Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22376 del 27/10/2011

Cassazione civile sez. un., 27/10/2011, (ud. 07/06/2011, dep. 27/10/2011), n.22376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Pres.te f.f. –

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente sezione –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – rel. Consigliere –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSTABELLA

23, presso lo studio dell’avvocato LAVITOLA GIUSEPPE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VACCARELLA ROMANO, per

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI ROMA, in persona del Presidente pro-

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 119-A,

presso l’Avvocatura della Provincia stessa, rappresentata e difesa

dall’avvocato SIENI MASSIMILIANO, per delega in calce al

controricorso;

ROMA CAPITALE (già COMUNE DI ROMA), in persona del Sindaco pro-

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE

21, presso gli Uffici dell’Avvocatura comunale, rappresentato e

difeso dagli avvocati RAIMONDO ANGELA, SABATO NICOLA, D’OTTAVI LUIGI,

per delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

REGIONE LAZIO;

– intimata –

avverso la decisione n. 4545/2010 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 13/07/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO GOLDONI;

uditi gli avvocati Giuseppe LAVITOLA, Romano VACCARELLA, Massimiliano

SIENI, Nicola SABATO;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. CICCOLO

Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.A., premesso di essere proprietario di un’area di 5.500 mq sita nel comune di (OMISSIS), con atto del 30.5.2008 ha proposto ricorso al TAR Lazio avverso il nuovo Piano regolatore generale con cui l’area de qua, precedentemente a destinazione agricola, veniva suddivisa, ricadendo in parte nel (OMISSIS) ed in parte nei c.d. Tessuti prevalentemente residenziali della Città da ristrutturare; ambito per i programmi integrati. In tale ultima zona la disciplina urbanistica discende dagli artt. 51-53 delle NTA, in forza dei quali gli interventi edilizi sono assoggettati a PRINT. In particolare, per le aree ricadenti nella c.d. Città da ristrutturare, l’art. 53 individua per le diverse categorie dei suoli i differenti indici di fabbricabilità, prevedendo a fianco di detti indici, le quote di superficie a disposizione del Comune ai sensi dell’art. 18, ovvero soggette al contributo straordinario di cui all’art. 20. Nella resistenza del Comune, ed anche della Regione Lazio e della provincia di . Roma, l’adito TAR con sentenza n 1524/2010 accoglieva la quarta e la quinta censura e annullava l’art. 17, comma 2, art. 18, commi 2 e 3, art. 20, art. 53, comma 11, concernenti il complesso di norme attraverso cui il nuovo PRG stabilisce meccanismi perequativi per lo sviluppo della Città e respingeva le prime tre censure.

Avverso tale decisione proponevano appello il Comune e la Regione Lazio e, in via incidentale, la Provincia di Roma ed il C., quest’ultimo relativamente ai profili in cui era risultato soccombente.

Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4545 in data 8.6/13.7.2010, accoglieva l’appello delle Amministrazioni respingendo così in toto il ricorso come originariamente proposto.

Respinto l’appello incidentale del C., sulla base di considerazioni latamente riconducibili a quel ; adottate dal primo giudice, il Consiglio di Stato ha osservato che la legittimità della disciplina perequativa delle NTA si regge da un lato sulla potestà conformativa del territorio di cui l’Amministrazione è titolare nell’esercizio della propria attività di pianificazione e, dall’altro, sulla possibilità di ricorrere a modelli privatistici e consensuali per il perseguimento di finalità di pubblico interesse.

Sviluppando e specificando tali principi, il Consiglio perviene ad escludere tutte le argomentazioni svolte in contrario, in particolare evidenziando come la sussistenza dei detti pilastri, qualificabili come le prescrizioni urbanistiche oggetto del presente contenzioso, trovino fondamento in principi ben radicati nel nostro ordinamento, con riguardo al potere pianificatorio e di governo del territorio ed alla facoltà di stipulare accordi sostitutivi di provvedimenti.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre, sulla base di due motivi, illustrati anche con memoria e molto articolati, il C.;

resistono con controricorso, Roma Capitale che ha altresì presentato memoria, e l’Amministrazione provinciale di Roma, mentre l’altra intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, si lamenta difetto di giurisdizione del giudice amministrativo per nullità dei provvedimenti impugnati, in quanto viziati da difetto assoluto di attribuzione (L. n. 241 del 1990, art. 21 septies, introdotto dalla L. n. 15 del 1995, art. 14).

Con il secondo mezzo si deduce difetto di giurisdizione del giudice amministrativo per nullità dell’art. 20 N.T.A. L. n. 241 del 1990, ex art. 21 septies, previa rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale del sopravvenuto L. 30 luglio 2010, n. 122 art. 14, comma 16, lett. F). Il ricorrente muove dall’assunto per cui l’operazione di scorporo ed auto assegnazione gratuita dello ius aedificandi attuata da Roma Capitale sarebbe, in assenza di norme di legge autorizzatorie, stata assunta in totale carenza di potere perchè tale prerogativa sarebbe appartenente allo Stato e non al governo del territorio demandato all’Ente locale.

Il Consiglio di Stato, convalidando un operato di tal fatta, e non avvedendosi quindi dell’inesistenza di alcun potere conformativo del territorio, avrebbe esercitato cognizione in ipotesi spettante al giudice ordinario, incorrendo, ove siffatto modus operandi dovesse ritenersi consentito dalla legislazione vigente in violazione di precetti costituzionali, per cui si porrebbero questioni di legittimità costituzionale, con riferimento specifico agli artt. 3, 42, 47 e 97 Cost. per quanto attiene al combinato disposto dell’art. 1, commi 1 bis e art. 11, in relazione alla L. n. 241 del 1990, art. 13 e artt. 23, 53, 3, 97 e 47 Cost. per quanto attiene alla L. n. 122 del 2010, art. 14, comma 16, lett. F).

Va preliminarmente rilevato che il Giudice amministrativo, adito dall’odierno ricorrente, come risulta dalla sentenza impugnata, ne aveva in larga parte accolto i motivi di ricorso ritenendo che gli atti impugnati fossero stati adottati in violazione del principio di legalità.

Ora, la deduzione della carenza di giurisdizione solo dopo la sentenza del Consiglio di Stato senza che nessuna delle parti avesse mai sollevato una questione di giurisdizione integra la preclusione di cui all’art. 37 c.p.c., anche in ragione dell’assorbente argomento secondo cui non può sostenersi che la giurisdizione sia eccepibile secundum eventum litis, mentre va del pari respinta la tesi che comporterebbe che la questione di giurisdizione possa nascere dalle motivazioni della pronuncia di appello.

Nel prendere atto delle critiche che il ricorrente svolge a proposito dell’orientamento formatosi nella giurisprudenza di questa Corte a proposito del giudicato implicito in materia di giurisdizione (Cass. SS.UU. 9.10.2008, n. 24883), che ha affermato che sulla giurisdizione può formarsi il giudicato implicito tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con la conseguenza che le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato implicito e esplicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità, deve in primo luogo evidenziarsi che – quanto al rilievo in appello della questione di giurisdizione davanti al giudice amministrativo – il C.P.A. è poi pervenuto alle stesse conclusioni e, inoltre che l’attuale ricorrente, rivolgendosi al TAR, aveva chiesto che il giudice amministrativo dichiarasse l’illegittimità dell’atto appunto per le ragioni che solo davanti alla Corte ha poi ricostruito come causa di nullità, la cui cognizione esula dalla giurisdizione del giudice che aveva adito.

Così facendo, ha postulato che ineriva alla giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione della illegittimità fatta valere e il piano così suggerito è stato seguito dal TAR, la cui decisione sul punto – per quanto si è detto -, sia pure implicita, avrebbe dovuto essere rimessa in discussione nell’appello incidentale poi sperimentato. Tanto emerge dalle sentenze Corte Cost. n 77/2007, SS.UU. 22.2.2007, n 4109 (sulla translatio iudicii) e SS. UU. n 24883 del 2008, tutte fondate sul principio della unità della giurisdizione ai fini del servizio giustizia per la collettività e su quello della ragionevole durata del processole deriva l’erosione del principio della rilevabilità di ufficio della giurisdizione, con un avvicinamento ad un regime di rilevazione del tipo di quello della competenza, basato sulla volontà della parte di mantenere la questione viva, dando rilievo preclusivo a fenomeni di acquiescenza tacita, che precedentemente non avevano alcuna rilevanza.

La questione della giurisdizione assume così lo stato di ogni altro vizio della sentenza, che si converte in motivo di impugnazione.

Il principio che si desume dalle sentenze citate è dunque quello della prevalenza, ai fini del servizio giustizia, dell’esigenza che l’Autorità giudiziaria, vista nel suo complesso, dia risposta di merito alla domanda di giustizia.

Ciò comporta che, quando la giurisdizione è stata affermata e la decisione di merito è stata emessa, per la prevalenza dell’interesse alla decisione di merito non possa farsi più questione sulla giurisdizione se non dalla parte soccombente che abbia interesse concreto alla impugnazione.

In altri termini, il giudice non ha più la piena disponibilità della questione della giurisdizione se non in primo grado (si deve por mente alla rilevanza del giudicato implicito di cui a Cass. SS. UU. n 24883 del 2008).

Successivamente egli può intervenire sulla questione solo se la parte soccombente glielo richiede, in presenza di un interesse processuale a tale richiesta (e quindi, se trattasi della parte vittoriosa, allorchè questa sia divenuta soccombente per l’accoglimento dell’impugnazione di controparte); in caso contrario subisce la giurisdizione implicitamente affermata nella statuizione di merito (così Cass. SS.UU. n. 5456 del 2009; arg. anche, a contrario, da Cass. SS. UU. n 7097 del 2011).

In applicazione di tale principio, cui si presta convinta adesione, posto che la questione di giurisdizione non è mai stata posta , se non in questa sede di legittimità, dopo che la questione di merito era stata decisa, e considerato che la stessa sorregge entrambi i motivi posti a base del presente ricorso, lo stesso deve essere dichiarato inammissibile; consegue che le questioni di legittimità costituzionale, riferite a norme aventi carattere sostanziale, non assumono rilevanza, atteso il tenore della decisione adottata.

E’ appena il caso di rilevare che il nuovo codice amministrativo non si applica ratione temporis alla fattispecie in esame.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per onorari quanto a Roma Capitale e in Euro 5.200,00, ci cui Euro 5.000,00 per onorari quanto alla Provincia di Roma, oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2011

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