22383
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –
Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7355/2016 proposto da:
EDEN PICCOLA SOCIETA’ COOPERATIVA SOCIALE A R.L., C.F. (OMISSIS), in
persona dell’amministratore unico e legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAN TOMMASO D’AQUINO
116, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO DIERNA, rappresentata e
difesa dall’avvocato GIUSEPPE VACCARO;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende ope legis;
– controricorrente –
e contro
RISCOSSIONE SICILIA S.P.A. già Serit Sicilia S.p.A., Agente per la
riscossione per la Provincia di Siracusa, C.F. (OMISSIS), P.I.
(OMISSIS), in persona del Direttore Generale F.F. – Procuratore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 187, presso lo
studio dell’avvocato MARCELLO MAGNANO DI SAN LIO, rappresentata e
difesa dall’avvocato ANTONELLA FIDELIO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 396/16/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE DI PALERMO – SEZIONE DISTACCATA DI SIRACUSA, depositata il
01/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del 15/02/2017 dal Consigliere Dott. LUCA SOLAINI.
Fatto
FATTO E DIRITTO
La controversia concerne l’impugnazione di una cartella di pagamento relativa a iscrizioni di ritenute alla fonte Irpef quale sostituto d’imposta, da parte di una cooperativa sociale.
La CTP rigettava il ricorso e la CTR ne confermava la sentenza.
La società contribuente propone ricorso affidato a cinque motivi, illustrati da memoria, mentre sia il concessionario della riscossione che l’Agenzia delle Entrate hanno resistito con controricorso.
Il collegio ha deliberato di adottare la motivazione in forma semplificata.
Con il primo motivo, la società ricorrente deduce la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, art. 2697 c.c., nonchè degli artt. 148 e 160 c.p.c., L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, la relata di notifica sarebbe inesistente e non semplicemente nulla, per mancanza assoluta della relata di notifica apposta sulla copia della cartella consegnata al destinatario.
Il motivo è infondato.
E’, infatti, insegnamento di questa Corte, che “L’omessa apposizione, da parte dell’ufficiale giudiziario, della relazione di notificazione anche sulla copia consegnata al destinatario, integra, in mancanza di contestazioni circa l’effettuazione della notificazione come indicata nella detta relazione, una mera irregolarità, non essendo la nullità prevista in modo espresso dalla legge e non difettando un requisito di forma indispensabile per il raggiungimento dello scopo, che si consegue con il portare a conoscenza dell’interessato la “vocatio in jus” per il tramite indefettibile dell’ufficiale giudiziario” (Cass. nn. 15327/14, 2527/2006).
Nel caso di specie, il vizio dedotto può senz’altro dirsi sanato per il raggiungimento dello scopo, ex art. 156 c.p.c., comma 3, essendosi il ricorrente pienamente difeso nel merito, senza alcun pregiudizio del diritto di difesa (Cass. n. 6613 del 2013). Infine, non può non evidenziarsi come alla pagina 5 del ricorso è lo stesso contribuente che dichiara di aver ricevuto la cartella.
Con il secondo motivo di censura la società ricorrente denuncia il vizio di violazione dell’art. 2697 c.c. e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, il giudice d’appello avrebbe statuito che per quanto attiene ai vizi del procedimento d’imposizione, incomberebbe sul contribuente l’onere di provare il vizio che lo stesso deduce, con riferimento alla doglianza che il ruolo non sarebbe risultato sottoscritto dal titolare dell’ufficio.
Il motivo è infondato, infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte “In tema di riscossione, il ruolo esattoriale – quale atto amministrativo – è assistito da una presunzione di legittimità, che opera anche nei giudizi in cui è parte l’Amministrazione che ha formato l’atto e che, pertanto, spetta al contribuente superare, sicchè quest’ultimo, ove ne lamenti la carenza di sottoscrizione prescritta dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4, dovrà darne dimostrazione tramite istanza di accesso” (Cass. 26546/2016).
Con il terzo e quarto motivo di censura, che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, la società contribuente denuncia la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, L. n. 212 del 2000, art. 6, commi 2 e 5 e art. 10, comma 1 e del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2 e dell’art. 2967 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, i giudici avrebbero ritenuto non necessario, l’invio dell’avviso bonario, ovvero della comunicazione d’irregolarità, nelle ipotesi d’iscrizione a ruolo, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, d’imposte dichiarate e non versate, alla luce del fatto che la società contribuente ribadiva, anche, l’inesistenza della pretesa erariale, perchè non sarebbe stata presentata alcuna dichiarazione.
In riferimento alla prima parte della censura, sul mancato invio dell’avviso bonario, è consolidata la giurisprudenza di questa Corte, che in tema di controlli automatici, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, l’avviso bonario sia richiesto soltanto quando emergano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione che non ricorre, in caso di omessi o tardivi versamenti (Cass. n. 13759/16, ord. n. 15740/16), mentre, in riferimento alla doglianza che i giudici d’appello, avrebbero disatteso l’esigenza probatoria che l’ufficio documentasse l’esistenza di una dichiarazione a debito fiscalmente rilevante presentata dalla società ricorrente, laddove quest’ultima aveva ribadito l’insussistenza della pretesa erariale perchè, invece, non era stata presentata alcuna dichiarazione, deve evidenziarsi come il motivo di censura, attenendo a un presunto cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove, da parte del giudice di merito, non è censurabile in cassazione, neppure come vizio di motivazione (Cass. n. 11892/16), che sarebbe, comunque, precluso dalla “doppia conforme” (Cass. n. 5528/14).
Infine, con l’ultimo motivo di censura, la società lamenta la violazione dell’art. 91 c.p.c., perchè le spese di lite sarebbero state liquidate in modo difforme rispetto a quanto previsto dal D.M. n. 55 del 2014. La censura, per come proposta è inammissibile, perchè generica, in quanto non sono stati indicati i parametri della tariffa presuntivamente violati.
La spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
PQM
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso.
Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.100,00, in favore dell’Agenzia delle Entrate, oltre spese prenotate a debito, e in pari misura a favore di Riscossione Sicilia SpA, oltre Euro 200,00 per esborsi, 15% spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2017