Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22376 del 06/09/2019

Cassazione civile sez. I, 06/09/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 06/09/2019), n.22376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28334/2014 proposto da:

C.E., C.L., C.M.C., C.R.,

elettivamente domiciliati in Roma Via Oslavia 12 presso lo studio

dell’avvocato Badò Fabrizio e rappresentati e difesi dall’avvocato

Catera Gaetano, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Università della Calabria, in persona del Rettore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale Dello Stato che la rappresenta e difende ex

lege;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1384/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 12/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/05/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1384/2013 pubblicata il 12-10-2013, la Corte d’Appello di Catanzaro, pronunciando in unico grado, ha determinato in Euro 68.544 l’indennità di espropriazione dovuta dall’Università delle Calabrie a C.E., + ALTRI OMESSI dando atto che detta indennità era stata già versata dall’Amministrazione, ed ha compensato le spese di causa, ponendo le spese di CTU a carico degli attori. La Corte d’appello, all’esito dell’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, ha accertato la non edificabilità dell’area, alla data di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, non potendosi dare rilievo alle modifiche di natura urbanistica avvenute successivamente all’approvazione del progetto espropriativo, atteso che solo quest’ultimo attribuiva capacità edificatoria al bene ablato. La Corte territoriale ha ritenuto che il parametro dell’edificabilità di fatto non potesse trovare applicazione nel caso concreto, posto che sia al momento dell’apposizione del vincolo espropriativo, sia al momento del decreto di esproprio il Comune di Rende era dotato di strumento urbanistico e, segnatamente, del piano regolatore generale, in base al quale il bene ricadeva in zona agricola. Ha quindi ritenuto corretto, in base a quanto previsto dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 40, per le aree non edificabili coltivate, il valore di mercato del terreno determinato dalla Commissione Espropri, rilevando che gli attori non avevano allegato circostanze specifiche dalle quali desumere un maggior valore, ma si erano difesi esclusivamente allegando la natura edificatoria dell’area ablata.

2. Avverso questa sentenza, C.E., C.L., C.M.C. e C.R. propongono ricorso, affidato a tre motivi, resistito con controricorso dalla Università della Calabria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio. Ad avviso dei ricorrenti la Corte territoriale non ha tenuto conto che all’adozione del P.R.G. del Comune di Rende erano seguite numerose varianti e l’adozione delle norme di attuazione, che prevedevano la destinazione delle aree all’edilizia universitaria, in particolare per la didattica, la residenza e i servizi connessi con la struttura universitaria. Inoltre la variante al P.R.G. del Comune di Rende approvata nel 1983 definiva il mutamento della destinazione urbanistica delle aree svincolate e limitrofe al perimetro universitario in zona residenziale e/o commerciale soggette a piano particolareggiato. Gli interventi comunali successivi all’adozione del P.R.G. prevedevano l’edificabilità della zona in oggetto, dichiarandola edificabile e pertanto la Corte d’appello avrebbe dovuto riconoscere l’edificabilità di fatto, come peraltro affermato nella C.T.U. espletata su incarico della medesima Corte. Richiamano la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 1889 del 2010; Cass. n. 1626/2006; Cass. n. 9131/2006) per sostenere che immotivatamente i Giudici d’appello, disattendendo le conclusioni peritali, non abbiano riconosciuto l’edificabilità di fatto, pur qualificando come espropriativo il vincolo imposto ai terreni ablati, senza considerare che questi ultimi si trovano ubicati in zona ove sono presenti infrastrutture di urbanizzazione primaria.

2. Con il secondo motivo lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 42 e 43 delle Norme Tecniche di Attuazione (di seguito per brevità N.T.A.) del Comune di Rende e dell’art. 42 Cost., comma 3. Ad avviso dei ricorrenti gli articoli citati delle N.T.A. consentono di attribuire alle aree ablate l’edificabilità di fatto, prevedendo la destinazione delle aree all’edilizia universitaria, in particolare per la didattica, la residenza e i servizi connessi con la struttura universitaria. Delle potenzialità edificatorie che l’immobile espropriato può esprimere, in applicazione dei principi costituzionali e di quelli espressi dalla CEDU, avrebbe dovuto tenersi conto per garantire ai proprietari espropriati il serio ristoro di cui all’art. 42 Cost., comma 3.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 1 del primo protocollo addizionale della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali. Richiamano le sentenze della Corte Costituzionale n. 348/2007 e 181/2011 e affermano che, a prescindere dalla natura del bene espropriato per pubblica utilità, occorra garantire il giusto equilibrio tra l’interesse pubblico generale e gli imperativi dettati per la salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui. Erroneamente, pertanto, ad avviso dei ricorrenti, la Corte territoriale ha determinato l’indennità di esproprio in base alla qualità dei beni in termini di edificabilità e/o natura agricola degli stessi, prescindendo dal valore di mercato, e la stima effettuata dal C.T.U. nel giudizio di merito risulta corretta.

4. I primi due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

4.1. La Corte territoriale ha accertato che le modifiche di natura urbanistica (quattro varianti per realizzare interventi di edilizia universitaria) sono intervenute successivamente all’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio conseguente alle suddette varianti, atteso che solo queste ultime attribuivano capacità edificatoria al bene ablato, trasformando un’area classificata come agricola secondo il P.R.G. vigente prima dell’apposizione del vincolo espropriativo in area per la localizzazione di edilizia universitaria.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte “La distinzione tra vincoli conformativi ed espropriativi cui possono essere assoggettati i suoli, non dipende dal fatto che siano imposti mediante una determinata categoria di strumenti urbanistici, piuttosto che di un’altra, ma deve essere operata in relazione alla finalità perseguita in concreto dell’atto di pianificazione: ove mediante lo stesso si provveda ad una zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, il vincolo ha carattere conformativo, mentre, ove si imponga solo un vincolo particolare, incidente su beni determinati, in funzione della localizzazione di un’opera pubblica, lo stesso deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione e da esso deve, pertanto, prescindersi nella qualificazione dell’area, e ciò in quanto la realizzazione dell’opera è consentita soltanto su suoli cui lo strumento urbanistico ha impresso la correlativa specifica destinazione, cosicchè, ove l’area su cui l’opera sia stata in tal modo localizzata abbia destinazione diversa o agricola, se ne impone sempre la preventiva modifica” (da ultimo Cass. n. 16084-2018).

Nella fattispecie in esame neppure è posta in discussione la suddetta qualificazione del vincolo – espropriativo – conseguente alle quattro varianti e la questione oggetto di censura con il primo motivo, pur rubricata come omesso esame di fatti decisivi, non è di fatto ma di diritto.

La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi suesposti, tenendo conto della classificazione urbanistica dell’area (B agricola) precedente all’apposizione del vincolo espropriativo.

4.2. Circa la denunciata violazione delle N.T.A. del Comune di Rende, occorre premettere che dette norme non possono porsi in contrasto con le previsioni del P.R.G. (Cons. Stato sent. n. 673/2014) e che, secondo la prospettazione dei ricorrenti, dalle stesse è dato evincere che ai terreni ablati può riconoscersi l’edificabilità di fatto.

La Corte d’appello, nel prendere in considerazione anche le N. T.A., ha ricostruito in dettaglio la successione degli interventi urbanistici incidenti sui terreni ablati ed ha motivatamente escluso che possa ravvisarsi nella specie il carattere dell’edificabilità di fatto degli stessi, facendo corretta applicazione dei principi di diritto affermati da questa Corte sul tema (Cass. n. 17442/2011 sulla natura meramente residuale del criterio dell’edificabilità di fatto, da adottarsi qualora sia mancante la classificazione urbanistica del P.R.G., oppure qualora si ponga come metodo di mero completamento – Cass. n. 20141/2016 – oppure se risulti esaurita la volumetria edificabile oppure per le zone bianche, in ipotesi di decadenza del vincolo preordinato all’esproprio – Cass. n. 12268/2016).

I ricorrenti non censurano specificatamente questa parte della motivazione della sentenza impugnata sull’edificabilità di fatto e non allegano che ci sia possibilità edificatoria o di utilizzazione intermedia tra agricola ed edificatoria (parcheggi, depositi attività sportive o ricreative, chioschi e via dicendo), ove assentite dalla normativa vigente, sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative (Cass. n. 23639/2016).

5. Anche il terzo motivo è infondato.

Questa Corte ha costantemente chiarito (tra le tante Cass. n. 17271/2014) che, dopo la sentenza n. 181/2011 della Corte Costituzionale, la polarizzazione del sistema indennitario sul valore di mercato non toglie la necessità di accertare preventivamente la natura urbanistica del fondo espropriato od occupato. La tradizionale summa divisio tra suoli edificabili e non edificabili, è rimasta alla base della valutazione, essendo dell’art. 5 bis, comma 3, sopravvissuto alla dichiarazione d’incostituzionalità della norma, che è stata ritenuta non conforme a Costituzione perchè non è in ragionevole legame con il valore di mercato dell’immobile espropriato. Le pronunce di incostituzionalità non hanno pertanto intaccato il sistema differenziato di indennizzo tra suoli edificabili e non edificabili, che comporta la necessità di individuare la natura del fondo, secondo un’indagine da condurre alla stregua dell’edificabilità legale, configurabile secondo la disciplina contenuta negli strumenti urbanistici. Da non trascurare, a smentita della tesi per cui gli interventi della Corte costituzionale avrebbero affidato la valutazione dei beni espropriati unicamente alle leggi del mercato (così rimettendo in gioco l’edificabilità di fatto), che a conclusione del punto 5.7 del “Considerato in diritto” la sentenza n. 348/07 afferma: “E’ inoltre evidente che i criteri per la determinazione dell’indennità di espropriazione riguardante aree edificabili devono fondarsi sulla base di calcolo rappresentata dal valore del bene, quale emerge dal suo potenziale sfruttamento non in astratto, ma secondo le norme ed i vincoli degli strumenti urbanistici vigenti nei diversi territori” (così Cass. n. 17271/2014 citata).

Dunque il ripristino del criterio del valore venale non significa acquisizione della prerogativa dell’edificabilità da parte di quei terreni che ne siano privi di diritto e detto assetto normativo del complessivo sistema indennitario si pone in linea con la normativa Europea, sicchè correttamente la Corte territoriale ha calcolato l’indennità di espropriazione in base al valore di mercato dell’aree non edificabili.

6. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

7. Infine deve darsi atto che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 4.900,00, di cui Euro200 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Dichiara che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2019

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