Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22379 del 06/09/2019

Cassazione civile sez. I, 06/09/2019, (ud. 23/05/2019, dep. 06/09/2019), n.22379

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9839/2014 proposto da:

P.F., nella qualità di titolare ditta individuale Idrocos,

elettivamente domiciliato in Roma Viale Mazzini 11, presso lo studio

dell’avvocato Stella Richter Paolo che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Carlin Monica;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) Srl, in persona DEL curatore: Z.M.,

elettivamente domiciliato in Roma Via F. Confalonieri 5 presso lo

studio dell’avvocato Manzi Andrea che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRENTO, depositato il 12/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/05/2019 dal cons. FALABELLA MASSIMO;

uditi gli avvocati presenti;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale SOLDI

Anna Maria, che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo di

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – P.F., titolare della ditta Idrocos, proponeva opposizione al provvedimento con il quale era stata parzialmente rigettata la propria insinuazione allo stato passivo del fallimento (OMISSIS) s.r.l.: il giudice delegato, infatti, aveva escluso che il credito vantato dallo stesso P. fosse munito del privilegio di cui all’art. 2751 bis c.c., n. 5, come invece sostenuto dall’istante.

Nella resistenza della curatela fallimentare, il Tribunale di Trento rigettava l’opposizione osservando come non potesse ritenersi dirimente il dato dell’iscrizione dell’opponente all’albo delle imprese artigiane: rilevava, infatti, essere riservato al giudice delegato, prima, e al Tribunale in caso di opposizione, poi, l’accertamento, in via incidentale, della sussistenza delle condizioni legittimanti la detta iscrizione. Il Tribunale rilevava che nell’attività di impresa svolta dall’opponente il capitale avesse la prevalenza rispetto ai fattore lavoro e che alla componente personale non potesse assegnarsi una connotazione particolarmente significativa.

2. – Contro il richiamato provvedimento P.F. ha proposto un ricorso per cassazione basato su tre motivi (anche se nell’impugnazione se ne indica un quarto: ma come si dirà la deduzione svolta non assurge ad autonomo motivo di censura).

La curatela fallimentare resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Va anzitutto disattesa l’eccezione pregiudiziale della curatela controricorrente intesa ad opporre la nullità del ricorso per l’inerenza dei motivi di impugnazione al merito della controversia: la proposizione su cui si regge l’eccezione non trova, infatti, riscontro.

2. – Il primo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2751 bis c.c., n. 5, come novellato dal D.L. n. 5 del 2012, convertito in L. n. 35 del 2012, nonchè della L. n. 443 del 1985 e della L. Prov. Trento n. 11 del 2002, artt. 3 e 4. Assume l’istante che, nel sistema vigente, l’iscrizione all’albo delle imprese artigiane ha efficacia costitutiva e che essa fonda una presunzione legale relativa con riferimento alla qualifica dell’impresa come artigiana: per il che l’impresa iscritta all’albo suddetto risulterebbe senz’altro in possesso dei requisiti per godere del privilegio artigiano. Il ricorrente richiama, inoltre, la legge della provincia di Trento n. 11 del 2002 per sottolineare come la stessa, al comma 3 dell’art. 3, pure preveda espressamente che l’iscrizione all’albo delle imprese artigiane abbia efficacia costituiva.

Il motivo è infondato.

Non è controverso che al credito per Euro 32.520,84, che il Tribunale ha riconosciuto in via chirografaria, si applichi l’art. 2751 bis, n. 5, nel testo novellato dal D.L. n. 5 del 2012, art. 36, comma 1, convertito in L. n. 35 del 2012.

Come è noto, ai fini dell’ammissione di un credito come privilegiato ai sensi del cit. art. 2751 bis c.c., n. 5, ma nel testo anteriore all’intervento normativo segnato dal D.L. n. 5 del 2012, la natura artigiana dell’impresa andava valutata esclusivamente in relazione al concetto di prevalenza del lavoro evocato dall’art. 2083 c.c., risultando irrilevanti l’iscrizione dell’impresa stessa nell’albo delle imprese artigiane di cui alla L. n. 443 del 1985, art. 5 ed il non superamento delle soglie di fallibilità L. Fall., ex art. 1 (così Cass. 1 giugno 2017, n. 13887). In particolare, si affermava che i criteri richiesti dall’art. 2083 c.c., ed in genere dal codice civile, valessero per la identificazione dell’impresa artigiana nei rapporti interprivati, mentre quelli posti dalla legge speciale fossero, invece, necessari per fruire delle provvidenze previste dalla legislazione (regionale) di sostegno, con la conseguenza che l’iscrizione all’albo di un’impresa artigiana, legittimamente effettuata ai sensi della L. n. 443 del 1985, art. 5 non spiegava alcuna influenza, ex se, ai fini dell’applicazione dell’art. 2751 bis c.c., n. 5, dettato in tema di privilegi, dovendosi, a tal fine, ricavare la relativa nozione alla luce dei criteri fissati, in via generale, dall’art. 2083 c.c. (Cass. 27 luglio 1998, n. 7366; Cass. 23 febbraio 2000, n. 2061; Cass. 28 febbraio 2000, n. 2211; Cass. 12 aprile 2000, n. 4367; Cass. 3 novembre 2000, n. 14364; Cass. 6 ottobre 2005, n. 19508; il principio è stato ribadito più di recente da Cass. 9 aprile 2015, n. 7116, non massimata; la regola per cui, nel periodo anteriore all’entrata in vigore della novella, l’iscrizione nell’albo delle imprese artigiane non spiegava alcuna influenza sul riconoscimento del privilegio, dovendosi ricavare la nozione di “impresa artigiana” dall’art. 2083 c.c., è stato inoltre riaffermato da Cass. Sez. U. 20 marzo 2015, n. 5685).

Il nuovo testo dell’art. 2751 bis c.c., n. 5 ricomprende tra i crediti muniti di privilegio generale sui mobili, il credito dell’impresa artigiana, “definita ai sensi delle disposizioni vigenti”. Ciò significa che per stabilire se un credito sia munito del privilegio in questione deve farsi riferimento alla disciplina speciale di settore e, in particolare, alla legge quadro sull’artigianato (L. n. 443 del 1985). Sotto tale aspetto la norma ha carattere innovativo, in quanto, in base ad essa, non ha più ragion d’essere la nozione di impresa artigiana che è possibile ricavare dall’art. 2083 c.c..

Deve tuttavia escludersi che il credito artigiano, per il semplice fatto di essere riferito a un soggetto iscritto nell’albo delle imprese artigiane di cui alla L. n. 443 del 1985, art. 5, goda sempre e comunque del privilegio generale di cui all’art. 2751 bis c.c., come ritenuto dal ricorrente.

La disposizione da ultimo richiamata rinvia alla disciplina di settore e ai requisiti che questa individua ai fini della qualificazione dell’impresa come artigiana: ma non considera artigiana l’impresa per il sol fatto dell’iscrizione di essa nell’albo in questione.

Nè può ritenersi che dall’iscrizione predetta l’ordinamento faccia discendere una presunzione assoluta di titolarità, in capo all’interessato, della qualità di imprenditore artigiano. A parte il fatto che l’imprenditore potrebbe essere in possesso dei requisiti di legge al momento della iscrizione nell’albo delle imprese artigiane, ma perderli in seguito – sicchè è necessario credere che il giudice debba apprezzare la perdurante sussistenza delle condizioni di legge al tempo in cui è eseguita la prestazione ed è insorto il credito -, la soluzione indicata sottrarrebbe la determinazione amministrativa al sindacato del giudice ed è stata ricusata, in passato, dalla Corte costituzionale. Questa ha infatti sottolineato come l’iscrizione all’albo delle imprese artigiane costituisca bensì il presupposto per fruire delle agevolazioni previste dalla legge – quadro o da altre disposizioni, ma non valga a far sorgere una presunzione assoluta circa la qualifica artigiana dell’impresa stessa ai fini del riconoscimento del privilegio generale sui mobili previsto dal codice civile, essendo consentito al giudice di sindacare la reale consistenza dell’impresa creditrice, con la conseguente eventuale disapplicazione dell’atto amministrativo di iscrizione all’albo, una volta accertata l’illegittimità di essa (Corte Cost. sent. n. 307 del 24 luglio 1996).

Nemmeno varrebbe opporre che la L. n. 443 del 1985, art. 5, comma 5, al pari della L. Prov. Trento n. 11 del 2002, art. 3, comma 3, preveda che l’iscrizione all’albo delle imprese artigiane abbia efficacia costitutiva. Come è stato osservato di recente da questa Corte, infatti, l’iscrizione si configura come coelemento della fattispecie acquisitiva della qualifica soggettiva, necessario ma non sufficiente per definire l’impresa come artigiana, dovendo esso concorrere con gli altri requisiti di cui agli artt. 3 e 4 della legge quadro (Cass. 13 luglio 2018, n. 18723).

2. – Il secondo mezzo denuncia la medesima violazione e falsa applicazione di legge e, in più, l’omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo. La censura investe il giudizio espresso dal Tribunale circa l’insussistente prevalenza, nello svolgimento dell’attività di impresa, del fattore lavoro sul capitale. Viene rilevato come tale conclusione sia sconfessata dalla documentazione prodotta; è altresì osservato come il detto rapporto di prevalenza debba essere riguardato non solo in senso quantitativo, ma anche in senso funzionale e qualitativo: si sottolinea, in particolare, che tra le imprese artigiane vadano incluse quelle unità economiche che, pur essendo caratterizzate dall’opera qualificante dell’imprenditore e dei suoi collaboratori necessitano di un notevole impegno di capitali pur a fronte di una limitata organizzazione.

La censura non può anzitutto considerarsi inammissibile per la sua novità, come invece dedotto dalla curatela controricorrente: infatti, il tema del rapporto tra i diversi fattori di produzione dell’impresa (lavoro e capitale) è stato specificamente affrontato dal Tribunale e il ricorrente chiede in definitiva di accertarsi se il giudizio in tal senso espresso da quel giudice sia conforme ai principi che nella fattispecie vadano applicati, oltre che immune da vizi motivazionali.

Il motivo appare fondato.

Viene in questione l’elemento della preminenza del lavoro rispetto al capitale. Dovendosi fare applicazione della L. n. 443 del 1985, ai fini della qualificazione dell’impresa come artigiana, va richiamato quanto previsto dall’art. 3, comma 2, seppure con riferimento alle società: e cioè che è artigiana l’impresa che, nei limiti dimensionali e con gli scopi previsti dalla legge è costituita in forma di società (con l’esclusione della società per azioni e in accomandita per azioni), a condizione che la maggioranza dei soci, ovvero uno, nel caso di due soci, svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo e che nell’impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale. Ebbene, questa Corte si è già espressa, in passato, nel senso dell’estensibilità all’impresa artigiana individuale della disciplina appositamente dettata dalla L. n. 443 del 1985, art. 3 per la società artigiana circa la necessaria preminenza del fattore lavoro, del titolare e dei dipendenti, rispetto al capitale investito (Cass. 14 dicembre 2000, n. 15785). Del resto – può qui aggiungersi – il cit. art. 3 si basa sulla valorizzazione di un rapporto, tra i nominati fattori di produzione, che, seppur esplicitato con riferimento alle società, non può non riguardare gli imprenditori individuali. La preminenza del lavoro personale sul capitale, con riferimento alle imprese individuali, costituisce difatti un dato del tutto coerente con la natura artigiana dell’impresa, giacchè è la stessa nozione di piccolo imprenditore, desumibile dall’art. 2083 c.c., ad esigere che l’apporto del primo sia prevalente sul secondo: ed infatti, è ferma, in giurisprudenza, l’applicazione del criterio di prevalenza stabilito da tale norma al privilegio artigiano disciplinato dal vecchio testo dell’art. 2751 bis c.c., n. 5, (per tutte: Cass. Sez. U. 20 marzo 2015, n. 5685 city. Mette pure conto di aggiungere che, ove si ritenesse che il nominato rapporto di preminenza fosse applicabile alle sole società, si consentirebbe all’impresa individuale di essere organizzata sulla base di apporti di capitale proporzionalmente più consistenti rispetto a quelli ammessi per l’impresa artigianale collettiva: e tale soluzione, oltre ad essere del tutto illogica, candiderebbe la norma a un fondato sospetto di incostituzionalità per l’ingiustificata disparità del trattamento riservato, da un lato, all’impresa individuale e, dall’altro, a quella collettiva.

Posto, quindi, che anche ai fini della qualificazione artigiana dell’impresa individuale assume rilievo il dato della preminenza del lavoro personale rispetto al capitale, occorre valorizzare, sul punto, un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte. Tale principio si riassume nei termini che seguono: per un verso, la “funzione preminente” del lavoro sul capitale, che ai sensi della L. n. 443 del 1985, art. 3, comma 2, rileva al fine dell’individuazione dell’impresa artigiana, comporta che il rapporto tra il fattore lavoro ed il capitale investito nella impresa possa essere inteso non solo in senso quantitativo, con riferimento alla preponderanza del ruolo di un fattore produttivo sull’altro, ma anche in senso funzionale e qualitativo, in rapporto con le caratteristiche strutturali fondamentali dell’impresa artigiana ed alla natura del bene prodotto o del servizio reso, con la conseguenza della inclusione tra le imprese artigiane di quelle caratterizzate dall’opera qualificante dell’imprenditore o dei suoi collaboratori e che tuttavia, pur a fronte di una limitata organizzazione, hanno bisogno strutturalmente di un notevole impiego di capitali; per altro verso, l’elemento funzionale o qualitativo perde rilievo ed il giudizio di preminenza resta affidato essenzialmente al ruolo del rapporto quantitativo tra capitale e lavoro, quando l’oggetto dell’attività svolta dall’imprenditore, pur caratterizzata da una qualificazione professionale dello stesso, non sia espressione di un’arte o di una perizia strettamente ricollegabile alla persona che qualitativamente la caratterizza, nè richieda, strutturalmente nel tipo e necessariamente, rilevanti investimenti di capitale, potendosi svolgere da caso a caso, sia con elevati sia con modesti capitali (così Cass. 2 giugno 1995, n. 6221). Pertanto, il giudice di merito può assegnare prevalenza al lavoro quando la particolare qualificazione dell’attività personale dell’imprenditore assuma un significato tale da risultare il connotato essenziale dell’impresa (Cass. 8 novembre 2006, n. 23795; Cass. 19 settembre 2017, n. 21703); ma ai fini del riconoscimento della qualifica artigiana non è indispensabile che l’impresa si caratterizzi per l’opera qualificante dell’imprenditore (Cass. 8 novembre 2006, n. 23795 cit.): sicchè, ove difetti l’elemento costituito dalla particolare professionalità dell’imprenditore, l’impresa individuale resta pur sempre nell’area delle imprese artigiane quando si tratti di attività svolta personalmente da quel soggetto con prevalenza del suo lavoro personale (come previsto dalla L. n. 443 del 1985, art. 2), anche manuale, e sempre che il lavoro (dell’imprenditore e degli altri addetti) abbia funzione di preminenza rispetto al capitale.

Ora, nel quadro dell’apprezzamento circa la preminenza del lavoro sul capitale, sul piano quantitativo, il Tribunale ha valutato l’incidenza, rispetto al fatturato, dei costi per merci e materie prime: il che appare in sè corretto, dal momento che ai fini del richiamato giudizio va certamente considerato non solo il capitale fisso, ossia il complesso dei beni stabilmente organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’attività produttiva dell’impresa, ma anche quello circolante, e cioè l’insieme delle risorse disponibili e immediatamente utilizzabili dall’azienda per finanziarne l’operatività (con riferimento alla disciplina previgente, cfr. Cass. Sez. U. 20 marzo 2015, n. 5685 cit. e Cass. 31 maggio 2011, n. 12012, ove è espressa menzione del rilievo che assume, ai fini del riconoscimento della natura artigiana dell’impresa, il costo dei materiali impiegati).

Il giudice dell’opposizione, come in precedenza accennato, ha poi escluso che potesse “assegnarsi una caratteristica particolarmente significativa alla componente personale, per spostare l’attenzione sulla componente qualitativa del lavoro personale”: ha osservato, al riguardo, che “tale caratteristica è molto comune a tutte le lavorazioni che comportino l’installazione di prodotti acquistati e rivenduti, in cui ovviamente la competenza tecnica della prestazione personale è necessaria, ma non può assumere quella rilevanza tale da consentire il prevalere su un criterio quantitativo di carattere obiettivo”.

Una tale motivazione è, però, palesemente apparente, in quanto manca di misurarsi con la specificità dell’attività che interessa, omettendo di prendere in considerazione gli elementi che possano essere rilevatori dell’apporto qualificante del lavoro dell’imprenditore. L’argomentazione svolta finisce infatti per escludere dal novero delle imprese artigiane tutte quelle imprese che procedano alla messa in opera di materiali precedentemente acquistati, per il sol fatto di reimpiegare gli stessi nell’ambito di un processo produttivo: senza considerare che, in tal modo, il criterio qualitativo enucleato dalla giurisprudenza di questa Corte finisce per essere svuotato di un reale contenuto applicativo. E infatti, tale criterio non potrebbe mai operare ove il capitale circolante (da solo, o insieme al capitale fisso) fosse preminente rispetto al lavoro: laddove, all’opposto, ciò che il giudice del merito è chiamato a verificare è se, proprio in tali evenienze, l’apporto professionale dell’imprenditore sia qualificante, e cioè indicativo del possesso di una speciale competenza tecnica, tale da distinguere e connotare l’attività dell’impresa. L’indagine da compiersi a tal fine investe, naturalmente, diversi profili: ma può essere utile segnalare come, ai fini dell’indicata verifica, i fattori di produzione presi in considerazione nella cornice del giudizio quantitativo possano giocare, qui, ruoli diversi. Così, ad esempio, un capitale circolante costituito, tra l’altro, da un magazzino (e cioè da una dotazione tendenzialmente stabile di prodotti acquistati da fornitori), piuttosto che da materie prime comperate volta per volta, su commissione della clientela, può far pensare, in base alle circostanze, che questa si rivolga all’imprenditore per la disponibilità, in capo ad esso, di prodotti di una certa provenienza, e non per la riconosciuta qualità del lavoro che l’imprenditore stesso è in grado di svolgere.

3. – Il terzo motivo, oltre a censurare il decreto impugnato sempre per violazione e falsa applicazione dell’art. 2751 bis c.c., n. 5, della L. n. 443 del 1985 e del L. Prov. Trento n. 11 del 2002, artt. 3 e 4, lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti. In sostanza, l’istante si duole del mancato rilievo, da parte del Tribunale, della circostanza per cui la ditta Idrocos era già stata ammessa, quale impresa artigiana, in via privilegiata in altri fallimenti.

Il motivo è inammissibile, in quanto l’evenienza indicata non può all’evidenza integrare nè una violazione o falsa applicazione delle richiamate disposizioni (censura, questa, che deve avere necessariamente ad oggetto un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implicare di conseguenza un problema interpretativo della stessa: per tutte, Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155), nè, tanto meno, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (giacchè i provvedimenti di ammissione al passivo dell’odierno istante in altre procedure concorsuali non integrano un fatto storico munito di decisività: se non altro perchè il Tribunale poteva sicuramente ritenere ininfluente la loro esistenza ai fini della pronuncia che era chiamato a rendere, non essendo tenuto a conformarvisi).

4. – Si è detto che ciò che viene rubricato come quarto motivo non costituisce una vera e propria censura. Infatti, il ricorrente deplora la statuizione sulle spese resa dal giudice di prima istanza asserendo, in sostanza, che la propria domanda doveva essere accolta: in tal senso viene semplicemente evocato l’effetto caducatorio che discende dall’accoglimento del ricorso per cassazione. Il tema è destinato peraltro a rimanere assorbito, stante la cassazione della sentenza.

5. – In conclusione, va accolto il secondo motivo e respinti i restanti. Il decreto è cassato con rinvio della causa al Tribunale di Trento, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il secondo motivo, rigetta il primo e dichiara inammissibile il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Trento, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della la Sezione Civile, il 23 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2019

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