Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22379 del 22/10/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 22379 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA

„Lsul ricorso 26896 – 2008 proposto da:
”BUTERA ANTONINO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA FARNESINA 355, presso lo studio dell’avvocato
ALESSANDRA AMORESANO, rappresentata e difesa
dall’avvocato CORCIONE LUIGI, giusta delega in atti;
– ricorrente 2014
2080

contro

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in
persona del Ministro pro tempore, rappresentato e
difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i
cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI,

Data pubblicazione: 22/10/2014

12 ape legis;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 316/2007 della CORTE D’APPELLO
di CALTANISSETTA, depositata il 16/11/2007 r.g.n.
437/2006;

udienza del 11/06/2014 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso,,a_

Aeto .

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Svolgimento del processo
Butera Antonino adì il giudice def lavoro del Tribunale di Caltanisetta esponendo di
essere transitato in mobilità dalle Ferrovie dello Stato al Ministero delle
Infrastrutture e Trasporti e di aver diritto a percepire, ove più favorevole, ai sensi

erogatogli al momento del trasferimento.
In particolare, il ricorrente dedusse che di tale trattamento erano parte integrante
le cosiddette “concessioni di viaggio”, di cui egli aveva goduto quale dipendente
delle Ferrovie dello Stato, e che il controvalore economico delle stesse doveva
essere considerato nella determinazione della retribuzione da parte
dell’amministrazione presso la quale era transitato.
Il giudice adito dichiarò il difetto di giurisdizione per il periodo anteriore al
30.6.1998 e rigettò la domanda in relazione al periodo successivo.
Con sentenza del 10.10 — 16.11.2007 la Corte d’appello di Caltanisetta, nel
confermare la sentenza di primo grado, ha spiegato che nella fattispecie non si
erano realizzate le condizioni per il mantenimento del predetto trattamento, vale a
dire l’espletamento di venti anni di servizio per il diritto alla pensione ed il transito
senza soluzione di continuità presso un’amministrazione dello Stato.
Per la cassazione della sentenza ricorre il Butera con un solo motivo articolato in
più punti.
Resiste con controricorso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Motivi della decisione
Con un solo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art.
21 della legge n. 210/1985, dell’art. 10, comma 15, della legge n. 41/1986, del
D.M. 28.2.1986, dell’art. 8 del D.M. 15.4.1987 n. 731T, dell’art. 5, comma 2, del
D.P.C.M. n. 325/1988, dell’art. 2099 cod. civ. e degli artt. 4, 12, 14 e 15 delle
preleggi.

dell’art. 5, comma 2, del D.P.C.M. n. 325188, l’intero trattamento economico già

A sostegno del ricorso il ricorrente espone, in sintesi, quanto segue: – Dopo che la
legge n. 1108 del 21.11.1955 aveva istituito le concessioni di viaggio, vale a dire il
rilascio delle carte di libera circolazione al personale delle Ferrovie dello Stato in
attività di servizio ed a riposo, e dopo la privatizzazione del servizio ferroviario ad

del 28.2.1986 si era stabilita l’abolizione, a decorrere dal 15.1.1986, delle
concessioni di viaggio relative agli obblighi di servizio pubblico, cioè di quelle
riguardanti tutta una serie di soggetti istituzionali e di categorie protette, ma non di
quelle concernenti i dipendenti delle ferrovie, come erroneamente ritenuto dalla
Corte di merito.
Infatti, l’art. 8 del D.M. 15.4.1987 n. 731T aveva fatto obbligo all’Ente Ferrovie dello
Stato di praticare al personale, che all’atto del passaggio ad amministrazione dello
Stato avesse maturato il diritto a pensione (cioè dopo venti anni di servizio), il
trattamento delle concessioni di viaggio riconosciuto al proprio personale e a
quello a riposo della soppressa Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato.
In seguito, per effetto dell’art. 21 della legge n. 210/85, il trattamento di lavoro dei
dipendenti delle Ferrovie dello Stato, comprensivo delle concessioni di viaggio, era
stato regolato su base contrattuale collettiva.
In particolare, l’art. 27 del CCNL 1987/1989 aveva stabilito che costituivano
elementi del trattamento economico dei dipendenti gli stipendi iniziali, gli importi
delle successive classi e degli aumenti periodici anche convenzionali, la
tredicesima mensilità, il premio di esercizio ed ogni altro emolumento previsto dal
contratto.
Infine, l’art. 5, comma 2, del D.P.C.M. n. 325 del 5.8.1988, nel regolare il
trattamento economico del personale in mobilità verso altra amministrazione dello
Stato, non aveva posto condizione alcuna a carico dei lavoratori in transito.
Così ricostruito il percorso normativo di riferimento il ricorrente assume che la
citata norma di cui al D.M. 15.4.1987 n. 731T, che aveva assicurato al personale

opera della legge n. 210 del 17.5.1985, con l’art. 10, comma 15, della legge n 41

dell’Ente Ferrovie dello Stato il mantenimento del trattamento economico
comprensivo delle concessioni di viaggio, era da considerare una norma speciale,
in quanto regolava gli specifici rapporti tra il predetto ente ed i suoi ex dipendenti
transitati in mobilità, per cui era insuscettibile di qualsiasi applicazione analogica.

alla durata del proprio servizio all’atto della mobilità ai fini del mantenimento del
controvalore economico delle concessioni che già costituivano parte integrante del
trattamento economico di fatto goduto al momento del suddetto trasferimento.
Infatti, egli aveva chiesto, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del D.P.C.M. n. 325/88, di
tener conto del controvalore delle suddette concessioni nella determinazione della
retribuzione da parte dell’amministrazione presso la quale era transitato,
formulando una domanda di condanna generica per il pagamento delle eventuali
differenze mediante l’attribuzione di un assegno “ad personam”.
Il ricorrente conclude affermando che il D.P.C.M. n. 325/88 non aveva posto
condizione alcuna per il dipendente trasferito, per cui il disposto del
summenzionato art. 8 del D.M. 15.4.87 n. 73fT doveva ritenersi tacitamente
abrogato dal successivo art. 5, comma 2, del D.P.C.M. n. 325 del 5.8.1988 oppure
che quest’ultima norma di carattere particolare, in quanto riferita alla stretta
cerchia dei lavoratori delle ferrovie dello Stato che avevano operato la mobilità
nella sua vigenza, derogava alla preokente normativa di carattere generale.
Rileva il Collegio che il ricorso, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte,
risulta infondato.
Invero è oramai consolidato nella giurisprudenza della Cassazione (Cass. Sez.
lav. n. 17094 del 21.7.2010, Cass. Sez. lav. n. 5590 del 18.4.2002 e Cass. Sez.
lav. n. 9819 del 26.7.2000) il principio secondo il quale, con riferimento al
trattamento economico dei dipendenti delle Ferrovie dello Stato, a norma del D.M.
n. 73 del 1987, art. 8, i dipendenti transitati in mobilità conservano il diritto alle
“concessioni di viaggio” solo se siano transitati senza soluzione di continuità verso

3

Da ciò conseguiva che esso ricorrente nulla avrebbe dovuto dimostrare in merito

altra amministrazione dello Stato e abbiano, al momento del transito, già maturato
il diritto a pensione.
In tali casi, si è affermato, l’anzianità di servizio effettivo di venti anni è requisito
indispensabile per la maturazione del diritto a pensione, atteso che il passaggio

continuità nell’unico rapporto di impiego, non è assimilabile ad alcuna delle ipotesi
previste dal D.P.R. n. 1092 del 1973, art. 219 (tutte riguardanti la risoluzione del
rapporto di lavoro) e che, pertanto, non è sufficiente, per la maturazione del diritto,
l’anzianità di servizio decennale prevista dal citato art. 219, comma 5 (Cass. 3
dicembre 1997 n. 12286, Casa. 6 marzo 1999 n. 1916, Cass. 22 maggio 2000 n.
6663, Cass. 26 luglio 2000 n. 9819 e Casa. 18 aprile 2002 n. 5590).
Il principio in questione trova il suo presupposto, condiviso da questo Collegio,
nella considerazione che con la c.d. mobilità volontaria si ha un fenomeno di
mutamento del solo elemento soggettivo del rapporto di lavoro, subentrando un
diverso datore di lavoro a quello originario – con il quale il rapporto di lavoro
naturalmente cessa – in virtù di una vicenda di successione a titolo particolare in
un rapporto che non subisce soluzione di continuità.
Pertanto, non essendo contestato che all’atto del passaggio ex D.C.P.M. del
ricorrente ad altra Amministrazione il lavoratore non aveva perfezionato il diritto al
trattamento pensionistico- presupposto per il riconoscimento del beneficio in
questione – non poteva essergli riconosciuto il mantenimento di detto beneficio.
Ne consegue che il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno
liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio
nella misura di € 4000,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi,
oltre accessori di legge.

;

volontario ad altra amministrazione dello Stato, non determinando soluzioni di

Così deciso in Roma 111 giugno 2014

Il Consigliere estensore

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