Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22375 del 06/09/2019

Cassazione civile sez. I, 06/09/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 06/09/2019), n.22375

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2464/2014 proposto da:

C.A., C.M.F.,

C.R.C., elettivamente domiciliati in Roma Via G. Ferrari n. 11

presso lo studio dell’avvocato Iacobelli Marina e rappresentati e

difesi dall’avvocato Marano Gaetano, giusta mandato in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

Comune di Palermo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato

e difeso dall’avvocato Angela Provenzani, giusta mandato speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1594/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 23/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/05/2019 dal Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1594/2013 pubblicata il 23-10-2013 e notificata il 19-11-2013, la Corte d’Appello di Palermo, pronunciando in unico grado, ha rigettato le domande concernenti l’indennità di espropriazione dei terreni siti in (OMISSIS)llas, identificati al foglio (OMISSIS) particelle (OMISSIS), proposte da C.A., C.M.F. e C.R. avverso la determinazione dell’indennità definitiva effettuata dalla Commissione Provinciale Espropriazioni ed ha determinato in Euro 33.304,52 l’indennità di occupazione temporanea legittima dovuta agli opponenti dal Comune di Palermo, ordinando a detto Comune il deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti della suddetta somma, detratto quanto eventualmente versato per lo stesso titolo, oltre interessi legali dal 24 ottobre 2007 alla data del deposito delle somme dovute. La Corte d’appello, all’esito dell’espletamento di CTU, ha accertato la non edificabilità dei terreni, trattandosi di aree destinate a servizi di pubblica utilità, nelle quali l’edificazione era consentita al solo fine di assicurare la fruizione pubblica degli spazi. La Corte territoriale ha disatteso la stima del valore di mercato del terreno espropriato in Euro 165 al mq. effettuata dal CTU in ragione dell’accertata non edificabilità dell’area ablata, ed ha ritenuto non applicabile nel caso di specie la disciplina introdotta dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, commi 89 e 90, a seguito della declaratoria di incostituzionalità di cui alla sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale, rilevando che detta nuova disciplina riguarda i criteri indennitari relativi alle aree edificabili. La Corte d’appello ha pertanto determinato l’indennità di espropriazione in misura non superiore al valore del terreno determinato dalla Commissione Provinciale Espropriazioni (Euro 90 al metro quadrato), non avendo il Comune di Palermo proposto domanda riconvenzionale tendente a chiedere la riduzione del valore del terreno espropriato come determinato dalla suddetta Commissione. Infine ha determinato in Euro 33.304,52 l’indennità di occupazione temporanea legittima dovuta agli opponenti dal Comune di Palermo, calcolata sul complessivo valore approssimativo del fondo di Euro 289.260 (mq. 3214 X Euro90 al mq.).

2. Avverso questa sentenza, C.A., C.M.F. e C.R. propongono ricorso, affidato a due motivi, resistito con controricorso dal Comune di Palermo. I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Espongono che la Corte territoriale, pur avendo accertato il valore di stima dell’area di Euro 90 al mq., non riducibile in assenza di domanda riconvenzionale del Comune di Palermo, e pur avendo determinato l’indennità di occupazione legittima facendo riferimento al valore complessivo del fondo di Euro 289.260 (mq. 3214 X Euro90 al mq.), ha omesso la pronuncia sulla specifica domanda di quantificazione dell’indennità di espropriazione e sulla correlata domanda di condanna del Comune di Palermo al versamento presso la Cassa Depositi e Prestiti della differenza come sopra calcolata rispetto a quanto già versato. Nel riportare nel testo del ricorso le domande come formulate nel precedente grado di giudizio, come da doc. 1 pag. 4 allegato al fascicolo di parte, i ricorrenti rilevano che con il decreto di esproprio (doc. n. 6) il Comune aveva ridotto l’indennità a Euro 289.260 ad Euro 87.171,99, applicando gli abbattimenti di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, dichiarato incostituzionale, la sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione della L. n. 2359 del 1865, art. 39,D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 e dell’art. 136 Cost., nonchè lamentano omessa motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Ad avviso dei ricorrenti la Corte d’appello ha omesso di prendere in esame la determina di espropriazione delle aree (doc. n. 6) con la quale, per effetto degli abbattimenti di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, era stata ridotta la stima definitiva della Commissione Provinciale Espropriazioni da Euro 90 per mq. ad Euro 27,12 per mq.. Ribadiscono di aver ritualmente chiesto in citazione la determinazione dell’indennità di espropriazione in base ai valori di mercato e senza i citati abbattimenti e rimarcano che il Comune aveva fatto propria la stima della Commissione Provinciale Espropriazioni. Deducono che la sentenza è affetta dal vizio denunciato, non avendo mai il Comune depositato l’indennità di espropriazione nell’importo determinato dalla suddetta Commissione, e che il rigetto della domanda di integrazione ha di fatto comportato la perdurante applicazione della norma dichiarata incostituzionale (L. n. 359 del 1992, art. 5 bis). I ricorrenti chiedono che la causa sia decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti.

3. Il primo motivo è infondato.

3.1. Il denunziato vizio di omessa pronuncia non ricorre, atteso che la Corte territoriale, nell’accertare l’inedificabilità del fondo ablato con statuizione che non è censurata, ha rigettato l’opposizione alla stima proposta dai soggetti espropriati ed attuali ricorrenti, e quindi la domanda di “integrazione” dell’indennità di espropriazione come definitivamente calcolata in sede amministrativa, dopo averne valutato la congruità in riferimento alla natura non edificabile del bene, facendo così corretta applicazione dei principi di diritto costantemente affermati da questa Corte in tema di oggetto del giudizio di opposizione alla stima (Cass. n. 11503/2014; Cass. n. 8442/2012; Cass. n. 11668/2005).

I ricorrenti svolgono le proprie argomentazioni facendo riferimento al percorso di adeguamento allo jus superveniens proprio delle aree edificabili, richiamano la sentenza della Corte Costituzionale n. 348/2007 ed assumono che non avrebbe dovuto effettuarsi l’abbattimento del 40% L. n. 359 del 1992, art. 5 bis.

Si tratta di questioni estranee all’ambito della controversia in esame, ribadita, ancora una volta, l’incontroversa natura non edificabile del bene ablato, il che preclude pure interventi ufficiosi nonostante la pendenza del giudizio. Nessuna considerazione è invece svolta in ricorso circa la congruità del valore di mercato del fondo in relazione alla sua inedificabilità.

4. Il secondo motivo è inammissibile.

4.1. Il motivo è inammissibile, sotto un primo profilo, nella parte in cui i ricorrenti lamentano omessa motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte “In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un fatto storico, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia”(Cass. S.U. n. 8053/2014 e tra le tante da ultimo Cass. n. 22598/2018).

Premesso che nella fattispecie in esame trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come novellato nel 2012 – la sentenza impugnata è stata depositata il 23/10/2013 -, la censura è inammissibile in quanto formulata secondo il paradigma previgente del vizio motivazionale.

Nella memoria illustrativa i ricorrenti affermano di aver denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo, o meglio l’omesso esame di un documento (determina di espropriazione) decisivo, e quindi assumono che debba essere disattesa l’eccezione, sollevata dal Comune controricorrente, di inammissibilità del motivo.

Anche a voler ritenere che la doglianza sia stata prospettata quale mancato esame di un documento decisivo, secondo la giurisprudenza di questa Corte la censura è ammissibile quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Cass. n. 16812/2018).

Nel caso di specie le ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe dato luogo a una decisione diversa sono esplicitate dai ricorrenti facendo riferimento alla questione dell’abbattimento del 40% L. n. 359 del 1992, ex art. 5 bis. Detta questione, invece, non rileva nell’ambito del presente giudizio in base alle considerazioni espresse nel paragrafo che precede.

4.2. Il motivo è inammissibile anche per genericità, nella parte in cui i ricorrenti denunciano violazioni di legge (L. n. 2359 del 1865, art. 39,D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 e dell’art. 136 Cost.) senza tuttavia indicare quali siano gli specifici aspetti di rilevanza di dette violazioni nella fattispecie concreta, salvo richiamare, ancora una volta, la disciplina relativa alle aree edificabili, al cui ambito è estranea la presente controversia, per quanto già detto.

5. Conclusivamente il ricorso è rigettato e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

12. Infine deve darsi atto che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro200 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Dichiara che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2019

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